No, non ci riesco. Sia chiaro, non rido davanti alla morte di un uomo, ma non riesco a unirmi al coro ipocrita che si sta levando per commemorare la scomparsa di Silvio Berlusconi.
Non posso dimenticare l’amicizia con “lo stalliere” mafioso Mangano, la complicità equivoca con Dell’Utri, la compravendita di deputati e senatori che fece del Parlamento italiano una sorta di mercato delle vacche, le figuracce internazionali quando faceva le corna dietro la testa dei capi di governo, le sue grida scomposte che provocarono l’irritazione della regina Elisabetta, le sue battute sui kapò al Parlamento europeo, i governi dalla spesa allegra che condussero l’Italia sull’orlo della bancarotta, le affermazioni in difesa dell’evasione fiscale, gli editti bulgari che amareggiarono gli ultimi anni di Enzo Biagi, l’acquisizione in modo equivoco della Mondadori.
Ancora di meno riesco a dimenticare il fenomeno anticulturale che egli ha rappresentato, l’esaltazione del denaro come unico fine e unico parametro di valutazione del successo di una persona, la ricchezza – comunque acquisita – come valore assoluto, la volgarità sguaiata delle sue televisioni, l’ipocrisia del collezionista di famiglie che si ergeva a difensore della famiglia, il barzellettiere blasfemo, il gesto del mitra rivolto a una giornalista russa che irritava Putin, le olgettine, le “feste eleganti”, Ruby Rubacuori la “nipote di Mubarak”, le assoluzioni per decorrenza dei termini di prescrizione grazie a modifiche da lui stesso imposte alle norme sulla prescrizione, con leggi ad personam che non hanno riguardato solo la giustizia ma anche la fiscalità, ad esempio abolendo le imposte sulle donazioni e sulle successioni per poi trasferire senza spese ai figli parte del proprio patrimonio.
Scatenatevi, difensori dell’indifendibile. Accusatemi pure di cattiveria, dite pure quello che vi pare. Quello che ho elencato è pura, sacrosanta verità. Davanti alla bara di Berlusconi, perciò, io non riesco a non pensare alla lezione di disvalori che il Paese ha subito durante il regno di quest’uomo, che fino all’ultimo si è ritenuto immortale e superiore alla legge e che ha trasformato la politica in un affare aziendale quando non di famiglia.
Silvio Berlusconi è morto e con lui, sono facile profeta, muore anche quel che resta del partito personale che aveva fondato, fingendo di farlo per amore dell’Italia ma in realtà per proteggere i propri interessi, alleandosi con Bossi che l’Italia voleva smembrarla e con Fini, così sdoganando la destra nostalgica di quel fascismo che, sotto sotto, anche lui non disprezzava poi tanto.
Silvio Berlusconi è morto, requiescat in pace.
Forza Italia muore con lui, e i suoi transfughi migreranno in FdI, il partito vincente del momento, come è tipico di quegli italiani medi sempre pronti a correre in soccorso del vincitore: italiani medi di cui in fondo è stato il più tipico rappresentante, con tutti i suoi vizi (astuzia, furberia, opportunismo, cinismo) e le sue non meglio identificate virtù. È finita un’era, che però ha lasciato sul Paese un’impronta difficilmente cancellabile e che segnerà di certo il suo futuro.
Sì, l’era berlusconiana, così come ha marcato la storia d’Italia negli ultimi trent’anni, determinerà anche il suo avvenire, per Dio solo sa quanti altri anni ancora.
Purtroppo.
Giuseppe Riccardo Festa
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