9 MAGGIO, L’ABISSO DELLA REPUBBLICA: I 54 GIORNI CHE SCONVOLSERO L’ ITALIA.

di MARCO TOCCAFONDI


– Primo pomeriggio, è maggio. Siamo nel centro di Roma e questa la scena: una Renault 4 Rossa, un generale dei carabinieri, un piede di porco e un ministro. Quest’ ultimo sussurra all’ orecchio del militare: “Vado a dimettermi, perché abbiamo fallito”.

E’ il 9 maggio 1978, un martedì. Perché quel ministro pensa che lo stato italiano ha fallito ? Nel bagagliaio della R4 rossa c’è il cadavere di Aldo Moro, il politico italiano più influente e importante dell’ epoca, il generale dell’ arma è Antonio Federico Cornacchia e il ministro Francesco Cossiga. Culminano così, in via Caetani, una strada nel centro di Roma, forse scelta proprio perché si trova tra la sede della Dc e del PCI, i  54 giorni, anche se la vulgata nazionale ha sempre parlato di 55, più bui della repubblica italiana. Sono quelli del sequestro Moro. Ma quel 9 maggio succede un altro, nel suo piccolo, fatto storico: si incrina il monopolio dell’ informazione Rai. Non sarà infatti la televisione pubblica a fare uno scoop di livello mondiale, bensì una piccola televisione privata del Lazio (la Gbr) che addirittura filmerà, momento per momento, il ritrovamento dello statista democristiano dentro la R4.

Facciamo un ideale rewind e torniamo indietro, appunto 54 giorni prima. La strada stavolta è a Roma nord, zona Camilluccia. Anzi, è un incrocio, quello tra via Stresa e via Fani. E’ ancora presto, ma c’è già un po’ di gente in giro, nonostante l’aria frizzante e il clima ancora rigido. Tra queste persone alcuni personaggi che diventeranno noti: un giovane Francesco Pannofino, che ha appena comprato il giornale dal suo edicolante di fiducia e un Marco Damilano bambino il quale, sullo scuolabus insieme agli amici delle elementari, si stupisce e forse rammarica un po’ per non trovare il  loro “amico buono”,  un fiorario, tal Spiriticchio, che spesso scherza con i piccoli. I brigatisti, che facevano una questione di onore nel non coinvolgere i civili nelle azioni, avevano bucato le 4 gomme del suo camioncino nella notte per salvaguardarlo. E non era nemmeno la prima volta.

L’inizio e l’epilogo del sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, dal 16 marzo al 9 maggio 1978. Un lasso di tempo che ha mutato la storia del nostro paese, ma soprattutto ha generato una sconfinata letteratura che dà credito a numerose, per usare un eufemismo, versioni alternative e teorie del complotto. In questo articolo proverò a smontare punto per punto i presunti aspetti oscuri della vicenda.  A mio modo di vedere sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro oggi si sa quasi tutto e se si trattasse di un qualsiasi altro processo i fatti sarebbero dati per assodati.  Come spesso accade anche in tal caso le teorie complottiste sono interamente o quasi da rigettare e nei fatti il fenomeno brigatista è interamente ascrivibile al mondo comunista e in parte a quello cattolico, spontaneamente. Nasce nel PCI e nelle associazioni cattoliche universitarie (Curcio e Cagol), nelle camere del lavoro dell’ Emilia (Franceschini). Altro che “brigate nere”, come stupidamente le definì allora Luciano Lama, la realtà sta nelle pagine di quell’album di famiglia ideale citato dalla Rossanda.

Vediamo, allora, i dubbi principali che le cosiddette versioni alternativa tirano in ballo e per quali ragioni non sono logici.

1) – Strane presenze in via Fani.

– Molti complottisti spesso si sono chiesti chi ci fosse veramente quel giorno in via Fani. Le Commissioni parlamentari hanno confermato che alle 9, nei pressi di via Fani e via Stresa, c’era un colonnello del SISMI, tale Guglielmi, il quale faceva parte della VII divisione (quella sezione del Sismi che controllava Gladi. Questo è uno di quei fatti che ha scatenato la fantasia dei cosiddetti complottisti. Ma in realtà non c’è niente di strano se un cittadino romano, pur se un impiegato dei servizi segreti, passeggi alle 9 per Roma. Guglielmi dichiarò, testualmente : “Sì, ero li perché dovevo andare a pranzo da un amico”. Allora, i complottisti si sono scatenati sull’orario, domandandosi perché così presto per andare a pranzo ? Ma se il colonnello Guglielmi avesse voluto mentire e occultare qualcosa certamente non avrebbe detto una cosa così stupida, non avrebbe cioè risposto alle commissioni Moro che si trovava in via Fani per andare a pranzo, bensì a colazione da un amico. Evidentemente disse la verità e forse era atteso davvero da un amico per pranzo, semplicemente voleva passare di lì per vedere la zona dove aveva l’appuntamento. Se avesse voluto mentire poteva tranquillamente inventarsi un’altra scusa più credibile, come una colazione a quell’ ora.  L’altra presenza strana e mai chiarita in via Fani riguarda una moto Honda con 2 persone. Secondo alcuni avrebbero scatenato una pioggia di fuoco ed eliminato la scorta di Moro in men che non si dica, poiché sarebbero dei tiratori scelti legati ai servizi segreti.  Nella realtà niente di più probabile che fossero 2 professionisti venuti in aiuto al commando brigatista e pagati dagli sterri terroristi rossi, che in fondo disponevano di molti soldi frutto di rapine o sequestri. Come ogni killer professionista una volta svolto il  “lavoro” se ne sono tornati a casa, magari all’estero. Oppure compagni della Raf tedesca che i brigatisti non hanno voluto tradire.

2) – Il medium Romano Prodi, lo spirito di La Pira e  di Don Sturzo nella seduta spiritica.

Tra le vicende più pittoresche accadute durante quei celeberrimi 54 giorni c’è da segnalare quella del 2 aprile 1978. Siamo in una bella casa di campagna, il proprietario è Alberto Clò.  La zona è alle porte di Bologna, nell’ abitazione  si riunisce un gruppo di professori universitari, tra i quali l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi e la moglie Flavia. Secondo i racconti per allentare la noia di una giornata di pioggia a qualcuno dei partecipanti viene in mente l’ idea di fare una seduta spiritica evocando gli spiriti di don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira, per chiedere loro dove si trovasse la prigione di Aldo Moro. Allora gli “spiriti” formarono le parole Bolsena-Viterbo-Gradoli, a conferma della conoscenza nulla del territorio. Ovviamente, come disse anche Giulio Andreotti, non vi era nulla di soprannaturale in tutto ciò, ma fu un modo come un altro per rendere pubblica una soffiata di qualche autonomo bolognese. Forze dell’ordine e lo stato, subito informati da Romano Prodi e dagli altri professori, inviarono centinaia di uomini a ispezionare tutte le case del paesino di Gradoli, quando invece il covo delle Brigate Rosse, come poi si scoprì il 18 aprile successivo, si trovava in via Gradoli a Roma e non nel paesino del Lazio. Pare anche che la signora Moro fece notare che forse una strada con questo nome c’era a Roma, le risposero che non esisteva, ma in realtà non si è mai capito chi rispose in questa maniera alla signora Moro. Anche qui non si capisce per quale ragione Polizia, Carabinieri e stato avrebbero dovuto essere spediti a far tutto quel macello in uno sperduto paesino del Lazio, quando a Cossiga e Andreotti, se  avessero voluto ignorare la soffiata, bastava semplicemente affermare che sarebbe stato assurdo dare credito a una seduta spiritica. Sarebbe stata senz’altro una giustificazione logica.

3) – Il falso comunicato delle B.R. con il “Lago della Duchessa” e via Gradoli.

– Un altro aspetto oscuro di quei 54 giorni fu un falso comunicato, preparato dall’abile falsario romano Tony Chicchiarelli (un uomo legato alla Banda della Magliana), in cui si annunciava la morte di Aldo Moro e soprattutto dove poter ritrovare il suo cadavere:  “nei fondali limacciosi del Lago della Duchessa”.  Il comunicato era palesemente falso, infatti in aprile quel luogo è inaccessibile e raggiungibile solo con l’elicottero. Pare ovvio che le Brigate Rosse non avrebbero mai potuto portare il defunto Moro fin lì. Come ben comprese lo stesso Moro dalla sua prigione era solo un modo come un altro per preparare la opinione pubblica italiana alla morte del politico democristiano, ma niente più di questo. Invero un sistema che qualsiasi stato utilizza per abituare all’ idea l’opinione pubblica. Piano che venne in mente a un noto magistrato e politico democristiano, Claudio Vitalone, un andreottiano di ferro che lo ha persino ammesso a chiare lettere. In via Gradoli per anni si è anche parlato di una doccia nella vasca volutamente lasciata aperta dai capi B.R. Moretti e Balzerani per far saltare il covo, ma recentemente persino un vigile del fuoco, intervenuto per primo nell’ appartamento, ha confermato la versione dei brigatisti.

4) – Il ruolo degli Stati Uniti. Kissinger e la CIA. La linea della fermezza.

– Un’ ennesima teoria riguarda il complotto globale, dove secondo le troppe versioni alternative sarebbero coinvolti la CIA, il Mossad, ovviamente lo stato italiano, ma anche l’ Urss e il KGB. Questa teoria vorrebbe dare a intendere che, siccome Moro voleva aprire ai comunisti e al PCI di Enrico Berlinguer, allora Kissinger, organizzo il sequestro e l’omicidio del politico Dc. In tal caso siamo alla pura follia, perché alla Casa Bianca nel marzo/maggio 1978 non c’erano più né Kissinger (che comunque era pur sempre una sorta di presidente ombra, essendo nato in Germania) né i repubblicani, né Nixon, tutti quanti travolti dallo scandalo Watergate,  ma c’erano addirittura i democratici di  Jimmy Carter.

E allora la domanda da porsi, in conclusione, è per quale motivo così tante persone vogliono credere alle teorie del complotto, pur nella loro sostanziale assurdità di base ? E’ semplice, la ragione è il desiderio, neppure troppo recondito,  di far passare come delle marionette i brigatisti, screditando così tutto cio’ che nasce alla tua sinistra, del PCI intendo, in modo da ridicolizzare il fenomeno e renderlo patetico e ridicolo. Questo è l’obiettivo di tante falsità e fantasie sulla questione Moro. Nel contempo, inoltre, far credere che, non vi sia mai stata una pur minoritaria guerriglia urbana e una lotta di classe, con un partito armato come si chiamava allora, in Italia. Invece i brigatisti e quella lotta (armata) godevano sì di un pur ristrettissimo consenso nel paese e di una solidarietà tra le classi sociali subalterne. Estremamente minoritario, come fenomeno, è senz’altro vero, ma esisteva. Negarlo, con assurdi teoremi da film di serie B, oltre che estremamente stupido e anche politicamente miope. La storia d’ Italia non lo merita.

MARCO TOCCAFONDI

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