Calabria ed Emilia Romagna: chi vince, chi vinciucchia, chi perde.

Tempo fa, quando sulle pagine virtuali di questo giornale previdi che il successo del Movimento 5 Stelle sarebbe stato seguito, prima o poi, dal riflusso, molti che all’epoca erano grillini (oggi non lo so) si indignarono e non mancò chi, come purtroppo è di moda di questi tempi, mi elargì ben poco lusinghieri auguri e ancor meno lusinghieri apprezzamenti.

Oggi la liquefazione di quel partito nato male (da una salva di insulti, i famosi “vaffaday”) e gestito peggio (pessima selezione dei candidati, promesse non mantenute, programmi velleitari, processo decisionale opaco, vertici decisionali imbarazzanti e inadeguati) è sotto gli occhi di tutti. Mi chiedo quanti di coloro che inneggiavano al “nuovo” e all’”onestà” dimenticando che “nuovo” non vuol necessariamente dire “migliore” e l’onestà (ammesso che ci sia) non serve se non è accompagnata da competenza, efficienza, cultura e serietà, oggi tornerebbero a gridare gli slogan che qualche anno fa  ripetevano ossessivamente. Ben pochi, stando ai risultati di Emilia Romagna e Calabria, dove il Movimento è precipitato, rispettivamente, a  un misero 4,7  e 6,2%.

Il PD ammette, e non potrebbe non farlo, di dovere molto, in Emilia Romagna, alla mobilitazione delle Sardine, le vere vincitrici della tornata elettorale, almeno in quella regione. A loro sicuramente si deve il ritorno al voto di molti elettori di centrosinistra che in realtà, più che a favore di Bonaccini, hanno votato per contrastare Salvini e la sua fantomatica candidata Borgonzoni. Dunque il PD dovrà cercare, se ne è capace, di trasformare in approvazione per la propria politica questo voto che al momento è di contrasto alla Lega.

In Calabria le Sardine non hanno provocato la mobilitazione che si è vista in Emilia Romagna ma di sicuro Matteo Salvini non esce bene, neanche qui, da questa tornata elettorale. La destra infatti ha vinto, ma non il suo partito: in Calabria si conferma la disaffezione verso la politica, con un afflusso ai seggi praticamente invariato rispetto alle elezioni precedenti. Il primo partito resta il PD, seguito da Forza Italia, con la Lega solo terza e FdI della Meloni quarto.

L’effetto di questo voto, anche quello calabrese, non è dunque entusiasmante per Salvini, che già s’immaginava padrone del Paese e si vede ora ridimensionare, anche nella coalizione di destra, da un soprassalto di vitalità del partito di Berlusconi, che non mancherà di passare all’incasso pretendendo di pesare di più e di attenuare le pulsioni sovraniste che del salvinismo sono una delle componenti principali. Perfino nella sfiduciata e arrabbiata Calabria, insomma, l’ondata del leghismo ha subito una battuta d’arresto e chi si sente di destra, o non vuole votare a sinistra, ha preferito in maggioranza appoggiare un pur decotto Berlusconi piuttosto che il discutibile meridionalismo di Salvini o lo sfacciato oltranzismo della Meloni.

La Lega, in conclusione, e con lei la destra più spinta, ha perso in Emilia Romagna e non ha vinto in Calabria. È certamente presto per trarre conclusioni troppo generali da questo risultato elettorale. E’ però oggettivamente vero che chi, con aria baldanzosa e sicura, si autodefinisce “condannato a vincere” rischia grosso quando comincia a perdere, perché la sua immagine si appanna; e l’immagine, per certi personaggi, è al centro della loro stessa esistenza, non solo politica. È successo a Berlusconi, è successo a Renzi, è successo a Grillo.

Suggerisco perciò a Matteo Salvini, anche se di sicuro non mi darà retta, di darsi una regolata e di chiedersi se, per caso, non sta cominciando a succedere pure a lui.

Giuseppe Riccardo Festa

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