Unioni civili: piuttosto che niente, meglio piuttosto

Per i cattolici quello che contava era che non si parlasse di matrimonio, di adozioni e di famiglia: e così, a scanso di equivoci, dal DDL, nella versione che ora tornerà alla Camera per la lettura definitiva (o almeno così si spera), oltre al discorso sulle adozioni è stato tolto anche il riferimento al dovere della reciproca fedeltà: pur di non far somigliare le unioni omosessuali al matrimonio, il ministro Alfano ha deciso che era meglio concedere alle coppie omosessuali il diritto alla scappatella. Quasi quasi – ma non ditelo a mia moglie – mi dispiace di essere eterosessuale.

Anche la faccenda delle adozioni, poi, l’hanno cacciata dalla porta ma potrà rientrare dalla finestra visto che, per quanto la cosiddetta “stepchild adoption” sia stata rimossa dal DDL, non è comunque esclusa, per il genitore non biologico, la possibilità di ricorrere al giudice per ottenere il riconoscimento dei diritti e dei doveri parentali verso i figli del suo compagno o della sua compagna.

Poi c’è il discorso “famiglia sì, famiglia no”: questi nuovi nuclei non hanno il diritto di chiamarsi “famiglie”. Immagino che il compianto Umberto Eco queste disquisizioni le avrebbe trattate nel dipartimento di tetrapiloctomia (la scienza, da lui inventata, che studia il modo di spaccare il capello in quattro): la legge italiana, chinandosi ai diktat provenienti dal Cupolone, ha deciso che due che si amano, vivono insieme, condividono gioie e dolori e che magari hanno anche dei figli (che ad Alfano piaccia o no), possono chiamarsi “famiglia” solo se sono eterosessuali: dunque, là dove ci sono mariti che ammazzano le mogli e/o violentano le figlie c’è comunque famiglia ma là dove ci sono due donne o due uomini che si vogliono bene, così hanno deciso Alfano e il Vaticano, no: questioni di parole.

A noi italiani, che coi fatti abbiamo rapporti conflittuali, le parole piacciono tantissimo: basti pensare ai fiumi di inutile inchiostro che sta facendo scorrere quel “petaloso” scritto da un ragazzino a scuola, quasi che sia chissà quale novità che un bambino inventi delle parole più o meno buffe. Tanti anni fa, a Londra, mio figlio Stefano, che all’epoca aveva cinque anni, in una cabina telefonica, parlando con una cuginetta in Italia disse che le parlava dal “telefonario”. Ci ridemmo su ma la cosa finì lì. Che sfiga: se anche allora ci fossero stati i social media, avremmo fatto la fortuna sua e nostra.

Ma tornando alle unioni civili, come dice mio fratello “piuttosto che niente è meglio piuttosto”: alla fine questa benedetta legge si farà e le coppie omosessuali potranno finalmente ottenere i primi riconoscimenti giuridici, con sommo scorno delle persone “normali” come Giovanardi e Gandolfini, per i quali anche il poco che è stato fatto è decisamente troppo: Giovanardi paventa un futuro in cui (sono parole sue) si potranno avere unioni anche fra cane e padrone; e intanto Gandolfini, il “moderato” che ha voluto il cosiddetto “family day”, grida “sono nozze gay, Renzi ce ne ricorderemo”.

Dal canto suo Alfano, l’uomo dalla fronte inutilmente spaziosa, gongola perché, dice, grazie a lui è stato un “regalo all’Italia impedire ai gay di avere un figlio” (in realtà è stato loro impedito di adottarlo, non di averlo) e quindi è stata “bloccata una rivoluzione contronatura”.

Giovanardi, Gandolfini e Alfano: questi qui si reputano persone normali. Anche io mi reputo una persona normale; mi chiedo se non sia il caso di cominciare a preoccuparmi.

Giuseppe Riccardo Festa

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