I giovani dell’Usca da mesi stanno scalando l‘emergenza Coronavirus aiutando anziani, e non solo, che hanno contratto il virus. Dopo la seconda fase, quando sono andati per le case dei positivi in isolamento con l’obiettivo di verificare come stanno e talvolta per dirgli che dovevano andare in ospedale, adesso sono alle prese anche con la somministrazione dei vaccini.
Sono i team di sanitari che sull’intero territorio nazionale lavorano sotto il coordinamento delle Direzione sanitaria di zona ed insieme ai medici delle cure primarie. La burocrazia non è mai benigna con gli acronimi e il loro significa Unità speciale di continuità assistenziale.
Le loro storie e il loro instancabile impegno sono un punto di eccellenza della nostra sanità pubblica. In gran parte sono tutti giovani, alcuni appena laureati, che dalla comoda scrivania con i libri si sono ritrovati in una Rsa con anziani a rischio della vita.
Non è stato facile. Hanno avuto inizialmente anche un po’ di paura perché, come tutti, sapevamo poco del virus. Insomma, hanno anche avuto qualche timore per la loro salute, nonostante a 30 anni non si pensa alla morte e tantomeno che la propria vita possa essere a rischio.
Per tanti si tratta della prima esperienza professionale ma anche una straordinaria esperienza umana. Visite a domicilio scandite dall’orologio, decine di chilometri macinati ogni giorno per raggiungere tutti i pazienti a casa, tenendo bene in mente che a volte basta la giusta dose di umanità per attenuare la preoccupazione di chi è stato contagiato dal virus.
I team Usca sono diventati un elemento centrale nella battaglia alla pandemia. Tutti giovani con grande entusiasmo e professionalità, hanno visto cambiare il loro ruolo nella battaglia alla pandemia, diventando un elemento fondamentale non solo nella cura, ma anche nella diagnosi e nell’assistenza ai malati di Covid. Credo che il progetto Usca sia una eredità preziosa di questa tragica pandemia, un modello di lavoro assolutamente prezioso ed efficace.
Nicola Campoli
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