TAIWAN, SCINTILLA PER LA 3° GUERRA MONDIALE ?

di Marco Toccafondi Barni

– La storia dell’ umanità si è sempre decisa sulle onde. E’ tutta qui la differenza tra le altre guerre e il duello per Taiwan, l’isola che chiude la Cina dentro casa sua. Località talmente amena che i portoghesi la battezzarono “isola bella” (Formosa). Oggi è più conosciuta col nome, probabilmente, di una delle tribù aborigene: Taiwan. Diverrà senza alcun dubbio il posto più “caldo” del pianeta. Il luogo dell’ eventuale gestazione della 3° guerra mondiale. E in effetti, per quanto si vaneggi di Danzica, anche l’ultimo conflitto mondiale diventò tale a causa di quella rotta commerciale, la più importante del globo. Avvenne quando i giapponesi si resero conto che gli Stati Uniti li avrebbero isolati attuando un blocco navale nel fatidico stretto. Oggi siamo sempre lì, in quel tratto di mare, a tremare per i destini del genere umano. La ragione è così banale che la capirebbe anche un bambino: se su Taiwan vince la Cina gli Stati Uniti non saranno più la potenza egemone e perderanno il ruolo di impero dominante, mentre il “Dragone” guadagnerà il suo mare e subito dopo il Pacifico. Se invece (come credo) gli Stati Uniti, in un modo o in un altro, riusciranno a spuntarla allora sarà Pechino a doversi rassegnare al ruolo di eterno secondo. E’ una finalissima e non ci sono alternative: chi vince la partita di Taiwan porta a casa l’egemonia globale. Chi perde è secondo.

Perché proprio Taiwan, ieri come oggi ? E’ una “chiave” per il dominio mondiale – E’ un’ isola che apparentemente dovrebbe contare poco o nulla, con i suoi 23 milioni di abitanti. Non a caso per secoli le dinastie al potere in Cina la definirono una “inutile palla di fango”. Altro che isola bella. Oggi si è tramutata in un’ autentica spina nel fianco per la Cina. Utile ai rivali perché  insieme ad altri isolotti (quasi scogli) mette l’impero cinese ai domiciliari, ne impedisce l’accesso all’ oceano Pacifico. Taiwan, infatti, pur ufficialmente riconosciuta praticamente solo dallo Stato Vaticano (almeno tra le potenze geopolitiche importanti), è controllata, armata fino ai denti e sotterraneamente aiutata con ogni mezzo dall’ egemone, dalla potenza rivale della Cina. Ovvio,  gli Usa. Accade perché, come scritto anche in un articolo lo scorso marzo sulle nostre pagine, Taiwan è una delle 2 chiavi per dominare il mondo, una delle 2 “password” necessarie per ottenere lo status di potenza egemone. L’ altra “chiave” si trova nei Caraibi: è Cuba. Non è casuale che una guerra mondiale sia scoppiata (Taiwan) e un’ altra sia stata sfiorata (Cuba) proprio per le 2 isole. Sono indubbiamente le “chiavi” grazie alle quali apri o chiudi al mare e quindi al mondo, per dominarlo (Usa) oppure essere chiuso e umiliato in casa tua dal rivale (Cina). Insomma, è ovvio che chi ha le chiavi di casa comanda, sempre, attualmente le hanno gli Stati Uniti. Quelle cubane fin dal 1898, con la base di Guantanamo, quelle taiwanesi dal 1949, l’anno della rivoluzione maoista e al contempo della trasformazione di un’ isola in stato taiwanese. Se vuoi uscire di casa devi avere la chiave adatta per aprire la porta e per questo Taiwan è irrinunciabile sia per la Repubblica Popolare che per gli Stati Uniti d’America.

La “chiave” taiwanese è l’unico motivo del contendere ? No, è senz’altro il più importante ma non è l’unica ragione per la quale il leader cinese, Xi Jinping, ha fatto della questione una ragione di vita, ponendo un ultimatum, il termine massimo del 2049. Una data non casuale, essendo il centenario della rivoluzione comunista di Mao e della conseguente fuga dei nazionalisti di Chiang Kai-shek sull’ isolotto. Esiste un altro motivo ed è quello dell’ umiliazione continua. Se infatti pensassimo (fantasia allo stato puro) all’ Italia come a una grande potenza mondiale e alla Francia come il suo principale rivale, ebbene quel che capita adesso alla Cina sarebbe paragonabile a un “Belpaese” incapace di conquistare la Corsica  e dunque doverla lasciare, per impotenza manifesta, nella totale disponibilità del rivale francese. Il tutto aggravato dal fatto che gli Stati Uniti, per loro interessi geopolitici e strategici legati alla Guerra fredda, non riconoscono neppure Taiwan. Un’ umiliazione dentro un’ altra umiliazione che Pechino non puo’ sopportare.

Chi ha mosso Nancy Pelosi ? I cosiddetti “alleati” (nel mondo reale satelliti) degli Stati Uniti non hanno fiatato riguardo la visita della 3° carica statunitense, anzi è prevalso un imbarazzo diffuso tra le province a stelle e strisce, ma la stessa Casa Bianca aveva mandato messaggi espliciti per invitare la Pelosi a rinviare o meglio ancora a non fare il viaggio, arrivando a riferire i dubbi del Pentagono. Perplessità espresse pubblicamente anche dai consulenti più in vista della Difesa statunitense, come Melanie Sisson, della Brookings Institution, che testualmente ha detto: “Il viaggio comporterà più costi che guadagni e ha peggiorato le relazioni tra noi e la Cina”. Stesso identico parere di Trump, che di certo non è un amico degli apparati. Si ripete quindi un copione già visto l’estate scorsa nella sgangherata fuga da Kabul, quando il Pentagono si mostrò contrario a modificare lo status quo e deciso nel proseguire l’assurda missione in Afghanistan, forse in cerca di una narrazione inesistente da vendere all’ opinione pubblica mondiale. Al contrario gli apparati statali se ne volevano andare, seguendo la logica e infischiandosene del soft power e della Statua della libertà o delle patetiche narrazioni sui diritti umani, diffuse a piene mani un po’ ovunque. In Afghanistan hanno vinto quest’ultimi, con la Casa Bianca come al solito tra l’incudine e il martello. Tra l’altro non è la prima volta che  un presidente della Camera (detto speaker negli Stati Uniti) si reca a Taiwan. Era il 1997 quando Newt Gingrich, controversa figura in voga alla fine del secolo scorso, incontrò Lee Teng-hui nel palazzo presidenziale di Taipei. Tuttavia le analogie tra le due visite finiscono qui. Gingrich era infatti un repubblicano simile al Trump di oggi, un “The Donald” ante litteram, sia come atteggimenti che stile politico. Venticinque anni fa alla Casa Bianca sedeva un democratico di successo come Bill Clinton, ma era soprattutto la Cina del 1997 ad essere diversa, non quella di oggi. In un quarto di secolo l’esercito di Pechino si è rafforzato modernizzando le proprie forze armate, tanto da diventare l’unico vero rivale strategico degli Stati Uniti e aver fissato una data per il ricongiungimento dell’ isola ribelle alla Madre Patria. Se ne deduce che dietro la 3° carica dello stato se non c’è il Pentagono né la Casa Bianca, non possono che esserci gli apparati statali, quelle 16 agenzie, tra le quali la CIA, che come mestiere fanno proprio quello: mantenere gli Usa impero egemone. Anche contro la volontà di parte degli statunitensi.

Talloni di Achille a stelle e strisce e problematiche made in China – E proprio questa contrarietà popolare puo’  far ben sperare in un match che, almeno in teoria, appare senza esclusione di colpi e privo di compromessi, visto che in gioco c’è l’egemonia nel pianeta. Mica spiccioli di gloria. Sì, forse arriva il post storicismo in soccorso dell’ umanità. Quello cinese, consapevole di un’ arretratezza ancora evidente rispetto alla potenza egemone, nonostante gli enormi passi in avanti fatti da Pechino negli ultimi decenni, come quello statunitense. Se da un lato la Cina è ben consapevole di essere ancora indietro rispetto ai rivali, da ogni punto di vista, dall’altro gli Stati Uniti devono fare i conti con un’ importante parte di popolo che è sfinita dall’ essere impero. Non ne puo’ veramente più, soprattutto tra i grandi laghi, gli stati del Mid – West dai quali viene anche Biden. Il post storicismo è sempre una presenza insidiosa, subdola e al tempo stesso amaliante, avvolgente, affascinante quanto sfuggente e contraddittoria. E’ spesso  letale per qualsiasi impero. Potrebbe essere così anche per l’attuale egemone. E’ infatti la prima volta nel corso della storia che gli Usa hanno a che fare con un sentimento diffuso nel suo popolo che, in fin dei conti, si risolve in una domanda fatidica quanto mortifera per le mire imperiali: “Abbiamo davvero ancora voglia di fare guerre per dominare il mondo”? Paradossalmente, nonostante una superiorità ancora netta, vige un rifiuto dello sfiancante ruolo e la voglia di pensare ai fatti propri, che si manifesta nel trumpismo e in figuracce come appunto la rocambolesca fuga da Kabul o l’assalto al Campidoglio. Il tutto ha un unico nome: post storicismo e per un impero, soprattutto se egemone, equivale alla criptonite per Superman. Per contro la Cina sa perfettamente di essere un gigante, più che una tigre, ancora di carta. Certo, ha dalla sua il fatto di avere quasi 1 miliardo e mezzo di abitanti, quei passi da gigante compiuti in tanti settori e numeri che non lascerebbero spazio a dubbi, col milione di uomini per le forze di terra contro i circa 90.000 militari di Taipei. Eppure non è ancora in grado di effettuare uno sbarco anfibio (l’azione militare più complicata) per conquistare un’ isola armata fino ai denti dal suo principale rivale strategico e che dista appena 143 chilometri. Insomma, un “D-Day il salsa sinica” non sembra  alla portata per il momento. La risposta di questi giorni alla visita degli apparati Usa, attraverso la Pelosi, è stata più di facciata che altro. Il post storicismo salverà ancora una volta in corner l’umanità. Ma non è detto duri per sempre.

Gli Usa nel dubbio e l’ago della bilancia russo – Intanto  serpeggia un grande dubbio nel dibattito pubblico e nelle stanze del potere statunitensi: cosa fare con la Russia ? Stavolta, a differenza del viaggio a Taipei della Pelosi, la Casa Bianca sta con gli apparati. Sono ormai anni che la politica e le agenzie di intelligence spingono per un avvicinamento col Cremlino. Il Pentagono è contrario e memore della “Guerra Fredda” preferisce continuare a presentare all’ opinione pubblica domestica la Russia come il nemico pubblico numero uno. Putin e i suoi apparati tutto questo lo sanno e infatti la Russia, da oltre 20 anni, si propone come socio paritario dell’ egemone e dell’ “Occidente”, contro il Dragone cinese, consci del fatto che non potranno mai essere alleati strategici nel lungo periodo della Cina, solo tattici e nel breve. Sta capitando adesso, non puo’ durare. In tal caso è principalmente l’egemone che dovrà scegliere: giocarsi la Russia contro la Cina nella sfida finale oppure accoppare definitivamente l’ “orso” affinchè il cadavere venga poi trascinato via dal vicino “Dragone” per utilizzarlo in base ai suoi scopi ? Gli apparati statali la risposta ce l’hanno già e anche la Casa Bianca, resta da convincere l’esercito. Le abitudini della guerra fredda sono dure a morire. Ma il mondo all’ epoca aveva circa 4 miliardi di abitanti, in autunno saremo il doppio. Non è un dettaglio nella strategia.

Come finirà ? – Difficile da prevedere, anche perché si ragiona in termini di decenni e non di anni, ma probabilmente alla fine gli apparati e la politica statunitensi avranno la meglio sul Pentagono (come del resto è successo in Afghanistan appena un anno fa). Lo scenario più probabile sarà quello di una Federazione russa perdonata per la guerra in Ucraina, chiaramente in cambio di un Putin pronto a farsi da parte e prontamente sostituito da un “uomo nuovo” degli apparati, nei suoi occhi dalle nostre parti si vorrà nuovamente veder brillare la democrazia, proprio come avvenne con l’attuale leader russo ai tempi di Bush figlio. Insomma, una “nuova Russia”, finalmente alleata con un Occidente compatto contro la Cina. E Taiwan ? La partita come detto è sul mare (anche perché oggettivamente sarebbe folle affrontare via terra un paese di quasi 1 miliardo e mezzo di persone) quindi decisiva. Alla fine gli Stati Uniti, a mio modo di vedere, rimarranno l’egemone globale anche nei prossimi secoli. La risposta fin troppo scenografica da parte di Pechino in questi giorni ne è prova evidente.


Forze di terra : Cina 965.00 – Taiwan 94.000

Marina militare: Cina 260.000 – Taiwan 40.000

Forze aeree: Cina 395.000 – Taiwan: 35.000

Carri armati: Cina 5.400 – Taiwan: 650

Aerei: Cina 3227 – Taiwan 504

Sottomarini: Cina 59 – Taiwan 4

Navi militari: Cina 86 – Taiwan 26

Fonte: (Bilancio militare 2022 dei due stati).

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