SUDAN: LA GUERRA NASCOSTA

Un anno di conflitto interno e disperazione umana che non fa notizia!

Profughi in Sudan

»Antonio Loiacono

Ad un anno dall’inizio del conflitto in Sudan (15 aprile 2023), la situazione umanitaria nel paese continua a deteriorarsi rapidamente, accompagnata dal silenzio più assordante! Il Sudan è teatro di una guerra interna spietata, il cui scoppio riflette più l’ambizione di mantenere il potere personale che una vera visione di prosperità per il popolo. Lontana da progetti politici articolati, questa lotta sembra essere alimentata dalle ambizioni di fazioni desiderose di consolidare il loro dominio militare a lungo termine; un conflitto che si intreccia con interessi politici, strategici ed economici locali, nazionali e internazionali. In questo scenario, diventa inevitabile considerare il ruolo dell’Europa e dell’Italia, che hanno focalizzato la loro attenzione principalmente sui flussi migratori in transito nel paese, trascurando altre questioni cruciali e alimentando così il sostegno a un regime che per decenni ha dominato il Sudan. Questa apparente contesa locale si inserisce in un contesto più ampio, definito da Papa Francesco come la “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”. Durante un vertice tenutosi a Parigi, i leader dell’Unione Europea hanno evidenziato la drammaticità della situazione e la necessità di un intervento immediato per evitare una catastrofe umanitaria senza precedenti. Finora, solamente il 6% dei fondi umanitari necessari per il 2024 è stato versato, lasciando un’enorme lacuna che mette a rischio la vita di milioni di persone. Senza un cessate il fuoco immediato e un accordo per garantire la sicurezza degli operatori umanitari, il rischio è che la situazione precipiti ulteriormente, con conseguenze devastanti per la popolazione civile. Ma l’allarme non riguarda solamente il Sudan. La crisi ha il potenziale per destabilizzare l’intera regione, con particolare preoccupazione per il Ciad, che ospita già 700mila profughi sudanesi. Le elezioni presidenziali previste per il prossimo 6 maggio potrebbero essere un momento critico per il paese ed un’ulteriore escalation della violenza in Sudan potrebbe avere ripercussioni destabilizzanti anche sul Ciad. L’Unione Europea, insieme ad altri attori internazionali, sta spingendo per un impegno concreto e coordinato per affrontare questa crisi senza precedenti. È necessario non solo fornire assistenza umanitaria immediata, ma anche lavorare per trovare una soluzione politica al conflitto, che metta al centro il rispetto dei diritti umani e la protezione delle persone più vulnerabili. Dopo un anno, il paese è diviso in tre parti. Una è sotto il controllo dell’esercito regolare, che rivendica di essere il custode della transizione e controlla gran parte del corso del Nilo, la costa del Mar Rosso con il porto di Port Sudan, ormai divenuto la capitale “de facto”, e parte degli stati del Sud-Est. La seconda è controllata dalle RSF (Rapid Support Forces), e comprende alcuni stati del Sud-Ovest e gran parte del Darfur. Infine, una vasta area dispersa nel paese è in mano a varie forze ribelli, con legami a nuovi interessi, antichi gruppi e fedeltà locali, spesso caratterizzate da identità etniche estese oltre i confini. Le maggiori città, compresa la capitale Khartoum, sono teatro di scontri, trasformando un tempo una delle maggiori metropoli africane, con quasi 7 milioni di abitanti, in una desolata e devastata terra di nessuno. I combattimenti hanno provocato un’enorme quantità di sfollati: oltre 8,7 milioni, di cui più di 2 milioni hanno cercato rifugio in altri paesi. Si contano almeno 13.000 morti confermati, ma il numero potrebbe essere sottostimato, e più di 11.000 casi di colera segnalati. L’80% degli ospedali del Sudan è fuori uso, mentre metà della popolazione necessita di assistenza umanitaria, purtroppo scarsa e difficilmente accessibile in molte aree a causa dell’insicurezza. La guerra ha frantumato il tessuto sociale del paese, rendendo la popolazione civile vittima di violenze dilaganti, con bambini uccisi, violentati e reclutati dalle milizie come armi di guerra. In un mondo in cui la pace sembra sempre più fragile e l’umanità continua a soffrire a causa dell’egoismo, è imperativo che la comunità internazionale si impegni con urgenza e determinazione: la guerra non deve diventare il destino del popolo sudanese. É ora di porre fine alla violenza e di lavorare insieme per costruire un futuro di pace e prosperità per tutti.

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