L’ITALIA CHE HA TRADITO EMMANUEL

Cosa dire ancora?

Cosa dire che non abbiano già gridato, oltre a Roberto Saviano e Michela Murgia, tutti coloro che, in Italia, si riconoscono nei valori di umanità, prima di tutto, e poi di solidarietà e tolleranza che dovrebbero essere il nostro patrimonio comune, il cemento della nostra società e invece si stanno dissolvendo, corrosi dal calcolo di politici meschini che alimentano le paure e le insofferenze dei tanti, troppi fra noi che hanno bisogno di qualcuno con cui prendersela e che, incapaci di amare, trovano nell’odio e nell’intolleranza le loro ragioni di sopravvivenza?

A farmi più male non è la miseria morale dei senatori che, come amaramente rileva Michela Murgia, indignati per il crimine di Fermo insorgono oggi contro il loro collega Giovanardi, che minimizza il fatto, ma dimenticano di aver assolto l’altro loro collega, Calderoli, che aveva rivolto lo stesso insulto, volgare e miserabile prima che razzista, a un’altra donna, una parlamentare italiana, colpevole anche lei di venire dall’Africa.

A farmi più male non è nemmeno la dichiarazione dell’avvocato dell’assassino fascista di Emmanuel, il difensore di quel tale Mancini: avvocato  che ricordando l’insulto di Calderoli minimizza a sua volta il gesto del suo cliente: Anche i politici, dice, chiamano scimmie le donne nere, e sono assolti. Dunque perché prendersela col mio assistito?

A farmi più male non è nemmeno il post di Salvini, che prima condanna l’omicidio e poi di fatto lo legittima perché – dice – c’è troppa immigrazione clandestina. Immanuel e Chimiary  non sono clandestini? Non importa: per i suoi seguaci non c’è differenza tra profughi richiedenti asilo e immigrati clandestini: sono tutti neri, pensano; vengono tutti a rubarci il lavoro a noi, dicono; sono tutti sporchi, sono tutti ladri, sono tutti stupratori, gridano. E poi vanno a votare per Salvini.

A farmi più male non è nemmeno il coro di quelli che, invocando statistiche campate in aria, subito si sono messi a gridare: “Condannate la violenza di un italiano contro un immigrato, ma non dite niente della violenza degli immigrati contro gli italiani”. Come a dire: chi la fa l’aspetti.

No: a farmi più male è quella fotografia, la gioia tranquilla che ne promana.

Mi fa male guardare la foto di due bellissimi ragazzi che nonostante il passato che avevano alle spalle, nonostante i genitori e i parenti massacrati da Boko Haram, la figlia persa, gli orrori subiti, sorridono sereni e fiduciosi uscendo dalla chiesa in cui don Vinicio Albanesi aveva celebrato la loro promessa di matrimonio. Sorridono felici, sereni e fiduciosi: in Italia, pensano, abbiamo trovato di nuovo la gioia di vivere, la speranza e un futuro.

Mi fa male vedere lo sguardo pulito di Immanuel, quel suo braccio intorno alle spalle della sua Chimiary. Mi fa male pensare che perdio ha l’età dei miei figli; mi fa male pensare che l’Italia, e le mie Marche, abbiano tradito la fiducia e le speranze di quel ragazzo, che è scampato alla furia fanatica e insensata di Boko Haram per incontrare altra furia, non meno insensata e fanatica,  proprio qui dove credeva di aver finalmente trovato pace e sicurezza: nella civile ed evoluta Italia.

Per farsi tradire proprio qui, a due passi da casa mia.

Giuseppe Riccardo Festa

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