A PROPOSITO DI PREMI LETTERARI E ALTRE FREGATURE

Geppi Cucciari e il ministro Sangiuliano che ha ammesso di non aver letto i libri che ha valutato al Premio Strega

Non c’è che da andare su Google e scrivere “Concorsi letterari”. Appare una sfilza interminabile di offerte riguardanti saggistica, narrativa o poesia e, il più delle volte, sia saggistica che narrativa e poesia.

Da Taranto a Lugnano (dove accidenti sarà, Lugnano?), dalla Città di Novate alla città di Livorno, dalla città dei Sassi (ovviamente Matera) a Mestre, a Terni, a Porto Venere, e via così, su e giù lungo lo Stivale e nelle isole, Ogni borgo, ogni villa, ogni paese è testimon di letterarie imprese (citazione, riveduta e corretta, dal “Don Giovanni” mozartiano).

Alcuni – pochi – sono gratuiti. la maggior parte prevede invece una quota di iscrizione che varia dai 10 ai 50 euro, tariffa media 20 euro. E qui si capisce il vero scopo del gioco.

È notorio che l’Italia è un Paese ricco di cantanti che non sanno cantare ma comunque osannati, tanto c’è l’autotune che raddrizza le loro note incerte; un Paese affollato da avvocati scarsi in diritto costituzionale (cfr. il presidente del Senato che ignora la natura antifascista della Costituzione), da politici locali sgangherati che trasformano le tornate elettorali in mercati delle vacche, e politici nazionali che vanno in giro esibendo – ed anche usando – il pistolino carico o facendo domande indecenti ai ragazzini (ogni riferimento, rispettivamente, a Pozzolo e Sgarbi è decisamente voluto) e da ministri che chiedono le dimissioni altrui ma le proprie non si sognano di darle nemmeno se sono colti con le mani nella marmellata. Ci sono anche, a proposito di ministri imbarazzanti e di concorsi letterari, quelli della cultura che giudicano libri che non hanno letto o spostano Times Square da New York a Londra.

In questo quadro così ricco e composito di inadeguatezze, miserie e incompetenze non potevano mancare gli scrittori che non sanno scrivere ma pretendono di essere letti, il serbatoio ideale per le località organizzatrici di concorsi letterari, assetate di quote di iscrizione e di successivo indotto, fra serate di premiazione, occupazione di alberghi e serate al ristorante.

Un bacino di utenza sterminato, un territorio di caccia in cui armato di contratti editoriali, di offerte di “editing” e organizzando appunto i concorsi in combutta – pardon, collaborando – con le amministrazioni locali, si aggira il branco famelico degli editori di piccolo cabotaggio, quelli che ti promettono di pubblicare “a loro spese” 1000 copie del tuo libretto a condizione che tu ne acquisti 200 al prezzo di copertina (insomma, pagando tu le spese di stampa con ampio margine di profitto per l’editore). Il poeta-romanziere-saggista affamato di gloria partecipa al concorso, paga la quota, e a volte viene premiato. Più spesso, anche se non è premiato firma il contratto e paga le 200 copie, con le altre 800 miseramente destinate al macero già prima di essere stampate. Quelle copie che poi cerca di rifilare a parenti, amici, conoscenti, colleghi e passanti, domandandosi perplesso come mai da un po’ tutti lo schivano e fanno finta di non conoscerlo.

Già Umberto Eco, che se ne intendeva, nel suo “Il pendolo di Foucauld” si era fatto beffe di quelli che definiva gli “A.P.S.”, gli autori a proprie spese, prede felici di essere predate di quegli editori che dicevo prima.

Come se non bastasse il malmostoso sottobosco di quelli da rapina, si scopre che perfino i concorsi più blasonati non sono esenti da pecche, come dimostrano le polemiche che imperversano sul Premio Strega che, stando a quel che si legge su giornali e riviste del settore, è diventato un club autoreferenziale di scrittori che si menzionano, si recensionano, si citano, si lodano e si sbrodano l’uno con l’altro al punto che già si sa chi vincerà la prossima edizione trasformando il concorso – se, ripeto, quel che si legge è vero – in una farsa.

È vero, anche io scrivo. Ed è vero che anche io amo l’idea che qualche membro della sparuta comunità degli italiani che leggono almeno un libro all’anno ogni tanto prenda in mano uno dei miei libri. A mia parziale discolpa, invoco però alcune attenuanti. Prima di tutto, non mi sogno nemmeno di partecipare a un qualunque concorso letterario; in secondo luogo, pubblico per conto mio e, last but not least, non mi sogno nemmeno di tormentare il mio prossimo chiedendo, implorando, proponendo o addirittura pretendendo che acquisti i miei parti letterari. Vendo poco, ma pazienza. La gioia è grande quando, di tanto in tanto, scopro che davvero qualcuno, chissà dove e chissà perché, ha ordinato una copia di un mio scritto. Non per i quattro spiccioli che poi mi saranno accreditati, ma perché so che quel qualcuno, quel libro mio, l’ha comperato di sua spontanea volontà e che perciò sicuramente lo leggerà.

Essere letto, spontaneamente e liberamente, da qualcuno che neanche mi conosce: cosa posso chiedere, di più, in quanto scrittore?

Giuseppe Riccardo Festa

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