“PILLOLE GEOPOLITICHE”: PUTIN SCEGLIE IL PIU’ DURO DI TUTTI PER SALVARE IL SALVABILE.

Quando si nasce a metà strada tra un dittatore e un altro forse è destino diventare un macellaio. Aleksandr Vladímirovich Dvórnikov è nato a pochi chilometri dalla Corea del Nord: Ussuriisk.

Apostrofato col cupo nomignolo di “Macellaio di Siria”, dopo la campagna siriana, è un vero duro questo 60enne (nato nell’ agosto del 1961) scelto da un altro Vladímirovich: Putin. Speriamo per chiudere l’invasione dell’Ucraina.

Chi è Dvórnikov è presto detto: entra giovanissimo in un esercito allora sovietico, non ha ancora compiuto 18 anni. E’ una armata già a quell’ epoca non più rossa, contrariamente a quanto credono in troppi ancora oggi. E’ il 1978 e da noi le B.R  avevano appena attaccato il cuore dello stato, ma la sua carriera prende il volo oltre 10  anni dopo, all’ inizio degli anni ’90. Siamo nella disgraziata decade di Boris Eltsin, subito dopo la dissoluzione dell’ Urss. Un periodo di furti e ladroni (i primi oligarchi), che lasciarono la Federazione e il popolo alla fame. Anche un panino era un lusso a quel tempo. Tuttavia, sono anni d’oro per  Dvórnikov, che scala i vertici di un esercito nel frattempo diventato russo. L’ Urss non c’è più. Il grande sogno è stato ammainato con la bandiera: quella ancora rossa a differenza dell’ armata. La notte è quella del Natale 1991. La scalata dura anni, fino al 2015. E’ settembre quando compie il salto definitivo: viene nominato capo assoluto delle forze armate russe dislocate in Siria e decisamente schierate con il regime di Bashar Assad.

Da allora attua sulla disgraziata città di Aleppo (conquistata trionfalmente da Assad nel 2016 e oggi parte integrante del regime) un autentico massacro. Forse in Ucraina l’unica città paragonabile ad Aleppo è Mariupol’. Dvórnikov è accusato di aver utilizzato ogni tipo di espediente durante la sua carriera, in Cecenia come in Siria: l’utilizzo di armi chimiche, la tortura, i bombardamenti a tappeto. Tutto, pur di vincere qualunque forma di resistenza ai suoi obiettivi. Gli inviati in Siria durante quel periodo confermano che la sua tattica su Aleppo fosse semplice quanto barbara: dividere la città in 4 quadrati su una cartina e poi, quadrato per quadrato, spianare tutto, bombardare ovunque e su ogni cosa si muovesse, per poi passare a un altro quadrato sulla mappa. Tanto è vero che alcuni inviati, come Domenico Quirico, ancora adesso si domandano come sia possibile che ad Aleppo esistano comunque dei sopravvissuti al “trattamento Dvórnikov “. Ma per le opinioni pubbliche distratte d’Occidente si è potuto fare, in fondo erano diversi da noi e quindi a nessuno è mai importato niente né di Aleppo né della Siria, eccezion fatte per un infantile “innamoramento” verso le cosiddette “rivoluzioni arabe” all’ inizio del 2011. Eppure sono ormai anni che questo metodo resiste in una delle troppe zone dimenticate del mondo e dalle quali i profughi non vengono certo accolti con piacere, anzi, ma con sospetto. Quando va bene.

La domanda, però, oggi è un’ altra: perché Vladimir Putin ha scelto un generale di ferro ? La guerra in alcuni luoghi, soprattutto se fatta contro popoli con un aspetto e una lingua simili, deve almeno far meno male rispetto a posti lontani come il Medio Oriente. O no ? Eppure è stato chiamato lui dal Cremlino: “il macellaio siriano”. Perché ?

La ragione è semplice: Putin non è uno stupido e quindi sa benissimo che questa invasione sta andando male per lui (come avevo previsto nel mio primo articolo dedicato alla crisi, tanto è vero che nel mio piccolo avevo consigliato di non farlo). Sì, pare un pareggio, però è amaro. E’ una impasse che segnerà per sempre il ruolo di “egemone minore” della Russia nel mondo. Praticamente “l’orso” si ritoverà quasi alla stregua di un ex impero, schiacciato tra 2 giganti: Stati Uniti e Cina. Di conseguenza la scelta di Aleksandr Dvórnikov puo’ voler dire solo una cosa: si punta a prendere tutto il possibile, anche quello che era già nella disponibilità russa prima del 24 febbraio scorso. Insomma, si tratta di salvare il salvabile e portare a casa almeno un contentino per la propria opinione pubblica.

E’ il minimo sindacale per un Putin che, dopo questo azzardo insensato e come era lecito attendersi finito maluccio, probabilmente andrà a godersi una pensione di lusso raccontando che non è lui il leader ad aver perso l’ Ucraina. Ognuno ha la sua narrazione da raccontare o da dover credere. L’augurio è che poche città facciano la stessa fine di Aleppo, per il bene di quel  poco di umano che rimane. Nonostante tutto,nonostante la guerra.

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