Gina, che appartiene al giro delle amiche mie e di mia moglie, col marito Ivan abita in una bella casa di campagna e ieri sera, in occasione della finale del festival di Sanremo, ha invitato noi e altri amici a cena. Il suo squisito timballo di pasta al forno, il suo pane fatto in casa ad accompagnare il saporitissimo ciauscolo casareccio, il resto dei manicaretti che ha messo in tavola e la bella compagnia mi hanno messo in una disposizione di spirito positiva che nemmeno le immagini rutilanti e i suoni sgradevoli che uscivano dal televisore sono riusciti a scalfire.
Né le immagini né i suoni, d’altra parte, avevano niente di nuovo rispetto alle edizioni precedenti della kermesse che ormai da anni, come già ho avuto modo di notare, è scivolata verso uno sfrenato giovanilismo che le ha guadagnato impennate di ascolti che manco PippoBaudo (si scrive così, tutto attaccato) e Mike Bongiorno messi insieme si sognavano.
Quest’anno, invero, un altro elemento ha avuto il sopravvento sui consueti borborigmi con cui inderogabilmente iniziano tutti i pezzi, sui tatuaggi che istoriano il corpo e in qualche caso anche le fisionomie della quasi totalità dei performer in gara (chiamarli cantanti mi sembra una concessione esagerata, visto che di canto se ne sente ben poco) e sui costumi secondo i casi sgargianti, trasparenti, stracciati, informi, ammiccanti, in cerca di un’originalità che, nelle intenzioni dei performer, dovrebbe sopperire alla loro avvilente mancanza di creatività.
Questo elemento è stato la provocazione, che un tempo era appunto offerta dai tatuaggi e dai costumi, i quali però oramai non sorprendono più nessuno. Così i performer (ripeto, non cantanti), per farsi notare hanno fatto ricorso ad altri espedienti: a parte la furia devastatrice di Blanco durante la prima serata, si è assistito alla denuncia antigovernativa di Fedez e, ieri sera, alla performance di un certo Rosa Chemical che, sedendosi sul sullodato Fedez ha simulato con lui un rapporto omosessuale, poi se l’è trascinato sul palco e l’ha voluttuosamente baciato sulla (o forse in) bocca.
Sia ben chiaro: considero ogni forma di sessualità lecita, purché esercitata fra adulti consenzienti. Quello che mi irrita è l’esibizione della sessualità, non importa se etero o omosessuale. La sessualità la considero un fatto squisitamente privato e la sua plateale esibizione mi dà sempre fastidio. Provo simpatia, e anche tenerezza, per i fidanzatini che passeggiando mano nella mano si scoccano un bacetto sulle labbra, perché in quel bacetto c’è solo amore e innocenza, ma provo fastidio di fronte a sguaiate esibizioni come quella di Rosa Chemical, che considero volgari e di pessimo gusto, così come di pessimo gusto mi è parsa la tenuta della performer che si fa chiamare Madame, che è scesa sul palco praticamente in mutande e reggiseno, con sopra una vestaglietta trasparente. Mise peraltro inutilmente provocatoria perché nelle movenze, nell’aspetto e nel comportamento della ragazza c’era la stessa carica erotica che si può trovare in un manico di scopa vestito a festa. La ragazza si è poi profusa in ringraziamenti e abbracci per Amadeus, dando la sensazione di voler così dire: lui sì che mi capisce, mica voi che mi criticate perché mi sono fatta passare per vaccinata contro il covid grazie alle pratiche truffaldine di una dottoressa compiacente e disonesta. Quanto al brano che ha eseguito, niente di nuovo sotto il sole: all’inizio un cupo e incomprensibile borbottìo, poi un’urlata e altrettanto incomprensibile mitragliata di parole.
Amadeus e Morandi si sperticavano in lodi per la bellezza di una legnosa e impacciata Chiara Ferragni, che a me invece non è sembrata molto diversa da una Barbie patinata, lucida, plastificata, rigida e bamboleggiante. Onore al merito, per carità, per il compenso devoluto in beneficenza, ma se debbo giudicarne le capacità di intrattenitrice in diretta (sui social son buoni tutti, basta registrare e ripetere la performance tutte le volte che occorre e trasmettere poi solo quella venuta meglio) non posso darle un voto superiore a zero meno meno.
Ha vinto Mengoni, che a vederlo e sentirlo mi ha ricordato un marcantonio bello come un apollo che anni fa in una palestra, nelle docce, mi chiese se gli prestavo lo shampoo (all’epoca ancora avevo dei capelli in testa): la sua voce era sottile e fessa e gli passai lo shampoo facendo fatica a celare lo sbigottimento. Mengoni ha un fisico da bronzo di Riace ma una vocetta da studentessa delle Orsoline. Comunque, vocetta o no, almeno canta e così, alla fin fine, quest’anno ha vinto un cantante e non, come l’anno scorso, quel gessetto che stride sulla lavagna che risponde al nome di Mahmood.
Le polemiche che il festival ha suscitato hanno permesso alla presidente del Consiglio e ai suoi sodali di sollevare alti lai e proteste contro l’immoralità dei performer e soprattutto contro le intemerate di carattere politico che essi considerano letteralmente, appunto, un “killeraggio politico”. Cupe nubi si addensano sui vertici RAI, rei (scusate il bisticcio) di aver concesso tanto scempio a danno di loro, che “stanno seriamente lavorando” (citazione da “Sono solo canzonette” di Edoardo Bennato, uno che i performer del festival di quest’anno se li mangia tutti in un boccone).
In realtà, Meloni e i suoi sodali dovrebbero ringraziare Amadeus, Fedez, Rosa-Chemical e tutti gli altri, perché grazie a loro possono sollevare un polverone che distragga la gente dal disastro della legge finanziaria, dell’isolamento in Europa, delle accise su carburanti e dalle varie altre cause di malcontento popolare.
Dal canto mio, lieto di aver gustato il timballo di pasta al forno di Gina, mi dico che dovrò abbassare il volume della radio, mentre la mattina ascolto “Il Ruggito del Coniglio”, quando a dispetto di Dose e Presta che della loro insofferenza verso il festival non hanno mai fatto mistero, la scaletta manderà in onda i – come chiamarli? rap, pistolotti, monologhi, tirate? Certo non “canzoni”: le canzoni si cantano, mica si declamano, si snocciolano, si urlano, si blaterano – insomma, i “pezzi” in gara al festival.
Basterà un po’ di pazienza: questione di qualche settimana, o al massimo di qualche mese e poi, come sempre, su di loro scenderà un benefico, salutare, inevitabile e meritatamente tombale oblio.
Giuseppe Riccardo Festa
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