Ricomincia la scuola: c’è qualcuno a cui importa?

Sta per cominciare l’anno scolastico e due notizie, una italiana e l’altra statunitense, entrambe riguardanti la scuola, mi hanno colpito in questi giorni.

Quella italiana riguarda l’ennesimo caso di maestre d’asilo colte a maltrattare i bambini a loro affidati: stavolta è successo ad Alessandria ma avrebbe potuto accadere, e purtroppo è già accaduto, ovunque. L’altra, che ho letto su The Guardian, è l’amaro racconto di un ex insegnante che negli Stati Uniti ha dovuto lasciare l’insegnamento, pur amandolo, a causa delle condizioni inaccettabili nelle quali si trovava a lavorare: scuole fatiscenti, materiale didattico inesistente, mancanza di insegnanti di sostegno per i bambini che ne avevano bisogno e, non da ultimo, stipendi da fame.

Anche i nostri insegnanti operano in condizioni di disagio e malessere che, pur se forse non sono così disastrose come quelle denunciate dal loro ex collega statunitense, temo finiranno per giungere a quei livelli anche per loro.

Da lunga pezza la scuola italiana, di ogni ordine e grado, subisce i colpi di una politica che si dimostra indifferente alle sue esigenze e anzi colpevolmente pronta, ogniqualvolta si presentano problemi di finanza pubblica, a farne l’oggetto di tagli; le riforme si sono succedute, ciascuna contraddicendo le precedenti, spesso ingarbugliando la vita dei docenti e riempiendola di adempimenti formali estranei al loro compito primario che dovrebbe essere un contatto assiduo, stimolante e proficuo con i loro alunni.

Le riforme hanno prodotto una  complicazione degli affari semplici tanto cara ai burocrati quanto inutile: la scuola materna è diventata “Scuola primaria di primo grado”, quella elementare “scuola primaria di secondo grado”, la media “scuola secondaria di primo grado”, le medie superiori “scuola secondaria di secondo grado”. E mentre si inserivano test ridondanti e avvilenti come le prove INVALSI, si dava corso a un progressivo scadimento dei programmi: niente più geografia, basta con la storia, il latino sempre più marginale, la poesia praticamente rimossa. E intanto il mondo della scuola continua a lottare con l’inadeguatezza e spesso la pericolosità degli edifici, la carenza dei mezzi didattici, la perdita di prestigio dei docenti (che spesso subiscono aggressioni e violenze di alunni e genitori degli alunni), e la vergognosa modestia delle loro retribuzioni.

Conosco insegnanti, tra questi anche alcuni miei amici e familiari, che nonostante tutto amano il loro lavoro e tengono duro, e brillano per capacità didattica, impegno, profondità culturale e serietà professionale; ma non tutti condividono la loro vocazione al martirio. Fatalmente, il mondo della scuola finisce per essere poco attraente per le persone come loro e per richiamare solo gente demotivata e scarsamente competente che, parafrasando gli operai della defunta URSS, dicono: “La scuola fa finta di pagarci e noi facciamo finta di insegnare”. È a causa di queste condizioni che possono poi verificarsi i casi delle maestre d’asilo che maltrattano i bambini.

Una società che non riconosce agli insegnanti il ruolo determinante che ricoprono, e l’importanza che essi hanno per il suo futuro, è una società che ha perso il senso stesso del suo esistere, una società che si condanna da sola all’ignoranza, alla decadenza e all’estinzione. Non ci si deve sorprendere se fra terrapiattisti, antivaccinisti, ufologi, razzisti, vaneggiatori di scie chimiche e complottisti vari, si vede poi avanzare un’ondata di rifiuto delle conquiste della scienza e della cultura.

La qualità di una società si misura sul livello e soprattutto sulla sete di cultura dei suoi membri, e di conseguenza dei suoi governanti: perché è dalla cultura che discendono tolleranza, competenza, convivenza civile, capacità di accoglienza, disponibilità al dialogo; in una parola: la civiltà.

Già, la civiltà: qualcosa che, così ci dicono i fatti, la nostra società ha deciso di dimenticare.

Giuseppe Riccardo Festa

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