Ciao, Giulia.

Rosa biancaNon è raro che mi commuova; mi capita spesso per cose molto più banali di quella che sto raccontando. Un film, una vecchia canzone, una cartolina, una foto sbiadita dagli anni. In una situazione tragica come questa che stiamo vivendo da spettatori tanto impotenti quanto sconfortati, poi, non è così strano: ognuno di noi si è immedesimato in quella mamma che ha perso il suo bambino fra le macerie; quella mamma partita per una vacanza, che ricorderà per tutta la vita. Non riesce a trovare il corpo del suo bimbo; ma lo vuole, lo cerca, lo pretende.

E’ strano, però, commuoversi per un biglietto che ti scorre nella home di facebook, ormai intasata da bandiere nazionali virtuali che riportano la scritta PrayforItaly. Come se potesse bastare. Come se una bandiera potesse alleggerire le nostre coscienze, la nostra sofferenza di fronte ad una tragedia del genere. Come quando avviene una strage a Parigi e, improvvisamente, tutti i profili virtuali si colorano del tricolore francese. Mi sono sempre chiesta che bisogno ci fosse; perché strumentalizzare anche il dolore. Come scriveva qualcuno che seguo con molta ammirazione, “Ridatemi un’emozione secca. Ristabiliamo il primato di un’emozione anarchica, irriproducibile, inclassificabile, su cui non si possano accampare diritti, specialmente d’autore. Dell’inconfondibile caldana che segue ad una figura di merda. Dell’incomunicabilità di una cosa importante. Della compostezza di un dolore vero.”

Al di là di questa considerazione, non condivisibile, torniamo alla mia stupida commozione. Torniamo a Andrea, il vigile che ha posto sulla bara della piccola Giulia questo bigliettino che vi mostro. “Ciao piccola, scusa se siamo arrivati tardi” – scrive Andrea – “Purtroppo avevi già smesso di respirare, ma voglio che tu sappia da lassù che abbiamo fatto tutto il possibile per tirarti fuori da lì.” Già solo queste poche righe, basterebbero per non dire altro; per non scrivere qualcosa che potrebbe risultare superfluo, inopportuno, fuori luogo. “Quando tornerò a casa mia all’Aquila, saprò che c’è un angelo che mi guarda dal cielo e di notte sarai una stella luminosa. Ciao Giulia, anche se non mi hai conosciuto. Ti voglio bene. Andrea.” Andrea si firma con un cuoricino; per ricordare, credo, il cuoricino di Giulia che si è fermato intrappolato fra il corpo di sua sorella Giorgia, a cui ha fatto da scudo, e le macerie della sua casa.

Lo so, non vi racconto nulla di nuovo. Ma lo racconto, lo voglio raccontare perché la memoria di queste cose non ci abbandoni mai, affinchè questo biglietto ci resti ben stampato nella mente per ricordare quanto la vita faccia schifo. Andrea, non puoi leggermi, ma semmai per qualche assurda ragione un giorno dovessi leggere queste poche parole, voglio che tu sappia questo: Giulia è andata via, è vero. Ma l’ha fatto con il sottofondo della tua voce, della tue rassicurazioni; come quando da bambini avevamo paura del temporale e ci addormentavamo lo stesso.. perché lì vicino, sentivamo la voce di qualcuno. Non potevi regalarle più di questo; più di una sensazione di “famiglia” nei suoi ultimi istanti.

Giulia, cosa dire a te? Non hai avuto il tempo di capirlo da sola, ma la vita fa schifo. Fa davvero schifo. Le probabilità non sono state a tuo favore; sei caduta nel punto sbagliato, chissà.. qualche metro in più o in meno, se avrebbe fatto la differenza. Magari si, magari no. Che Dio ti accolga fra le sue braccia.

Noi resteremo, qui. A ricordare.

Ritornando a me, dicevo della mia commozione.

Sì, ho letto questo biglietto e ho pianto.

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.”In memoria di Giulia. In memoria delle 290 anime presenti lì.

Elisa Agazio

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