LA LEGA DI BOSSI RIVENDICA LE SUE RADICI ANTIITALIANE E ROMPE I PONTI CON LA LEGA DI SALVINI.

La Lega vecchia compie quarant’anni e si schiera apertamente contro la nuova “Lega Salvini premier”. Quelli che “Roma ladrona” e “La Padania non è Italia” di Bossi non sopportano più quelli che “prima gli italiani” o, secondo la regione in cui si vota, “prima gli abruzzesi”, o “prima i calabresi”, o “prima i molisani”, e via primeggiando, secondo la convenienza locale.

Bossi, il vecchio senatùr in disarmo, quello del celodurismo, il padre del Trota, quello che detesta i terroni, sale sul suo ronzino e si scaglia lancia in resta contro Salvini, quello delle felpe, dei pieni poteri, dell’alleanza con Marine Le Pen e dell’esaltazione di Putin, quello che un tempo cantava “senti che puzza, scappano anche i cani / stanno passando i napoletani” e adesso farebbe (e non è escluso che faccia) carte false per realizzare un ponte non solo inutile, non solo spaventosamente costoso ma anche dannoso, per unire la Sicilia e la Calabria.

Calabria alla quale ha chiesto di eleggerlo senatore e Calabria che, ahimè, lo ha effettivamente eletto.

I leghisti nostalgici, quelli della prima ora, adesso sono guardati con qualche simpatia da chi, di memoria corta, vorrebbe veder Salvini spodestato da quella poltrona di leader del partito che oramai gli scricchiola sempre di più sotto le non più verdi natiche ma dalla quale non vuol saperne di scollarsi. Chi invece la memoria ce l’ha più solida non ha dimenticato le sceneggiate del dio Po, i progetti di secessione, il parlamento padano, Borghezio e le sue crociate contro gli immigrati, le guardie in camicia verde, le adunate a Pontida con gli irridenti “chi non salta italiano è”, gli inviti di Bossi a usare il Tricolore per pulirsi il culo.

Chi ha buona memoria sa benissimo che la vecchia lega era ignorante, cialtrona, volgare, insultante razzista e velleitaria, esattamente quanto la lega di Salvini è velleitaria, razzista, insultante, volgare, cialtrona ed ignorante. L’unica differenza sta nel fatto che Salvini, per fini di potere personale, dopo aver a più riprese dichiarato il suo disprezzo per l’italianità (arrivando a tifare pubblicamente contro la Nazionale di calcio alla finale di un campionato europeo), ha buttato via le felpe verdi per indossarne, fra le altre, una tricolore. In questo si è dimostrato quantomai italiano, praticando con una disinvoltura che sfocia nella faccia tosta l’antica arte del trasformismo, in cui tanti politici italiani hanno sempre dimostrato di eccellere.

C’è comunque qualcosa di buono nel fatto che la vecchia Lega nord, compiendo quarant’anni, nel nome dei suoi antichi “valori” chieda la testa di Salvini. Questa reviviscenza del padanismo farà forse aprire gli occhi a tutti quei centro-meridionali che hanno creduto al preteso patriottismo italico di Salvini e, in buona fede, gli si sono accodati.

Non manca ovviamente chi, fra i meridionali che gli si sono accodati, lo ha fatto praticando anche lui la trasformistica arte di correre in soccorso del vincitore. Tanti, fra loro, già hanno abbandonato il carroccio di Salvini per salire sulla biga di Meloni, e magari si guardano già intorno in cerca di un altro carro sul quale saltare se, come è d’uso, anche Meloni (dopo appunto Salvini, e prima di lui Renzi, Grillo, Berlusconi e altri più o meno effimeri duci e ducetti) comincerà a scivolare verso il basso nei sondaggi e nei risultati elettorali.

A parte costoro per i quali – destra, sinistra, centro, sopra, sotto, di qua, di là – tutto fa brodo, pur di ottenere uno strapuntino sul citato carro dei vincitori, si può sperare negli altri centro-meridionali che, già incantati dal patriottico consumatore di mojitos, considerati i rosari sventolati e i vangeli sbaciucchiati, le felpe camaleontiche, le festicciole al Papeete e il trasformismo e considerato il revanscismo dei nostalgici della Padania, imparino ora ad abbassare lo sguardo verso il pavimento per valutare, del leghismo in generale e di Salvini in particolare, l’effettiva, e non eccelsa, altezza morale.

Giuseppe Riccardo Festa

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