IL GRIDO NEL DESERTO DI ELENA CECCHETTIN

Elena Cecchettin ha ragione: la morte della sorella Giulia è il frutto e la conseguenza di una struttura mentale che è anche struttura sociale e culturale. Di un mondo in cui ancora, dietro una richiesta di fedeltà, un uomo nasconde una dichiarazione di proprietà. Di un mondo in cui l’uomo si sente in diritto di aggredire una donna se a suo parere lei lo ha “provocato”, in cui troppo spesso la gelosia possessiva è considerata un’attenuante perfino nei tribunali; di un mondo in cui quegli stessi tribunali ritengono poco significativo un palpeggiamento durato meno di dieci secondi, e perfino la Corte di Cassazione accusa troppo spesso le vittime di stupro di non essersi difese abbastanza, o di essersi lasciate sfilare i jeans attillati e quindi di essere state consenzienti, anche se avevano un coltello puntato alla gola.

Elena Cecchettin chiede che la sorella Giulia sia l’ultima vittima di questo stato di cose, ma sappiamo bene tutti che così non sarà. Così non sarà perché quella stessa maggioranza di governo che oggi chiede minuti di silenzio per onorare le vittime, e che parla di sentenze esemplari, continua a rifiutarsi di capire che quando si arriva alla sentenza, per quanto esemplare essa possa essere, è ormai già troppo tardi, perché nessuna sentenza, per dura ed esemplare che sia, potrà restituire la vita alla donna assassinata o la serenità alla donna stuprata.

Quella stessa maggioranza di governo annovera nel suo seno il deputato – non a caso leghista – Rossano Sasso, che in Parlamento ha definito “una nefandezza” l’idea di introdurre nelle scuole l’educazione sessuale; quella stessa maggioranza, al Parlamento Europeo, si è astenuta alla votazione per l’adesione della Comunità alla Convenzione di Istambul per la prevenzione della violenza sulle donne, e due suoi rappresentanti hanno addirittura votato contro, invocando la fantomatica idiozia dell'”ideologia gender”.

Ci saranno, lo sappiamo tutti, altre donne vittime di violenza sessuale e di femminicidio, perché troppi uomini continuano a rifiutare l’idea che una donna appartenga solo a sé stessa e perché troppi politici blaterano di difesa della vita, se si tratta di difendere un grumo di cellule appena concepito (in barba al diritto delle donne all’autodeterminazione) o di dare la cittadinanza italiana a una neonata condannata a morte fin dalla nascita da una malattia senza speranza (ma rifiutandola a bambini sanissimi, nati in Italia, solo perché figli di stranieri), appellandosi a un ideolgismo astratto e disumano e, dicendosi cristiani, pretendendo che tutti condividano non solo la loro religione, ma anche il loro modo – solitamente ottuso e settario – di interpretare quella religione.

E comunque non è solo una questione di questa o quella maggioranza politica: il problema, come giustamente grida Elena Cecchettin, è sociale e culturale, prima di tutto. Ci saranno altre vittime di stupro e di femminicidio, nonostante il suo grido disperato, perché troppi uomini ancora sono convinti che la donna debba sottostare all’uomo, che sia una cosa da possedere, che non abbia diritto di vestirsi, di comportarsi, insomma, di vivere come vuole, perché la società si affretterà subito a giudicarla e a catalogarla; e a dare a lei la colpa se un figlio di questa pseudocultura si riterrà in diritto di abusare di lei, perché “lo ha provocato”; e anche a compatire, e giustificare il suo assassino, perché, poverino, “ha agito in preda a un raptus di gelosia”, “bisogna capirlo, è una brava persona”, “era follemente innamorato di lei”, “non sopportava di perderla”, e via di seguito, invocando attenuanti che, in realtà, sono aggravanti.

Il governo e la maggioranza in carica parlano di pene esemplari: non sanno pensare ad altro che a reprimere, col tipico atteggiamento giustizialista di chi non sa ragionare in termini culturali. È ovvio che il colpevole debba essere punito. Ma quanto sarebbe meglio se il colpevole non ci fosse, se fin da bambini, finalmente, si imparasse che non esiste alcun diritto alla prevaricazione del forte sul debole, del ricco sul povero e soprattutto dell’uomo sulla donna?

Sarebbe meglio, ma non succederà. Il grido di Elena Cecchettin resterà una voce che grida nel deserto e sua sorella Giulia non sarà l’ultima vittima di una società incapace di uscire dalla sua vetusta mentalità patriarcale. Ci saranno altri femminicidi e ancora, ipocritamente, si invocheranno minuti di silenzio nelle scuole mentre nelle scuole, invece del silenzio, bisognerebbe sentire la voce della civiltà, della cultura e della crescita sociale e civile; ma quella voce non si vuole che si levi.

E perciò nulla cambierà.

Giuseppe Riccardo Festa

Print Friendly, PDF & Email

Visits: 185

Puoi essere il primo a lasciare un commento

Lascia una risposta