11 SETTEMBRE: IL GIORNO CHE CAMBIO’ POCO E NULLA E L’IPNOSI OCCIDENTALE.

“L’ 11 settembre 2001 ha cambiato il mondo per sempre”. E’ il mantra, la cantilena ripetitiva, quasi la colonna sonora che ha scandito gli ultimi 20 anni. Prepariamoci allo stupidario splatter, con scarso rispetto delle vittime, che ci domanda e si domanda continuamente dove fossimo quel giorno, in un macabro ricordo collettivo che fa tanto Dallas e JFK. E invece no, la storia va letta in un altro modo e forse oggi iniziamo a rendercene conto. Soprattutto dopo “l’ultimo agosto afghano” che, causa il repentino voltafaccia a stelle e strisce, ha stupito il mondo. Non e’ casuale, infatti, il brusco risveglio avuto dopo una sorta di “ipnosi occidentale” lunga vent’anni. Dal rapido abbandono dell’ Afghanistan l’ “Occidente” si e’ svegliato deluso, quasi in uno stato di shock, ha finito per sentirsi sconfitto e frustrato nel sogno annoso di esportare ovunque la democrazia, i diritti umani, le liberta’.

Anche per questo oggi probabilmente non ci saranno grandi celebrazioni per il ventennale di quel tragico evento. Pare ci sia ben poco da festeggiare, almeno per la politologia e i politici. Perche’ allo scoccare della mezzanotte del 31 agosto scorso, quando ufficialmente anche l’ ultimo soldato occidentale se ne era andato dall’ Afghanistan, come in una fiaba priva del classico vissero tutti felici e contenti, la fantasia propagandistica di democrazia e liberta’ portate in carrozza a giro per il mondo si e’ improvvisamente trasformata nella zucca maleodorante che in realta’ e’ sempre stata, fin da quel tragico martedi: nessuna democrazia, nessun amore per la liberta’, nessun diritto. Erano tutte menzogne, utili solo a scaricare la tensione che quel drammatico giorno aveva portato negli USA. Il re e’ nudo, finalmente.

Si’, perche’  tutto parte proprio da quella mattina, quel martedi’ di meta’ settembre, per la cronaca una bellissima giornata in una New York ancora estiva. Sono le 8:46 quando il primo boing si abbatte’ su una delle 2 torri, dando inizio a una vera tragedia per i quasi 3.000 morti (i media all’ indomani si affrettarono a parlare di oltre 20mila vittime), ma anche alla piu’ grande sopravvalutazione della storia recente. Sicuramente un attentato orrendo e grave dal punto di vista umano, ma che per quanto tragico non fu e non e’ determinante per deviare il corso della storia. E infatti c’erano i taliban al potere, in Afghanistan, allora e ci sono nuovamente i taliban oggi, addirittura con la benedizione degli stessi Stati Uniti d’America che, oggi come ieri, si trovano in piena sintonia con i capi tribu’ presenti nel paese. Insomma, se spesso in politica estera viene utilizzata la metafora di una scacchiera, dunque gli scacchi, per descrivere le mosse e le tattiche usate dai diversi attori, nel caso dell’ 11 settembre e dei 20 anni che ne sono seguiti, sono piu’ adatti giochi come il Monopoli o il “Gioco dell’ oca”: torna direttamente al via, all’inizio.

Perche’ nella realta’ quasi nulla e’ davvero cambiato dal 2001, nonostante le frasi fatte mediatiche su un mondo diverso rispetto a prima. Anzi, allora inizio’ una fase che potremmo definire schizofrenica, per quella che era rimasta l’ unica potenza egemone a livello planetario. Pur di rispondere al piu’ grave attentato sul proprio territorio, almeno in  epoca recente (pochi sanno che gli inglesi, grazie alla loro straordinaria marina che permise di arrivare fino li’, durante la guerra di indipendenza incendiarono la Casa Bianca) gli Usa decisero di far qualcosa, a casaccio. Come al solito fretta e emotivita’ risultano essere pessimi consiglieri, soprattutto in politica estera. Infatti a causa di quell’ 11 settembre 2001 gli Stati Uniti intrapresero due delle piu’ sciagurate imprese della loro storia: dapprima l’Afghanistan, immediatamente dopo l”attentato alle Twin Towers, poi l’ Iraq, circa un anno dopo. Il tutto con pretesti assurdi e privi di senso: far la guerra al terrorismo, che e’ una tattica paramilitare’ e non un altro stato, in Afghanistan, cercare armi di distruzione di massa inesistenti in Iraq. Il risultato finale e’ stata la fuga e l’apparente debacle di questa estate.

Ma le cose stanno veramente in questo modo ? Non e’ cosi’ semplice ne’ scontato, anzi, vediamo in pochi punti il perche’:

1) “Triste y solitario el final” – Parafrasando il titolo della celebre opera di Osvaldo Soriano si puo’ descrivere cio’ che passa come il presunto declino dell’ímpero Usa. Oggi osserviamo come quasi tutti e ovunque vedano come una sonora sconfitta la fuga dall’ Afghanistan. Di conseguenza si ha una costernazione diffusa in Europa e nei satelliti come in parte dell’opinione pubblica statunitense, ma anche un entusiasmo alle stelle in Somalia o in Yemen, dove pare abbiano festeggiato coi i fuochi di artificio la fine della missione. Stesso discorso vale per altri paesi ostili agli Usa quali la Siria e l’Iran e un po’ per tutto l’antiamericanismo militante della terra. Ma attenzione, come stanno veramente le cose ce lo svela chi, insieme a questi paesi definiti “canaglia” dagli stessi Usa, invece congola. Di chi si tratta ? La risposta e’ Tony Blinken, che pare felice come una Pasqua in ogni sua apparizione televisiva e gronda soddisfazione e sicurezza se non da tutti i pori almeno da tutti i tweet. Si’, sono proprio gli apparati statunitensi i piu’ soddisfatti, insieme ad alcuni stati definiti canaglia. Qualcosa, evidentemente, non torna.

2) “Il nuovo Kissinger” – Il 71esimo segretario di stato e’ un uomo piacente, ancora giovanile e gioviale, (classe 1962), grande esperto di arte e soprattutto, a differenza del vero Kissinger, e’ nato negli Stati Uniti, da immigrati ucraini e ungheresi, proprio in quella New York ferita quel giorno di settembre ormai lontano e sbiadito. Ma e’ anche l’uomo simbolo degli apparati statali dentro la Casa Bianca. Essi, contrariamente alle assopite e un po’ frastornate opinioni pubbliche “occidentali”, sanno perfettamente quale e’ oggi la loro strategia: abbandonare delle strampalate “guerre” dettate dall’ emotivita’ per dedicarsi a quel che e’ davvero importante per il loro paese. E se gettare una patata bollente, un ostacolo, cioe’ l’Afghanistan, contro la Cina e il Pakistan e verso le nuove vie della seta, comporta un danno di immagine agli stessi Stati Uniti, ebbene poco importa. In altre occasioni e contesti si sarebbe definito un danno collaterale. E’ questa la strategia di Blinken e degli apparati Usa: provare a procurare un danno alla Cina e alle altre medie potenze in zona lasciando perdere le narrazioni e l’interventismo imperialistico di un tempo che fu e non tornera’ probabilmente mai piu’.  Non e’ un caso se potenze rivali strategiche degli Usa, importanti, come la Cina e la Russia, non sono particolarmente entusiaste della dipartita statunitense dall’Afghanistan, anzi. Nel frattempo il vero Kissinger scrive un assurdo articolo per l’Economist dove da’ la colpa di tutto al poco tempo a disposizione dell’ esercito Usa, quasi fosse una questione di 20 o 30 anni il problema. Scusiamolo per la veneranda eta’.

3) – Cosa non torna ? – E’ quella orribile mistura, un misto di ideologia e politologia che da’ origine ad una sorta di ipnosi. Una “ipnosi occidentale” che, assurdamente, vorrebbe seriamente applicare le stesse misure e i medesimi parametri sia a un paese come l’Afghanistan, dove l’individuo, uomo o donna che sia, non esiste e invece vi domina l’etnia e quindi i clan, sia a qualsiasi altro. A tal proposito un recente video di Lucia Goracci ci permette di vedere un talebano che dice alla brava giornalista Rai come a lui non sia permesso parlare con una donna. Ovviamente qui da noi questo viene visto come la prova dell’ inferiorita’ della donna nell’Islam, pero’ attenzione allo stesso tempo e’ anche la prova che pure l’uomo deve ubbidire ad un ordine superiore che arriva dal suo clan. Invece, persa nel suo astruso labirinto ideologico, la politologia, alimentata dall’ ideologia, tratta ogni paese come fosse uno stato dell’ Unione Europea. Esiste la folle convinzione, addirittura rafforzata nei satelliti europei con l’apporto di un economicismo dilagante e fallace, che il nostro impianto valoriale sia per forza di cose valido e anzi il migliore dappertutto. Quindi esportabile. Nel cosiddetto Occidente si ha quindi la convinzione che esista una concezione del mondo (guarda caso proprio la nostra) universalistica. Insomma, si vorrebbe fare con ogni stato quello che si prevedeva di fare con la DDR e la Germania Ovest durante la guerra fredda: tecnica, mercato e democrazia, se non la forza bruta,  presto o tardi convinceranno tutti che e’ bene fare come noi. Senza tenere minimamente in conto che almeno i  3/4 del mondo non sono la Germania, ne’ dell’ ovest ne’ dell’est, ma vedono come una forma di insopportabile colonialismo qualsiasi tipo di esportazione valoriale. Questo gli apparati statali dell’ unica superpotenza lo hanno capito pefettamente e infatti da almeno un decennio tentano di frenare i deliri e le avventure\disavventure della politica. Col risultato di un cambio di strategia oggi sotto gli occhi di tutti e che di certo non permettera’ grandi ricorrenze in occasione del ventennale dell’11/9, ma che restituisce al mondo un egemone piu’ sicuro di se stesso, maturo e quindi poco propenso, rispetto a vent’anni fa, a impelagarsi in imprese inutili che hanno cambiato in peggio gli Usa, l’ Oriente, l’Occidente e il mondo intero.

MARCO TOCCAFONDI BARNI

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