Flavio Briatore e Vittorio Sgarbi: modelli esemplari della decadenza in atto.

La destra attualmente al potere, opportun(istic)amente servita dalla RAI che come è noto si adegua rigorosamente alla linea ideologica delle maggioranze che si succedono alla guida del Paese, manifesta nel modo che le è più consono, ossia con arroganza e sguaiatamente, la sua idea di società e di cultura.

Quanto alla società, ci ha pensato l’inossidabile Flavio Briatore che, ai microfoni della iperilluminata Bianca Berlinguer – degna allieva, quanto a sbiancamento facciale, di Barbara D’Urso e pessima erede, quanto al resto, del padre Enrico – ha manifestato tutta la sua irritazione per l’inconcepibile – a suo dire – pretesa degli operai di mandare i figli a scuola e perfino all’università, privando così i ricchi come lui – Briatore, si sa, ci tiene a sottolineare ad ogni piè sospinto di essere ricco – della necessaria assistenza quando gli perde un rubinetto o s’azzoppa un tavolino. I figli, asserisce il titolare del “Billionaire”, debbono restare nel solco delle orme dei padri: se sei figlio di muratore devi essere muratore pure tu, se figlio di contadino contadino, se di maestro elementare maestro elementare.

Cioè, no: se sei figlio di maestro elementare, come appunto Flavio Briatore, allora puoi cambiare mestiere, a maggior ragione se tuo padre, all’esame di quinta, ti boccia pur essendo tu suo figlio, come le leggende raccontano proprio a proposito del piccolo Flavio, che in seguito ebbe difficoltà anche a conseguire il diploma di geometra ma si rifece con qualche manovra più o meno lecita, con qualche fuga all’estero, con un’espulsione a vita dal circuito della Formula 1 e altri guai di natura varia, ma comunque accumulando una fortuna grazie alla quale – pecunia non olet – oggi può pontificare e insegnare agli altri come si vive, o almeno come secondo lui bisognerebbe vivere.

Quanto alla cultura, non possiamo non prendere atto dell’ennesima esibizione del sottosegretario Sgarbi, che molti si ostinano, appunto, a considerare un uomo colto mentre, poveretto, è soltanto un erudito: al Maxxi di Roma, secondo un copione ormai perfino scontato e stantio, il sottosegretario si è infatti abbandonato a una salva di volgarità, insulti, parolacce e grevi allusioni sessuali.

Qual è la differenza, potrebbe chiedersi qualcuno, tra cultura ed erudizione? È molto semplice: l’erudizione è l’accumulo di nozioni, anche profondo e impeccabile, ma sterile e fine a sé stesso. In questo senso, il DVD dell’Enciclopedia Treccani, per dire, è un mostro di erudizione.

La cultura è molto diversa dall’erudizione, che ne è un elemento utile ma non indispensabile. La cultura, infatti, è una forma mentale, non un patrimonio di informazioni. La cultura è prima di tutto uno stile di vita, è la capacità di elaborare ciò che si sa – poco o molto che sia – per creare qualcosa di nuovo. È la capacità di confrontarsi con quello che si sa per valutare sé stessi prima di giudicare gli altri, che inevitabilmente porta al rispetto nei confronti del prossimo, alla tolleranza, alla comprensione e alla capacità di dialogo.

Di tutto questo, in quel serbatoio di inutili nozioni che risponde al nome di Vittorio Sgarbi, non c’è traccia. Vittorio Sgarbi si crogiola nella sua supponenza di erudito, ma di cosa sia la cultura non ha la minima idea; e quando per legittimare le sue volgari intemerate si paragona agli artisti che, in misura comunque ben più modesta di lui e comunque in ben diversi contesti, hanno fatto anche loro uso della volgarità, non fa che dare prova di arroganza.

Se di quegli artisti, infatti, resterà qualche traccia nei libri di storia dell’arte e della musica, di Vittorio Sgarbi la storia non si ricorderà per niente.

O forse sì, di lui come di Flavio Briatore. La storia li citerà, forse, in qualche nota di costume, come modelli esemplari e ineguagliabili della decadenza e della miseria della civiltà italiana nei primi anni del XXI secolo.

Giuseppe Riccardo Festa

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