Presìdi morali, prèsidi occhiuti e la sindrome di Vittorio Sgarbi

Prima di tutto un’onesta ammissione: detesto le mode. Ritengo che seguire le mode sia un ottimo modo per intrupparsi in un gregge credendosi originali. Dunque non riesco proprio a vedere dove stia la bellezza e ancor meno l’eleganza in un paio di jeans sbrindellati e pieni di buchi, né in un paio di pantaloni calati sotto le natiche, con le mutande bene in vista, con conseguenti ed evidenti difficoltà di deambulazione per il modaiolo che ancora si ostina a vestirsi – o semivestirsi – in questa maniera.

La calura estiva aggrava la situazione, perché alle già citate irrazionalità modaiole si aggiunge la voglia di liberare il corpo della maggior quantità possibile di indumenti, destando nell’osservatore, a seconda della sua natura, libidinose ondate di testosterone o livorose accuse di mancanza di decoro o forse anche entrambe le cose, dichiarate le seconde e segrete le prime.

Detto questo, però, mi guardo bene dal pretendere di impedire a chi vuol seguire la moda, fosse anche la più bislacca, di fare quel che gli pare, purché non rechi danno al prossimo.

Quanto sopra premesso, nasce il problema dell’abbigliamento scolastico e del decoro che si esige dagli studenti in quelli che sono o si suppone che siano, o che si vorrebbe tanto che fossero, i templi del sapere: sempre più spesso, infatti, si legge di studenti accusati di entrare in classe indossando tenute “non confacenti”, nel migliore dei casi, o “indecenti” nei più spinosi.

Il caso più recente si è verificato a Vicenza dove, così dicono le cronache, la dirigente scolastica ha fatto il giro delle classi di una scuola ed ha passato in rivista gli studenti e le studentesse; non limitandosi, però, a stigmatizzare l’abbigliamento troppo sbarazzino (cosa in sé comprensibile), avrebbe anche “aggiunto commenti di stampo sessista e grassofobico, utilizzando termini volgari e paternalismo verso le studentesse che dimostravano il loro disagio o piangevano”: da qui la decisione degli studenti di indire uno sciopero.

Se potessi parlare a quella dirigente scolastica, le direi (beninteso evitando il tono paternalistico): che peccato, professoressa! Mi dispiace, ma lei è bocciata nella materia che, data la sua professione, dovrebbe essere quella in cui è più ferrata: la coerenza. Professoressa, lei mi cade proprio sullo stile, come un qualunque Vittorio Sgarbi. Come fa a esigere dai suoi alunni decoro e dignità se poi, ricorrendo all’insulto e alla derisione, è lei la prima a mostrarsene carente?

Non mancano, professoressa, gli esempi, letterari e filosofici, ai quali lei avrebbe dovuto fare riferimento: per esempio l’adagio latino Medice, cura te ipsum, che non ha bisogno di traduzione, o quel versetto evangelico che invita a non guardare la pagliuzza nell’occhio del prossimo prima di aver tolto la trave dal proprio.

Non conosco, inoltre, i dettagli dell’abbigliamento delle studentesse sui quali si è soffermato l’occhio vigile della dirigente, ma ho motivo di ritenere che riguardassero l’eccessiva percentuale della pelle delle medesime che era offerta alla vista. O tempora, o mores, avrà mormorato la professoressa: mala tempora currunt, non senza ricordare che ai suoi tempi le ragazze andavano a scuola indossando castigati tailleur e i ragazzi giacca, camicia e cravatta.

Non dico, professoressa, che lei abbia del tutto torto; ma sa, i tempi cambiano, i costumi pure, il concetto del pudore e quello della decenza anche, tanto che nessuno (a parte me e, ci scommetto, pure lei) si scandalizza se un leader politico nazionale, tale Matteo Salvini, in un raptus di euforia calcistica, intona un giulivo vaffa all’indirizzo della squadra concittadina ma rivale, se un altro, Beppe Grillo, dà il via alla sua carriera facendo del citato vaffa il programma del suo partito, se il sullodato Vittorio Sgarbi si fotografa mentre siede nudo sul WC di casa sua.

E comunque, professoressa, dati i tempi che corrono, con l’ondata di oscurantismo che sta avanzando torbida sul mondo fra Ungheria, Polonia, Putin, Afghanistan, Corte Suprema USA, Erdogan e chi più ne ha più ne metta, mi sembra che il vero problema non sia un ombelico adolescenziale in bella vista, che in fondo può ben essere considerato un inno alla libertà, all’innocenza e alla disinvoltura dei giovani d’oggi, che in queste esibizioni non ci vedono nulla di esibizionistico: omnia munda mundis, ricorda?

Io, fossi in lei, mi preoccuperei di più dei programmi, delle aule sovraffollate e surriscaldate, della mancanza di strumenti didattici, della carenza di organici, degli stipendi inadeguati dei docenti, della necessità di garantire ai ragazzi gli strumenti culturali necessari perché abbiano una vera, profonda, adeguata formazione di cittadini pensanti. Mi risulta che dovrebbe essere questo lo scopo primario della scuola, non andare in giro per le aule misurando la lunghezza della mini delle studentesse e deridere quelle che hanno addosso qualche chiletto di troppo.

Ci pensi, professoressa. E si ricordi che chi insulta e deride il suo prossimo squalifica sé stesso, prima di tutto, e la sua tesi, non importa quanto sia giusta e quanto sia sacra, invece di difenderla finisce per svilirla.

Giuseppe Riccardo Festa

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