De Angelis e dintorni: se il colpevole (come al solito) fa la vittima e trova (come al solito) chi gli dà ragione

È sbagliato definire Marcello De Angelis con l’aggettivo “neofascista”: De Angelis tutto può essere salvo che un neofascista. De Angelis è un paleofascista, nel senso che il suo essere fascista è legato a tutti gli stereotipi del fascismo vecchia maniera, che vanno dall’esaltazione di Mussolini e del Ventennio al più becero antisemitismo ed all’alterazione della verità storica nel nome di una pseudo-verità. Quello dell’alterazione della verità è un esercizio caro a tutti i regimi totalitari e a tutti coloro che i regimi totalitari amerebbero instaurare, o restaurare, fermo restando che essi, nel regime, si immaginano collocati al vertice della piramide.

Finalmente, dopo che alle sue più recenti esternazioni sulla strage di Bologna è stato aggiunto il corollario dei suoi trascorsi “artistici”, ora De Angelis dà le dimissioni, ma non ammettendo di essere fuori posto nelle istituzioni: De Angelis se ne va imbronciato e offeso perché, sono parole sue, su di lui, poverino, sarebbe stata creata una “mostruosa macchina del fango”.

Il problema non sta nel fatto che egli l’abbia scritto: il problema sta innanzitutto nel fatto che gli siano state affidate mansioni (prima nella Croce Rossa, poi nella Regione Lazio) alle quali era palesemente inadeguato, per non dire che ne era ed è indegno; e poi nel fatto che a quel che dice egli ci crede davvero. De Angelis, nonostante le sue canzoni antisemite, i suoi candelabri nazisti, le sue farneticazioni sull’innocenza di Mambro e Fioravanti, è assolutamente certo di avere ragione: lui, poverino, è vittima di una persecuzione.

Comunque nessun problema per il suo futuro: i suoi sodali nella destra italiana non lo abbandoneranno di certo al suo destino e il presidente della Regione Rocca, la sua amica Arianna Meloni o qualche altro gerarca della nuova (?) destra italiana un posticino ben retribuito, magari di nuovo nella Croce Rossa, glielo troverà.

Non diverso è l’atteggiamento del convivente di Giorgia Meloni, Andrea Giambruno, che prima, in diretta nazionale, ripete alle donne il solito mantra, “se ti stuprano è perché te la sei cercata” (in soldoni è questo, quello che ha detto), poi, di fronte all’ondata di indignazione che ne è conseguita, parla di strumentalizzazioni e di “polemiche surreali”, quasi che dare la colpa a una giovane ubriaca se un branco di giovinastri abusa di lei, come lui ha fatto, non fosse un’affermazione che non dà spazio a equivoci e fraintendimenti.

Restando in famiglia (nel senso di Meloni), non poteva mancare l’ennesima esternazione del cognato, il ministro (!) dell’agricoltura, Lollobrigida, che qualche giorno fa ha affermato che i poveri mangiano meglio dei ricchi poiché – è questo il senso ultimo del suo sillogismo zoppo – hanno la fortuna di consumare cibi genuini e a chilometro zero. Povero Lollobrigida! Non è colpa sua, direbbe Jessica Rabbit: è che l’hanno disegnato così. Ma se lui, poveretto, più in là di tanto non arriva, cosa dire dei vari Bruno Vespa, Ignazio Benito La Russa e Gianfranco Vissani (lo chef), che impavidi e senza tema del ridicolo hanno alzato la voce schierandosi al suo fianco? A difesa del ministro che certamente povero non è, in sostanza, hanno parlato altri soggetti che della povertà hanno probabilmente la stessa, distante, retorica e stucchevole idea che, nel Settecento, i poeti arcadici avevano delle “vaghe, montanine pastorelle”: pensano, questi propugnatori della “dieta della fame”, a famiglie di poveri gioiosamente assisi intorno al desco, serenamente intenti a consumare la parca ma genuina mensa offerta dal laborioso se pur malpagato genitore. Certamente non pensano ai mangiatori di patate di Van Gogh.

Su tutto questo (en passant anche sui vaneggiamenti razzisti, omofobi e sgrammaticati del generale Vannacci) rimbomba il fragoroso silenzio di Giorgia Meloni la quale, “mujer, madre y cristiana” è ora anche presidente del Consiglio, oltre che capo della Grande Famiglia di Lotta e di Governo. Ho il sospetto che la “mujer, madre y cristiana” vorrebbe urlare ancora, come ai bei tempi dei comizi di Vox, associandosi ai suoi conviventi e sodali a difesa di quei “valori” di estrema destra coi quali è cresciuta, e dei quali si è nutrita, che costituiscono il concime “culturale” della sua base elettorale. Ma non può: è costretta a fingersi moderata perché ha bisogno di rendersi credibile presso il PPE e presso quelle istituzioni europee delle quali prima diceva tutto il male possibile e immaginabile, ed alle quali, ora che deve far tornare i conti scricchiolanti del bilancio statale, più o meno obtorto collo deve fare appello.

Giorgia Meloni, insomma, è costretta a tacere perché è capo del governo. Ma di sicuro, se godesse ancora dei privilegi di chi sta all’opposizione, tornerebbe grintosa ad alzare la voce, per assicurare che il suo amico, suo cognato e il suo convivente, poverini, sono stati tutti fraintesi.

Migliaia e migliaia di suoi sodali la applaudirebbero e direbbero che sì, è proprio così: De Angelis è vittima di una macchina del fango e Lollobrigida e Giambruno sono stati meschinamente fraintesi.

La cosa più triste è che lo direbbero credendoci davvero.

Giuseppe Riccardo Festa

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