DA MARCO PORCIO CATONE A GIORGIA MELONI

Antonio Scurati e Serena Bortone

»Antonio Loiacono

L’ombra della censura si allunga sul Governo italiano, evidenziando un’altra pagina negativa nel “horribilis libri” dell’attuale maggioranza coadiuvata, nel caso di specie, da un servizio pubblico che la fedele RAI sembra mettere a disposizione di “Giorgia”. Da Marco Porcio Catone, noto per il suo rigorismo morale nell’antica Roma, a Giorgia Meloni, la storia sembra ripetersi in un contesto contemporaneo. Sebbene la censura assuma forme diverse nel corso dei secoli, la sua essenza autoritaria e limitante della libertà di espressione resta la stessa.

La recente polemica sulla presunta censura nella RAI, è un “déjà vu” che sembra ripetersi ciclicamente nel panorama mediatico italiano. L’azienda radiotelevisiva di Stato, con la sua componente politica variabile nel corso degli anni, ha spesso suscitato dubbi sulla sua neutralità e sul rispetto della libertà di espressione. Questa situazione ha originato paragoni con altri contesti in cui la libertà di stampa è stata messa in discussione, come l’Ungheria del primo ministro Viktor Orban o con analoghe politiche autoritarie di limitazione della libertà di espressione e di controllo dell’informazione; sollevando allarmi sullo stato della democrazia in Italia e sull’effettiva indipendenza dei media pubblici. Ma la storia della televisione italiana è costellata da episodi di censura e repressione della libertà di espressione, che hanno lasciato un’impronta indelebile sul panorama mediatico del Paese!

Da Silvio Berlusconi a Renzi (e non solo), numerosi giornalisti e conduttori televisivi si sono trovati nel mirino del potere politico, subendo epurazioni e restrizioni che hanno minato la pluralità dell’informazione ed il dibattito pubblico. Enzo Biagi, Michele Santoro, Daniele Luttazzi, Milena Gabanelli, Giovanni Floris, Massimo Giletti, Fabio Fazio: questi sono solo alcuni dei nomi illustri che hanno vissuto sulla propria pelle le conseguenze della censura televisiva. Epurati, licenziati, o costretti a cambiare radicalmente il proprio stile giornalistico per adattarsi alle pressioni politiche del momento, questi professionisti hanno pagato un prezzo alto per il loro impegno nell’informazione libera ed indipendente. L'”Editto Bulgaro”, coniato durante il governo di Berlusconi, è diventato il simbolo della manipolazione dell’informazione e della restrizione della libertà di stampa. Attraverso il controllo dei media e l’influenza sui vertici delle reti televisive, Berlusconi ha cercato di plasmare l’opinione pubblica a proprio vantaggio, mettendo a tacere voci scomode ed ostacolando l’inchiesta giornalistica indipendente.

La censura televisiva mina i principi fondamentali della democrazia, limitando il libero scambio di idee ed opinioni e privando i cittadini del diritto fondamentale all’informazione libera ed indipendente. È un fenomeno che va contrastato con determinazione ed impegno, attraverso la difesa dei valori democratici ed il sostegno ai giornalisti ed ai conduttori televisivi che operano nell’interesse pubblico. In un contesto in cui la libertà di stampa è fondamentale per il corretto funzionamento di una democrazia, è essenziale garantire che i media pubblici siano liberi da interferenze politiche e che rispettino il principio del pluralismo dell’informazione. Le recenti cronache sollevano domande importanti sulla salute della democrazia italiana e sulla protezione dei diritti fondamentali dei cittadini, tra cui il diritto alla libera espressione ed all’informazione indipendente. La lotta contro la censura televisiva non è solo una questione di giornalisti e professionisti dei media, ma riguarda l’intera società civile. È compito di tutti difendere la libertà di stampa e garantire che la televisione italiana rimanga un luogo di confronto aperto e pluralista, al servizio della verità e della democrazia. La RAI, come servizio pubblico, ha il dovere di rappresentare la diversità di opinioni e di garantire lo spazio per il confronto democratico. Le decisioni editoriali dovrebbero essere basate su criteri professionali e giornalistici, piuttosto che su considerazioni politiche o ideologiche. ma purtroppo non sempre è stato così.

Dagli anni del centrismo democristiano alla politica dominata dalla sinistra, fino ai giorni nostri con la presenza della destra al Governo, l’azienda sembra essere stata soggetta ad influenze politiche che hanno condizionato la sua linea editoriale. La censura, infatti, o altre forme di controllo sottile sull’informazione, hanno caratterizzato diversi momenti della storia della RAI. Dai tagli alle trasmissioni politicamente scomode durante gli anni della Democrazia Cristiana, fino alle contestazioni di recente data riguardanti la presunta preferenza per determinate posizioni politiche. Oggi, la “cesoia meloniana” sembra essere diventata un’espressione ricorrente nel vocabolario politico italiano, indicando presunti interventi censori operati da figure politiche vicine alla destra. Le accuse di censura si concentrano spesso su decisioni editoriali che sembrano favorire determinate posizioni politiche o escludere voci critiche. La Rai ha respinto le accuse, sostenendo che le decisioni editoriali sono prese in base a criteri professionali e non politici; anche se il persistere delle polemiche alimenta dubbi sulla trasparenza e sull’imparzialità delle decisioni editoriali dell’azienda.

La recente controversia riguardante l’annullamento del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile durante la trasmissione “Che sarà” su Rai3, è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di casi che sollevano dubbi sulla trasparenza e l’imparzialità dell’azienda. Le accuse di interferenze editoriali o di “bavaglio”, sono diventate un tema ricorrente nel dibattito pubblico, alimentando preoccupazioni sulla salute della democrazia e sulla libertà di stampa in Italia. Da destra a sinistra, la mano della censura ha operato trasversalmente, lasciando un’impronta di tagli e restrizioni che hanno limitato la libertà di espressione all’interno del servizio pubblico radiotelevisivo.

L’azienda, che dovrebbe essere il baluardo della pluralità di opinioni e della libertà di informazione, si è spesso ritrovata al centro delle polemiche per decisioni editoriali discutibili e influenzate da interessi politici. L’annullamento di trasmissioni o interventi ritenuti politicamente scomodi, la limitazione dello spazio dedicato ad opinioni dissenzienti e l’influenza delle pressioni esterne sulla linea editoriale sono solo alcuni esempi di come la censura abbia permeato la storia della Rai, lasciando un’impronta indelebile sul panorama mediatico italiano. Il “controllo”, in qualsiasi forma si manifesti, mina la fiducia nel sistema mediatico e mette a rischio la libertà di espressione. 

Il caso è esploso dopo che il quotidiano “Repubblica” ha reso pubblico un documento in cui la Rai annunciava l’annullamento della prestazione di Scurati durante la trasmissione “Che sarà” condotta da Serena Bortone il 20 aprile, “per motivi editoriali”. Il documento, reso pubblico dal giornale, ha svelato che la decisione di cancellare l’intervento di Scurati non è stata presa per ragioni economiche, come inizialmente dichiarato da Paolo Corsini, direttore degli Approfondimenti Rai! Questa rivelazione ha scatenato una nuova ondata di indignazione ed ha portato ad interrogarsi sulle reali motivazioni poste dietro alla decisione della rete pubblica. Il monologo di Scurati, affrontava tematiche sensibili legate al 25 aprile, con riferimenti storici all’omicidio di Giacomo Matteotti, in occasione del centenario della sua morte ed una critica implicita a Giorgia Meloni per non essersi mai dichiarata apertamente antifascista. Nonostante l’annullamento della sua prestazione, il testo del monologo è stato letto da Bortone durante la trasmissione, che ha ospitato una discussione su antifascismo, fascismo ed altri temi con gli ospiti Dacia Maraini e Walter Veltroni.

La vicenda ha sollevato una serie di interrogativi sulla libertà di espressione e sull’indipendenza editoriale della Rai. La replica di Scurati a Giorgia Meloni, pubblicata sulle pagine di Repubblica, ha aggiunto ulteriore combustibile al fuoco, evidenziando la gravità della situazione ed alimentando il dibattito sul ruolo dei media pubblici nel contesto politico e culturale italiano. In un’escalation di polemiche che hanno coinvolto la politica e la cultura, lo scrittore Antonio Scurati ha, poi, replicato direttamente alla premier Giorgia Meloni in merito alla controversa cancellazione del suo intervento in Rai. Nel testo pubblicato sul sito di Repubblica, Scurati ha iniziato citando le parole di Meloni, che aveva ammesso di non conoscere la verità sulla vicenda, smentendo le affermazioni e definendole “incaute” e “false”, sia riguardo al compenso pattuito che all’impegno richiesto per il suo intervento. Ha chiarito di aver accettato l’invito a partecipare al programma televisivo pubblico scrivendo un monologo, con un compenso concordato dall’agenzia che lo rappresenta ed in linea con le tariffe degli scrittori precedenti. La decisione di cancellare il suo intervento, secondo Scurati, è stata motivata da “ragioni editoriali”, come dichiarato in un documento aziendale ora reso pubblico. Ha poi sollevato il sospetto che abbiano cercato di “silenziare” il suo pensiero su fascismo e postfascismo, fino a definire “pretestuosa” la questione sul suo compenso.

La replica di Scurati ha preso una piega più ampia, criticando duramente il capo di Governo per averlo attaccato personalmente e duramente con dichiarazioni denigratorie, descrivendo tale azione come una “violenza” contro di lui come privato cittadino e scrittore ed evidenziando il prezzo che si deve pagare oggi in Italia per esprimere liberamente il proprio pensiero. La sua replica si concludeva con una domanda diretta a Meloni: “È questo il prezzo che si deve pagare oggi nella sua Italia per aver espresso il proprio pensiero?”. Un interrogativo che rimane aperto nel contesto delle tensioni tra libertà di espressione e limitazioni imposte da dinamiche politiche e mediatiche. La polemica solleva interrogativi fondamentali sulla natura della democrazia e sulla libertà di stampa in Italia, evidenziando la necessità di garantire un ambiente mediatico libero da interferenze politiche e pressioni esterne. Resta da vedere come si evolverà la situazione e se saranno adottate misure per assicurare una maggiore trasparenza e indipendenza nel processo decisionale della Rai, nonché per tutelare la libertà di espressione degli intellettuali e degli opinionisti.

Affrontare il problema della censura nella Rai richiede un impegno congiunto da parte delle istituzioni, dei giornalisti e del pubblico. È necessario garantire l’indipendenza editoriale dell’azienda, proteggere la libertà di stampa e promuovere un clima di apertura e pluralismo all’interno del servizio pubblico radiotelevisivo. Solo attraverso una costante vigilanza ed impegno per difendere i principi democratici fondamentali, sarà possibile sconfiggere il cipiglio autoritario che continua a minacciare la libertà di informazione nella Rai e nel panorama mediatico italiano nel suo complesso

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