A Cariati sopravvive una tradizione artigianale millenaria
Testi e Foto di Assunta Scorpiniti
Nel quadro socio-antropologico di Cariati rientrano le attività artigianali che sono frutto di molteplici culture ed esperienze millenarie e che, nel loro insieme, sono rappresentative dell’immagine promozionale lanciata, qualche tempo fa, dall’Assessorato regionale al Turismo col termine di identità-Calabria. Un esempio rilevante è offerto dall’arte dei maestri vasai, espressione dell’operosità della gente del luogo, che vi infonde ingegno e capacità di creare con semplici strumenti manufatti di grande pregio artistico. Fonti storiche attestano che fin dal VII secolo a. C. i Sibariti importavano ceramiche dalle regioni elleniche dell’Attica e dall’Asia Minore; successivamente impiantarono in Magna Grecia, e quindi anche nella zona di Cariati, una propria produzione, analoga a quella introdotta dalla madre patria. Ad opera dei ceramisti locali, l’arte, col tempo, perse i raffinati motivi decorativi, raffiguranti miti, eroi, aspetti della religione e scene di vita, e, mantenendo l’eleganza delle forme, acquistò semplicità e funzionalità d’uso in quanto destinata solo alla creazione di recipienti di uso domestico, molti dei quali usati per la conservazione dei cibi. Cariati così divenne “città nota per i suoi vasi”, come, secondo il racconto storico, ebbe a definirla il monaco Epifanio, collaboratore di Cassiodoro. E questa fama le fu riconosciuta per secoli.
Le botteghe dei vasai cariatesi, i quali esportavano dappertutto gli oggetti fabbricati, furono particolarmente numerose nel Cinquecento fino a circa agli anni Trenta del Novecento; c’è un’immagine dell’epoca che mostra come l’azione produttiva dei maestri vucalari (dal nome dei “vucali”, recipienti in terracotta fabbricati per contenere l’acqua da bere), conferisse vitalità all’omonimo rione, oggi indicato come Via Como, situato tra il centro storico e il borgo marinaro. Una brusca interruzione dell’arte si è registrata a partire dal secondo cinquantennio del Novecento, con l’esodo migratorio verso la Germania. Fino ad allora c’erano una ventina di famiglie attive nel settore, intorno a cui orbitava una serie di persone che da essa traevano lavoro e sostentamento: gli operai che estraevano l’argilla dalla cava, quelli che si occupavano del trasporto, i raccoglitori di legna, i venditori… Ora, invece, sembra di essere al crepuscolo di un mestiere che, per la sua tipicità, le tecniche e i prodotti potrebbe offrire molte possibilità in campo economico, occupazionale, turistico e culturale. In tal senso, tuttavia, nulla, c’è stato, di rilevante, a parte un corso di formazione promosso dall’Amministrazione Comunale negli anni Novanta, i saggi dimostrativi che vengono proposti dalle associazioni locali durante l’estate e pregevoli progetti di valorizzazione promossi dalle scuole locali.
Le iniziative sono realizzate il coinvolgimento dell’ultimo maestro in attività, Leonardo De Dominicis, richiestissimo nelle fiere e nelle rassegne artigianali in Calabria e fuori, cui interviene con il suo antico tornio a pedale e il tocco delle mani sapienti con cui modella i suoi vasi. Il tornio è il principale strumento del suo lavoro, che esegue in un laboratorio visitato, in estate, dai turisti che conoscono Cariati come comune abilitato all’arte vasaia; molti vi giungono accompagnati da cariatesi emigrati, che vogliono mostrare agli ospiti le tipicità. Il laboratorio, è, allo stato, piuttosto malmesso, ma conserva intatto il suo fascino, con il banco da lavoro, la fossa ira crìta, la vecchia fornace; sono elementi che, con la creta in lavorazione e le terrecotte già diventate lincedde, gummule, graste, caruseddi, cannate… creano la suggestione di un tempo antico in cui molte cose che abbiamo oggi mancavano, e la normalità era anche la capacità di artisti, inconsapevoli di esserlo, di trasformare in preziosi manufatti semplici prodotti della natura, come, in questo caso, l’acqua e l’argilla.
Leonardo, che appartiene a generazioni di vasai (suo padre Cataldo è stato uno dei maestri più noti) vorrebbe vedere rifiorire la sua arte, destinata a perdersi, per mancanza di ricambio generazionale. Il suo sogno è far rivivere l’antico rione dei vucalari con laboratori permanenti in cui si possano esporre e vendere i manufatti e tenere corsi di formazione, ma è consapevole dell’insufficienza delle sue forze; sarebbe, per questo, necessaria la giusta attenzione da parte delle varie Amministrazioni (comunale, provinciale, regionale), e, magari, di qualche imprenditore che possa credere nel valore del prodotto, e lanciarlo secondo le nuove logiche di mercato. L’arte vasaia di Cariati, con l’originalità delle sue espressioni, può concretamente rappresentare l’anello di congiunzione tra un tempo antico ricco di fascino e i tempi moderni improntati al nuovo; al pari di quella dei ceramisti di Seminara o di Gerace, potrebbe proiettare la cittadina in un panorama produttivo, culturale e turistico di livello internazionale, offrendo concrete opportunità lavorative. Basterebbe una progettualità capace di garantire la continuità e valorizzarla, magari con l’apporto di soggetti pubblici e privati in grado di sviluppare una cultura s’impresa, anche sulla scorta di esperienze maturate in realtà più avanzate.
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