SONO STATO INSEGNANTE DI LICEO PER UNA SETTIMANA

È stato con immenso piacere che ho accolto l’invito, rivoltomi dal Consiglio d’Istituto del Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Macerata, di partecipare alla Settimana Culturale che anche quest’anno ha visto numerosi relatori interni, o esterni come me, intrattenere gli studenti su argomenti i più svariati. Io ho scelto di parlare del III Canto dell’Inferno dantesco alle terze classi, e dell’umorismo in letteratura alle quarte.

E così per cinque giorni (il sesto, purtroppo, ho dovuto dare forfait) dalle 8,10 alle 10,10 e poi, dopo l’intervallo, dalle 10,30 alle 12,30, munito di leggìo, di PC e delle presentazioni PowerPoint che avevo preparato per la bisogna, mi sono intrattenuto con i ragazzi e le ragazze di una decina di classi dell’Istituto.

Avevo già avuto occasione, in passato, di parlare di questi argomenti ma l’avevo fatto di pomeriggio, a grandi intervalli, e il mio auditorio era costituito da adulti. Farlo di mattina, per cinque giorni di fila e davanti a giovani fra i 16 e i 18 anni è stata tutt’altra cosa.

È faticoso, per non dire spossante, farlo tutti i giorni, per quattro ore al giorno. Ti trovi davanti tanti ragazzi curiosi, certo, e anche attenti e diligenti; ma ce ne sono di distratti, sonnecchianti, chiacchieroni, con gli occhi fissi sullo smart-phone, a volte anche insofferenti. Arrivi alla fine della mattinata stremato, con la voce arrochita, e a volte ti chiedi se è valsa poi la pena di parlare per quattro ore, cercando di catturare l’attenzione delle classi anche con qualche battuta, con divagazioni, con scherzi e giochi di parole, ma avendo la sensazione, a volte, di parlarti addosso.

E allora ti rendi conto di quanto deve essere dura la vita di chi questo esercizio lo pratica non per una settimana soltanto, come è capitato a me, ma ogni giorno per lunghi mesi. Chi poi, come se non bastasse, deve portarsi a casa pacchi di compiti da leggere uno per uno, e da correggere e valutare, rischiando magari, se la valutazione non è positiva, di andare a sbattere contro la strafottenza di qualche studente maleducato o contro il pugno di qualche genitore incivile, che riversa su di lui la colpa dell’inettitudine del figlio.

Per non parlare delle ore necessarie per preparare le lezioni, e poi delle innumerevoli e spesso incomprensibili incombenze burocratiche da assolvere, che finiscono per diventare preminenti rispetto all’attività didattica.

E tutto questo in cambio di cosa? Di uno stipendio tutt’altro che gratificante e di uno status sociale che è precipitato a livelli avvilenti.

Volevo già bene al mondo della scuola, col quale ho spesso collaborato in passato ricevendone grandi soddisfazioni, ma questa esperienza, che per una settimana me ne ha fatto indossare i panni, mi ha fatto toccare con mano quanto impegnativa, faticosa e stressante sia la giornata del tipico insegnante di un istituto scolastico superiore; e non credo che se la passino meglio i docenti delle elementari e delle medie.

Già nutrivo per loro stima e ammirazione, ma ora stimo e rispetto ancora di più queste donne e questi uomini che non esito a definire eroici. Donne e uomini che, non dimentichiamolo, hanno nelle mani la crescita culturale, spirituale e civile dei nostri giovani ma che la società e la politica troppo spesso umiliano e dimenticano.

Eppure loro non si arrendono. Subiscono, magari mugugnano, ogni tanto protestano; ma puntuali, ogni mattina, sono là, davanti ai loro ragazzi ai quali vogliono comunque bene: non solo ai bravi, ai diligenti, ai rispettosi (che sono tanti e adorabili, credetemi, l’ho constatato di persona e lo dimostra l’immagine che vedete); ma anche agli altri, a quelli che gli fanno cadere le braccia perché sono insofferenti, sbracati, svogliati e irriguardosi ma che comunque essi cercano di motivare e, per il loro bene, di orientare verso un modo di pensare, e di comportarsi, che li porti nell’alveo del rispetto e della civiltà.

E poi, magari, c’è anche chi ha il coraggio di dire che gli insegnanti sono privilegiati, perché lavorano “solo” qualche ora al giorno ed hanno due mesi di ferie pagate ogni anno. Beh, direi a costoro: provateci voi a fare la loro vita anche soltanto per una settimana, come è successo a me, e poi ne riparleremo.

Ma intanto, se ne incrociate uno per strada, levatevi il cappello, inchinatevi e ringraziatelo: state incrociando il futuro dei vostri figli; state incrociando un Insegnante.

Giuseppe Riccardo Festa

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