Beppe Grillo e Ignazio La Russa: ” ‘E figli so’ piezz’e core”

È un vizio dei topi di biblioteca quello di associare gli avvenimenti della cronaca alle loro reminiscenze libresche. È così che le tristi vicende che vedono protagonisti i figli di importanti personaggi della politica italiana contemporanea, di Beppe Grillo, per intenderci, e di Ignazio La Russa, mi hanno fatto venire in mente un episodio della storia romana raccontato da Tito Livio, quello di Lucio Giunio Bruto che fa giustiziare l’amato figlio Tullio, reo di aver complottato con i Tarquini contro la neonata Repubblica, e non versa una lacrima mentre il giovane subisce il supplizio.

Altri tempi.

Certo, Bruto di sicuro coi mezzi di correzione ha un tantino esagerato, ma non sono solo i politici, oggi come oggi, a trattare i figli in modo ben diverso, e lo dimostrano gli innumerevoli esempi che la cronaca ci propone quotidianamente: ricorsi al TAR contro le bocciature, aggressioni ai professori troppo severi, giustificazioni se i pargoli, in classe, sparano agli insegnanti o li accoltellano, giri in Ferrari (debitamente diffusi sui social network), senza cinture di sicurezza, insieme al figlio che poi provocherà un incidente mortale con un’altra auto: i genitori non si sentono più educatori ma amici, non più modelli ma complici.

Potevano i politici sfuggire a questo andazzo? Ovviamente no. Un tempo ci illudevamo che i politici fossero migliori dei loro elettori, ma da Berlusconi in poi sappiamo che i politici ci tengono ad essere come i loro elettori, se non nella potenza finanziaria certamente nelle pulsioni, negli ammiccamenti, nei modelli di comportamento. Perché i politici (e il primo a capirlo fu proprio Berlusconi) hanno capito che l’elettore medio non sopporta la gente troppo seria, troppo colta, troppo austera, troppo coerente e troppo onesta: l’elettore medio non cerca più un modello al quale ispirarsi per migliorare ma piuttosto uno col quale identificarsi per giustificare le proprie magagne.

Dunque nessuna sorpresa se Beppe Grillo, già urlante accusatore dei politici disonesti, si è affrettato a dichiarare la colpevolezza della ragazza che accusa di stupro il figlio Ciro, e se Ignazio La Russa, dopo aver parlato di ceffoni ai figli che sgarrano e di dovere di difendere le donne dalla violenza maschilista, oggi si erge non tanto ad avvocato del proprio pargolo “Apache”, che ci potrebbe stare, ma anche a GIP, PM e corte di giudizio in tutti i tre gradi, dichiarando il figlio innocente e la ragazza che lo accusa inattendibile a prescindere, mentre tutta la maggioranza politica di cui fa parte, inclusa lA ministrA (maiuscole non accidentali) della famiglia, lo applaude, lo sostiene e grida al complotto della magistratura.

È chiaro che lA ministrA non poteva fare altrimenti: perbacco, lei difende la famiglia, no? E dunque cosa c’è di strano, se difende la famiglia di un membro della sua maggioranza? Tutto coerente, tutto logico, tutto impeccabile.

Non so se Ciro Grillo e Apache La Russa sono innocenti o colpevoli: questo toccherà ai tribunali deciderlo, con un giudizio auspicabilmente imparziale, alla luce degli elementi di valutazione che saranno raccolti e sottoposti al loro vaglio.

Ecco, è proprio questo che mi sarebbe piaciuto sentir dire sia da Beppe Grillo che da Ignazio La Russa: “Amo mio figlio, ma amo anche la giustizia. Non tocca a me giudicare ma ai magistrati, e se mio figlio ha sbagliato è giusto che paghi”.

Ma siamo in Italia, e come ben sappiamo, in Italia la legge pretendiamo tutti che sia applicata in modo rigoroso, imparziale e garantendo la certezza della pena… ma solo quando i suoi rigori colpiscono gli altri, a maggior ragione quando si tratta di reati di questa gravità.

Se toccano noi, e soprattutto i nostri figli, allora no, che c’entra. Allora gridiamo alla persecuzione e all’ingiustizia. Perché ‘e figli, si sa, so’ piezz’e core.

Giuseppe Riccardo Festa

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