SU AMADEUS UN GRAN BACCANO, FRAGOROSO SILENZIO SU MIMMO LUCANO

Oltre alla tragedia di Suviana – l’ennesima tragedia annunciata, l’ennesima strage sul lavoro dovuta a una legislazione che favorisce il profitto alla faccia dei lavoratori, ed anche alla faccia dell’Art. 1 della Costituzione – due notizie, in questi giorni, fra le tante che affollano i giornali, hanno richiamato la mia attenzione.

Una, di fatto un tormentone, riguarda il futuro del Sig. Amedeo Umberto Rita Sebastiani, meglio noto come Amadeus, presentatore televisivo, conduttore di cinque festival di Sanremo che hanno stracciato ogni record di ascolti ed hanno anche segnato il trionfo della non-musica, della non-melodia, della non-armonia, nel nome del semplicismo digitale e del mercato, portando al trionfo i suoni del rap e dintorni. Non ho assolutamente niente contro Amadeus, che da professionista qual è ha saputo fiutare il vento ed ha messo la prua della sua nave nella giusta direzione: quella del successo. Per questo lo hanno pagato, e questo lui ha fatto.

Ma qualcosa si è rotto, a quanto pare, nel sodalizio che legava il presentatore alla RAI, che dopo Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Corrado Augias, Luca e Paolo pare stia per perdere anche questo campione di ascolti. Se ne andrà? Non se ne andrà? E se se ne andrà, perché lo farà? Per i soldi? Per incomprensioni con una RAI  che oramai è diventata Tele-Meloni? Vattelappesca. Sta di fatto che i giornali italiani, pur in presenza del rischio di una terza guerra mondiale, delle stragi di palestinesi a Gaza, della scricchiolante resistenza ucraina contro i russi, dell’indegna detenzione di Ilaria Salis in Ungheria, sembra non riescano a pensare ad altro.

L’altra notizia che mi ha colpito riguarda le motivazioni della sentenza con cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha disintegrato l’inchiesta che, in primo grado, aveva condannato Mimmo Lucano a 13 anni di detenzione dichiarandolo colpevole di associazione per delinquere, falso, peculato, truffa aggravata e dio sa cos’altro.

Questa notizia, diversamente da quella che riguarda il futuro di Amadeus, bisogna andare a cercarla col lanternino. Eppure la prima sentenza aveva suscitato un grande clamore. Il modello di accoglienza e di umanità, di attenzione verso gli ultimi e di rilancio di comunità destinate a svanire nel nulla, che Lucano aveva inventato e che quella sentenza aveva sommerso sotto una montagna di letame, era stato indicato in tutto il mondo come un esempio virtuoso e nobile. Poi era venuta la pioggia di insinuazioni, di accuse, di maldicenze, che era sfociata in un procedimento che il pubblico ministero aveva trasformato, di fatto, in un processo alle (presunte) intenzioni dell’imputato che secondo quel magistrato, al di là delle malversazioni di cui lo accusava, aveva agito in vista della promozione delle proprie ambizioni politiche. Tanto era inconcepibile, in uno Stato di diritto, una simile accusa, quanto incredibile la condanna che ne seguì, per il giubilo di Matteo Salvini e di tutti gli altri razzisti e xenofobi (che sono tanti) del Bel Paese.

Poi è venuta la sentenza d’appello, che quella montagna di letame ha spazzato via con quasi trecento pagine di motivazioni, lasciando in piedi solo – quasi a giustificare un procedimento penale che in realtà non si sarebbe dovuto mai celebrare – una lieve condanna a 18 mesi per falso, con pena sospesa: la Corte d’Appello, in sostanza, ha concesso che c’è stato un lieve errore di carattere amministrativo, con ben scarsa rilevanza penale.

Ma Mimmo Lucano ha vissuto mesi d’inferno: allontanato dal suo paese, gli è stato perfino impedito di visitare il padre morente. La stampa di destra razzista e xenofoba si è accanita su di lui con la ferocia che abitualmente riserva a chi razzista e xenofobo non è, la prima sentenza gli è caduta addosso come un macigno, trasformandolo agli occhi della gente dal galantuomo generoso e disinteressato che è in un laido profittatore e accaparratore di fondi pubblici; e intanto quella stampa soprassiede sulle malefatte, quelle sì, conclamate ed evidenti, di esponenti politici privi di vergogna e di senso del pudore che per esempio, durante la pandemia, si facevano pagare la cassa integrazione per dipendenti che in realtà erano al lavoro e che falsavano i bilanci delle proprie imprese.

Tutti ansiosi, dunque, di sapere cosa deciderà di fare Amadeus, ma silenzio di tomba su Mimmo Lucano. Non che la cosa stupisca: fin dai tempi di Nerone, l’Italia è il Paese dei “panem et circenses”. Alla gente interessa sapere dove andrà Amadeus, che ne sarà della Ferragni e di Fedez, come andrà a finire fra Totti e Blasi, chi condurrà il prossimo festival di Sanremo.

Certa politica, e la stampa che la affianca, su queste cose ci campa. Sbatte il mostro in prima pagina, salvo dimenticarsene quando si scopre che il mostro era in realtà un galantuomo, e commina alla gente notizie insulse su personaggi il cui unico merito, molto spesso, è una popolarità acquisita senza particolari talenti e senza un motivo plausibile. Colpa di quella politica e di quella stampa? Certo.

Ma è anche colpa della gente che, a quella politica e a quella stampa, gli dà retta.

Giuseppe Riccardo Festa

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