Generale, mi tocca bocciarla di nuovo in storia.

Lucio Settimo Severo: chi era costui? si chiederebbe il don Abbondio – o forse il generale – di turno incontrando questo nome che sa di antico. Glielo dico io: si tratta del fondatore della dinastia dei Severi e fu imperatore di Roma dal 193 d.C. fino alla morte, nel 211.

Fu padre del famoso Caracalla, quello nelle cui terme, dice la strofetta, i romani giocavano a palla. E fu un buon imperatore, un tantino arrogante se vogliamo: decise di non essere più “princeps”, come i suoi predecessori (e quindi primo fra i senatori coi quali comunque, almeno formalmente, divideva il potere), ma “dominus ac deus”: in altri termini, ben prima di Luigi XIV, Settimio Severo disse chiaro e tondo “lo Stato sono io (e sono pure dio)”.

Fin qui non ci sarebbe niente di strano: di imperatori a Roma ce ne furono tanti, più o meno presuntuosi e più o meno autocratici. Ma c’è un dettaglio in più da notare, a proposito di Settimio Severo, che non era solo presuntuoso e autocratico. Questo imperatore  era africano, ed era anche di pelle scura.

Diversamente, però, da quello che pensano certi generali nostri contemporanei e tanti che gli vanno appresso, la cosa, ai Romani, non dava il benché minimo fastidio.

Il fatto è che i Romani non avevano la più pallida idea di cosa fosse il razzismo. Settimio Severo, al termine dell’ennesima guerra civile che aveva fatto seguito alla morte violenta di Commodo, prese il potere perché era il più forte, dimostrandosi poi anche saggio. E chissenefrega se, come avrebbe detto Silvio Berlusconi, “era abbronzato”.

Ripensando al don Abbondio di manzoniana memoria, va detto che lui si faceva prestare i libri dal suo collega del paese vicino e un minimo di cultura cercava di farsela. Il generale, ahilui, no. Il generale omofobo che si paragona al bisessuale Giulio Cesare spara frasi fatte (“gli italiani da 8000 anni sono bianchi”) confermando quel che già, riportando un pensiero di Umberto Galimberti, ho riferito nel mio articolo precedente: troppi esponenti della destra italiana non studiano, vivono appunto di frasi fatte e di luoghi comuni; in una parola, di pregiudizi.

Da qui nascono le intemerate del generale contro femministe, giocatrici di pallavolo di colore (quello che ha detto di Paola Egonu corrisponde al classico “io non sono razzista, ma…”), omosessuali, “diversi” di ogni ordine e grado e chi più ne ha più ne metta.

Fosse lui solo, pazienza, anche se da un generale uno si aspetta un minimo di studio e preparazione. Il dramma sta nel fatto che sono tanti quelli che guardano il mondo attraverso le lenti del pregiudizio. Per migliaia e migliaia di italiani documentarsi, informarsi a fondo, vagliare: studiare insomma, è troppo faticoso. È tanto più semplice, che diamine, accontentarsi della spiegazione più comoda, quella che in sostanza dice “noi siamo belli, buoni, bravi e intelligenti e questa è casa nostra, e invece gli altri sono brutti, sporchi e cattivi e ci vogliono invadere”. È tanto più comodo, in conclusione, crogiolarsi nei propri pregiudizi.

Per quanto sia inutile, a costoro – dal generale in giù passando per Vittorio Sgarbi, Gianni Alemanno e i tanti altri che del generale si sono fatti paladini – un fraterno avvertimento mi sento di elargirglielo. Attenti, signori, col pregiudizio: il pregiudizio che voi usate contro gli altri, gli altri potrebbero usarlo contro di voi. Superate la vostra indolenza e andate a leggervi, per esempio, cosa pensavano degli italiani, negli USA, fino alla metà del secolo scorso e anche oltre.

E in ogni caso, poiché voi, presumo, siete persone intelligenti, evitate di farne lo strumento di valutazione del mondo. Il pregiudizio è la base culturale degli imbecilli, quindi datevi una regolata.

Giuseppe Riccardo Festa

Print Friendly, PDF & Email

Visits: 208

Puoi essere il primo a lasciare un commento

Lascia una risposta