
di Marco Toccafondi Barni
Un impero non dà mai le dimissioni: crepa oppure va avanti. Eppure è proprio quello che in queste ore Donald Trump sta chiedendo insistentemente all’ Iran. Ovvio, nel suo analfabetismo strategico ignora che trattasi di un impero e sta sul pianeta da millenni.
LA DIFFERENZA – Ebbene non succederà mai che l’ Iran si dimetta e faccia esattamente la stessa fine del vicino Iraq, della Libia o dell’ Afghanistan. Quale è la principale differenza ? Ancora oggi gli iraniani si sentono impero e questo chi di dovere dentro gli apparati statali Usa lo sa perfettamente, da ciò la titubanza della Casa Bianca che non a caso, proprio in queste ore, sta discutendo su cosa fare con il Pentagono e gli altri apparati nella Situation Room. Non sono molti gli imperi sulla faccia della terra, è dura esserlo: l’egemone Usa, la rivale Cina, la malmessa Russia, l’ambigua Turchia e infine proprio i Pasdaran iraniani. Sì, talvolta è molto difficile la vita per le collettività e quindi le genti che popolano un impero, tuttavia le dimissioni non sono mai contemplate, da nessuno. La resa incondizionata che il presidente statunitense chiede a gran voce, addirittura pubblicamente, un assurdo, è impossibile per qualsiasi iraniano, meglio la morte e sofferenze di ogni tipo. Ma la resa e dunque diventare una provincia qualsiasi mai. Un impero è paragonabile a un grande boss della criminalità, impensabile che improvvisamente si metta disciplinatamente in fila come un qualsiasi cittadino per pagare la Tari alle poste. E’ un’ umiliazione che nessun impero né collettività imperiale ha mai accettato nel corso dell’ intera storia umana. E’ la differenza che passa tra l’orgoglio imperiale e la sottomissione quotidiana di una provincia.
E SUL CAMBIO DI REGIME ? – Israele sta vincendo tatticamente la guerra con il regime dei Pasdaran, invero sarebbe difficile accadesse il contrario, tuttavia trattasi di un paese così grande da ogni punto di vista (dimensione geografica, popolazione, orgoglio, etc…) che per una vittoria anche dal punto di vista strategico, che è quel che più importa nelle guerre, Tel Aviv ha bisogno del decisivo supporto statunitense. Ed è proprio qui che i nodi vengono al pettine, nessun problema da parte Usa ad appoggiare il “fratello”, più che alleato, israeliano in zona, ma il vero problema è cosa succederebbe se poi quel regime al potere da quasi mezzo secolo cadesse davvero ? Ebbene sarebbero soltanto enormi guai e non tanto perché nella crisi domestica statunitense un multimilionario newyorkese ha astutamente preso le difese dei disperati del Mid West, privi dell’automobile a Detroit, ma per giunta ha persino promesso di non intraprendere più guerre e fermare nel giro di 24 ore quelle che a suo dire aveva iniziato Biden. E allora che fare ? Oggi forse se lo chiederebbe un grande tattico come Lenin. La cosa più probabile è che gli unici egemoni provino a prendere tempo nel tentativo, forse vano, di convincere il governo israeliano ad accontentarsi di una vittoria tattica: sì per distruggere ogni possibile progetto nucleare iraniano, ni per la caduta del regime. Questo non tanto perché negli Usa troppi sono ancora memori del ventennio dei disastri, tra un Afghanistan usato come punch ball per sfogare la frustrazione del più grave attacco mai subito sul proprio suolo, quel martedì 11 settembre 2001 da parte di terroristi sauditi, ed un Iraq attaccato con prove false unicamente per regolare i conti con l’ex amico/nemico Saddam, bensì per non ferire l’orgoglio di un altro impero. Israele non è un impero, gli Stati Uniti sì, per questo sanno benissimo che non verrà nulla di buono da una eventuale caduta dei Pasdaran. Non solo non esiste nessuna valida alternativa, ma per giunta la popolazione iraniana continuerà ad essere comunque anti occidentale. Anzi, lo sarà ancora di più se possibile, lo si è già visto con la patetica candidatura del figlio dello Sciaà: si è messo subito a disposizione occidentale eppure nessuno lo ha preso in considerazione neanche per scherzo.
Come una mosca che sbatte su una lampadina – Avete presente quando una mosca sbatte insistentemente su una lampadina accesa ? Noi umani ci domandiamo la ragione. E’ la stessa cosa che si è chiesto Donald Trump sui cosiddetti Neo Con del partito repubblicano che poi ha scalato. E’ necessario fare un bel salto indietro nel tempo, oltre trent’anni: la guerra fredda era appena finita e la superpotenza a stelle strisce vincente teorizzò la fine della storia, grazie ad un questionabile politologo nipponico naturalizzato statunitense: Francis Fukuyama. Tutto ciò fece pensare al alcuni colti e brillanti ex trotskisti di convertirsi al conservatorismo repubblicano così da poter catechizzare il mondo, ritenendo che tutti gli altri abitanti del pianeta non aspettassero altro che vedere le serie Tv statunitensi, il Super Bowl e Internet. Ne seguirono decenni di imperialismo misto a disastri, come in Afghanistan prima e in Iraq poi , un po’ per sfogarsi e un altro pò per la voglia di fare la storia. Maturando, pian piano la super potenza tornò sui suoi passi e ad una politica non più imperialista, bensì imperiale: via il faccio come mi pare, sostituito dal faccio quel che mi serve. Tuttavia, la vita da egemone ha un obbligo: non ci si si puo’ dimettere da se stessi e il dilemma rimane: battere ancora il muso in altri fallimenti a giro per il mondo ? Ecco spiegata l’indecisione di queste ore: sì a piani contro l’ Iran ma aspettiamo ancora.
COME ANDRA’ A FINIRE ? – E’ difficile prevederlo, però ragionando con la logica degli apparati Usa (che alla fine delle fini sono quelli che contano veramente) e non con i colpi di testa di Trump né con gli azzardi efficaci quanto disperati di Netanyahu allora l’ipotesi più probabile è quella ovviamente di aiutare Israele in questo ennesimo fronte aperto, nella sorta di brutale multitasking di sangue, al contempo provare a salvare fino all’ ultimo un regime che, per quanto orribile e liberticida, non si saprebbe sostituire. Siamo tra imperi signori miei e la cosa più probabile è che la guerra sfugga di mano in maniera irreparabile.
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