ISRAELE E I PALESTINESI: HANNO TUTTI RAGIONE, ABBIAMO TUTTI TORTO

Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti (Fabrizio De Andrè)

Hamas sapeva benissimo, nei due anni che ha speso organizzando l’aggressione che ha poi realizzato massacrando indiscrinatamente bambini, ragazzi, donne e uomini: lo sapeva benissimo che poi Israele avrebbe reagito con la stessa cieca violenza assediando e colpendo in modo indiscriminato, nella Striscia di Gaza, bambini, ragazzi, donne e uomini. Ma Hamas, cinicamente, ha colpito. Come tutte le organizzazioni animate dal fanatismo, essa progetta un’improbabile felicità futura infischiandosene della sicura disperazione che provoca nel presente. È anzi probabile che i suoi capi abbiano calcolato, cinicamente, che la reazione israeliana all’aggressione avrebbe poi fomentato, tra i palestinesi, un odio già parossistico.

D’altra parte, Hamas non è nata per caso: ubriachi di nazionalismo, i governi israeliani, dopo la morte di Yitzhak Rabin, assassinato da un fanatico ultra-sionista, hanno bellamente ignorato i diritti dei palestinesi, trasformando la Striscia in un immenso carcere a cielo aperto, mentre colonizzavano la Cisgiordania con la proliferazione di insediamenti inutilmente quanto fiaccamente condannati dall’ONU, delle cui risoluzioni al riguardo Israele si è tranquillamente infischiato, forte del sentimento anti-arabo e anti-musulmano che, in modo più o meno conclamato, è diffuso in tutti i governi del mondo occidentale.

Israele ha quindi carta bianca, e nonostante il grido che si leva tra i suoi stessi cittadini e fra tanti ebrei illuminati in tutto il mondo si fa forte del suo status di “unico Paese democratico nel Medio Oriente” e del senso di colpa che, fra i nostri governi, continua a confondere lo Stato con il popolo ebraico, assolvendo il primo per non offendere il secondo, e persegue imperterrito la sua politica di espansione.

Il mondo musulmano, a sua volta, dilaniato anch’esso al suo interno dalle divisioni e dagli odii, fa della causa palestinese una carta da giocare nel risiko della politica di quell’area, di fatto infischiandosene della situazione dei profughi. È in questa chiave che va letto l’appoggio dell’Iran sciita ad Hamas e ad Hezbollah, organizzazioni che gli Ayatollah foraggiano, oltre che in chiave anti israeliana, anche per contrastare la sunnita Arabia Saudita.

Tutto questo trova alimento e conforto nella struttura mentale generata dalle religioni dominanti in quell’area, l’Islam e l’Ebraismo, che legittimano l’odio verso il nemico, il desiderio di distruggerlo senza pietà, l’uso indiscriminato della violenza e il diritto alla vendetta.

La guerra, d’altra parte, in barba a convenzioni e leggi internazionali, non conosce regole né limiti. Ogni pretesa di “umanizzarla” è inutile oltre che ipocrita: per questo non mi ha sorpreso la ferocia dei mercenari della Wagner in Ucraina, né mi sorprende ora quella di Hamas e quella di ritorno di Israele. Mi ripugna e mi disgusta, ma non mi sorprende.

Noi europei, comunque; noi presunti eredi dell’Illuminismo, noi che, come disse Benedetto Croce, “non possiamo non dirci cristiani”, dovremmo badare a pensarci due volte prima di emettere giudizi.

Ci inorridiscono, giustamente, la violenza cieca di Hamas e la reazione spietata di Israele, ma quale diritto abbiamo, noi, di dare lezioni? Il fatto che siano trascorsi ormai oltre settant’anni dalla fine dell’ultima guerra, durante la quale ci siamo massacrati fra noi senza pietà, ci ha fatto dimenticare gli orrori che noi pure, con la stessa ferocia, abbiamo perpetrato contro bambini, ragazzi, donne e uomini per ben sei anni.

La stragrande maggioranza degli europei non ha idea di cosa significhi il verbo “coventrizzare”, che fu coniato dopo che l’aviazione di Hitler rase al suolo la città inglese di Coventry; non pensa ai bombardamenti quotidiani che Londra subì, né sa, sul versante opposto, degli incendi, delle esplosioni, delle distruzioni, delle decine di migliaia di vittime civili che i bombardieri alleati provocarono su Dresda, Francoforte, Berlino, Monaco di Baviera, e innumerevoli altre città tedesche. E noi italiani, a nostra volta vittime della guerra voluta di Mussolini, abbiamo dimenticato – o ci rifiutiamo di ricordare – gli orrori che abbiamo perpetrato in Libia e in Etiopia e poi, al fianco di Hitler, in Jugoslavia (provocando la reazione infame dei titini con le foibe) e in Russia. Abbiamo dimenticato le leggi razziali, la Repubblica di Salò, i rastrellamenti, la collaborazione con i nazisti nell’attuazione della Shoah.

E che dire delle guerre più recenti nella ex Jugoslavia, dell’assedio di Sarajevo, dei massacri operati dai fanatici serbi contro le minoranze bosniache?

Non c’è niente di nuovo, a parte la maggiore diffusione mediatica, negli orrori della guerra fra Israeliani e Palestinesi. Scandalizzarsene è ipocrita, tanto quanto è stupido e superficiale lo schierarsi con l’una o con l’altra parte, condannando gli orrori degli uni senza tenere conto degli orrori degli altri.

Le potenze, locali o mondiali, solo a chiacchiere condannano questa ennesima esplosione di violenza in Palestina. Se l’odio di Hamas verso Israele l’ha scatenata, suscitando l’altrettanto feroce reazione di Israele, da parte loro USA, Europa, Iran, Arabia Saudita e Russia non ci vedono che un nuovo terreno sul quale misurare ciascuna la propria capacità di influenza, indifferenti, nei fatti, alle sofferenze delle popolazioni coinvolte.

E noi? noi, che ce ne stiamo sui nostri divani e doverosamente proviamo raccapriccio, e magari spendiamo qualche lacrimuccia vedendo sui TG le scene di questa guerra, possiamo noi assolverci? Possiamo assolverci, noi, che sotto sotto ci preoccupiamo più che altro dell’effetto che quest’ennesima guerra avrà sul prezzo della benzina e della pasta, e del costo che essa avrà sul nostro quieto vivere?

Possiamo assolverci, noi che superficialmente, invece di agire concretamente per superare divisioni, odio e incomprensioni, ci affrettiamo – ma senza alzarci dai nostri divani – a parteggiare per gli uni o per gli altri, prima di cambiare canale e passare alla partita di calcio, per dedicarci ad altri oggetti di altrettanto superficiale odio o amore?

Anzi, in realtà, di ben più profondo odio o amore, perché in fondo quella guerra si combatte lontano, non colpisce – non ancora – le nostre case, i nostri cari e i nostri amici, mentre ci fa tanto, tanto male, veder perdere la partita alla nostra squadra del cuore, o vincere la squadra nemica, a maggior ragione se a causa di un’ingiusta decisione arbitrale.

Proviamo pure a crederci assolti, siamo per sempre coinvolti.

Giuseppe Riccardo Festa

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