L’ APPELLO DI FRANCO ARMINIO, IL POETA-PAESOLOGO: I PICCOLI PAESI SONO LA NOSTRA GRANDE OPPORTUNITA’. SFRUTTIAMO IL LORO PATRIMONIO!

di Franco LIGUORI, storico e saggista


Al tuo paese

ogni finestra

è la tua finestra,

ogni strada

è la tua strada.

Non pensare a ciò che manca,

accetta i suoi misteri:

l’aria che respiri

ti conosce,

la luce ti fa

le sue confidenze,

ti è fratello ogni silenzio

Questa bella poesia ci serve ad introdurre la presentazione di uno scrittore e poeta del nostro tempo,  uno dei poeti contemporanei più letti nel nostro Paese, che non si limita a scrivere, ma organizza iniziative culturali, rassegne musicali, letture pubbliche, convinto assertore dell’importanza dei piccoli centri, dei “paesi”, che sono, per lui, la nostra grande opportunità , se noi riusciamo a sfruttare  il loro patrimonio. Sto parlando, come molti avranno già capito, di Franco Arminio.. Egli stesso  si definisce paesologo,  nel senso di un uomo che è attento al presente e all’avvenire di tutti paesi. Un’attenzione che  nasce da un bisogno, perché purtroppo sembra che tutti siano proiettati verso la città e dei paesi non si cura più nessuno. “La paesologia” – scrive Armino – “è una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia. Non è una scienza umana, è una scienza arresa, utile a restare inermi, immaturi. La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. E’ una disciplina fondata sulla terra e sulla carne. E’ semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo”. Franco Arminio, 61 anni, è nato a Bisaccia, paese montano dell’Irpinia, con poco più di 3500 abitanti, in provincia di Avellino. Fa il maestro elementare, lo scrittore, il poeta, il documentarista, è animatore di battaglie civili (contro una discarica, contro una foresta di pale eoliche, contro la chiusura di un ospedale). Tanti sono i libri da lui finora pubblicati, tra cui : Viaggio nel cratere (Sironi, 2003), Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza,2008), Nevica e ho le prove (Laterza,2009), Oratorio bizantino (Ediesse,2011), Terracarne (Mondadori, 2012), oltre a sei raccolte di versi. Una particolare importanza riveste, tra i suoi libri, Terracarne, un’opera in prosa di 353 pagine, che  Francesco Bevilacqua, giornalista, scrittore e fotografo naturalista calabrese, ha definito, recensendola sulla Gazzetta del Sud, “un viaggio lento, sul filo della memoria, alla ricerca della bellezza perduta”. Si tratta, in effetti, di un libro suggestivo e poetico, dedicato alla riscoperta dei piccoli paesi del Sud. Terracarne – scrive Bevilacqua – “è un andare e tornare, è un partire dal paese natale dell’autore, Bisaccia, per visitare giornalmente due o tre paesi, fermarsi nelle piccole piazze deserte, presso un bar dove i vecchi giocano a carte, osservare un cane addormentato accanto ad un vecchio muro, guardare con commozione i ruderi invasi dalle erbacce, vedersi spalancare davanti, improvvisamente, un paesaggio che pare uscito in quel momento dalle mani del creatore e rimanerne stupito”. Ma subito dopo è anche, come fa notare il giornalista calabrese, “ un’invettiva contro l’oltraggio ininterrotto che, quasi dappertutto, si è perpetrato sul territorio fin dagli anni del boom economico: consumo assurdo di terra per un’edilizia deturpante e spesso inutile, industrializzazioni abortite, massacro dei centri storici, abbandono, perdita di memoria dei luoghi”. Arminio ama i paesi e afferma che i paesi per prima cosa bisogna guardarli, andare a trovarli con un moto di passione. attraversarli e guardarli, salvarli con gli occhi, come scrive in una delle sue poesie più belle. Chissà se in Italia i paesi in via di spopolamento si salvano in questo modo. Sono più di vent’anni che il poeta e paesologo Arminio scrive e si occupa di questi temi: il suo oggi può suonare come appello ingenuo, poco realistico, tuttavia non lo è affatto.Ed ecco una delle  poesie in cui il paesologo Arminio grida il suo “amore” per i paesi :

Voglio bene ai paesi.
Voglio bene a quelle case sgraziate
che ti accolgono alla periferia.
Voglio bene ai paesi e a quella panchina
davanti alla chiesa e a quel cane
che rovista in una busta vuota.
Voglio bene ai paesi quando c’è un funerale,
voglio bene a chi si toglie il cappello,
a chi abbassa lo sguardo.
Voglio bene ai paesi e a tutta la terra
che hanno intorno, al grano che cresce
sulle frane.

(Franco Arminio –Resteranno i canti,  2019)

Il paese come avanguardia del mondo

Parlando del suo paese nel libro “Terracarne”, Erminio fa delle riflessioni che  ci trovano perfettamente d’accordo: “Io vivo in un paese di cui mi sono sempre lamentato, ma questo paese mi ha dato uno sguardo sul mondo, non è stato un regalo. Il paese mi ha dato lo sguardo di cui aveva bisogno, non poteva guardarsi da solo da chi si compiace di esso o lo disprezza. Insomma il paese voleva uno sguardo senza filtri e l’ha ottenuto. Uno sguardo del genere si è posato sul buio, sul disagio, sulle mancanze. Questa è la mercanzia di chi osserva onestamente, di chi lavora senza padroni (…). Il paese è l’avanguardia del mondo ed è una fortuna essere rimasti qui. Il mondo urbano e il mondo rurale sono di fatto fuori gioco. In un certo senso il paese è l’ultima carta che abbiamo da giocare se vogliamo varcare la soglia del quarto millennio. Il paese come forma abitata, come terra scritta. Forse il mondo in forma di paese è l’unica possibilità che abbiamo per andare avanti. La città è solo un’ottima invenzione per rendere più prossima la fine del pianeta. Il nuovo umanesimo a cui penso non può che essere alloggiato in questi corpi che hanno tra i mille e i cinquemila abitanti. Quello che ha reso malati i paesi è il fatto che dovevano competere con la potente illusione dell’urbanesimo.  Nel momento in cui questa illusione sta cadendo, possiamo  (e dobbiamo) ridare un senso e una vita ai paesi.

Non si tratta di smantellare le città, si tratta di lasciarle lentamente defluire verso i paesi, così come i paesi sono defluiti verso le città. Questa operazione è inevitabile.” Dice bene Bevilacqua, quando afferma che “Arminio è poeta anche quando scrive in prosa”. E in questo ricorda Pier Paolo Pasolini, che, peraltro, della mutazione antropologica italiana, oggi denunciata da Franco Arminio per i suoi paesi, si era accorto già a metà degli anni Settanta, rimanendo, però, inascoltato e venendo  addirittura deriso. L’Italia di dentro è il teatro della paesologia di Franco Arminio. I borghi sofferenti “sistemati fra il Pollino e la Maiella”, per niente decorati dal turismo dei resort, i paesi dell’osso lontano dalla polpa (così li chiamava il meridionalista Manlio Rossi Doria), delle pensioni al minimo, che ogni giorno contano meno abitanti e dove i sindaci –dice Arminio – “dovrebbero esporre i manifesti quando nasce un bambino e non quando muore un vecchio” : questa è l’Italia che Arminio conosce e dalla quale non si è mai mosso, l’Italia del Sud, dove i nomi stessi dei paesi, spesso così belli e sonori, sono un invito, disegnano un orizzonte di poesia, di diversità, d’infinite possibilità. Il paese – scrive Arminio – “non è uno zerbino sul quale si cammina, è un corpo come il mio corpo, una creatura con cui combattere, da cui ricevere amore e anche odio”. “Io non sento il confine fra la terra del mio corpo e la terra del mio paese, la mia è una terracarne”, dice lo scrittore-poeta.

Arminio e la Calabria

Il paesologo Arminio dice spesso che non sono le città che salveranno i paesi, ma viceversa. Per lui, i paesi “felicemente inoperosi” dell’Italia interna, quelli abbandonati dalla politica, sono la ricchezza di una nazione come la nostra, fatta da una miriade di piccoli comuni e attraversati in verticale da una lunga catena montuosa oggi sempre più disabitata e divisiva. Difendere i paesi significa per lui dire no alle miopi politiche liberiste dei tagli e del risparmio, vuol dire valorizzare il capitale umano virtuoso e premiare chi fa cose belle.  Queste sue idee innovative e “rivoluzionarie”, risentono molto, a nostro avviso, del “pensiero meridiano” del sociologo pugliese Franco Cassano, recentemente scomparso, al quale il nostro paese, Cariati, quando era ancora animato da una discreta vivacità culturale, conferì il Premio Heracles alla Cultura (2009). Arminio, che ebbe Cassano fra i suoi interlocutori, ama la Calabria, come l’amava Cassano. Ed è lui stesso amato in Calabria. Nel 2019 la cittadina di Acri, patria di Vincenzo Padula e, fin dall’Ottocento romantico, importante centro di vita letteraria, ha conferito a Franco Arminio la cittadinanza onoraria, per l’attenzione e l’impegno da lui riservati al problema dello spopolamento delle aree interne. In un altro comune della provincia di Cosenza, Terranova da Sibari, patria dello scrittore Raoul Maria De Angelis, nel 2020, un’associazione culturale, ispirata da un movimento civico popolare, ha invitato Franco Arminio a fare “una passeggiata paesologica” nello splendido e suggestivo borgo pieno di antiche  chiese e di palazzi storici, al termine della quale è stato presentato un libro di poesie d’amore del poeta irpino.

Il borgo di Cariati visto dalla collina di Garanto (foto di F. Liguori)

Dalla presentazione è scaturito un bel dibattito sullo spopolamento dei paesi e sulla bellezza dei luoghi.  Iniziative senz’altro lodevoli quelle di Acri e di Terranova da Sibari, e non impossibili a realizzarsi anche nella nostra cittadina, Cariati, che , negli anni passati, ha dimostrato di avere le energie e le menti capaci di promuovere cultura (premi letterari, presentazioni di libri, rassegne di musica etnica mediterranea, incontri con autori, mostre di pittura con artisti del territorio ed oltre, mostre fotografiche, mostre di prodotti dell’artigianato locale, ed altro ancora) C’era, però, allora, uno spirito di sana competizione fra le varie associazioni, ed ognuna si sforzava di dare il meglio di sé. Le amministrazioni, sia pure senza investire chissà quali cifre, davano un minimo di aiuto (a volte, semplicemente logistico) e, soprattutto, avevano l’accortezza di “chiamare tutti a dare il loro contributo” alla realizzazione di un programma di iniziative che rendesse più attrattivo il paese nella stagione estiva e non solo. Da un po’ di anni non è più così e, nel frattempo, le associazioni si vanno sempre più disgregando, vanno morendo;  e, poi,  sarà molto difficile farle rinascere. E così anche il paese muore! Perché la cultura è l’anima di una comunità e molto può fare per il suo progresso, civile ed anche economico! Ma bisogna credere in tutto questo, bisogna, come dice Arminio, “voler bene al paese”, impegnarsi con tutte le proprie forze a tirarlo fuori dalla stagnazione, non solo economica, in cui vive da anni, e rilanciarlo, “sfruttando” le sue non poche potenzialità, il suo “patrimonio”, come direbbe Arminio, che, per Cariati, è rappresentato principalmente dal suo suggestivo borgo medievale ancora cinto da mura quattrocentesche, sia pure “deturpato” in molte parti da tante “offese” al suo tessuto urbano e dalla annosa problematica del palazzo vescovile ingabbiato e nascosto in una fatiscente impalcatura che sarebbe ora di smantellare, ripristinando l’aspetto originario di quell’angolo importante della città medievale.

Campanile e cupola della Chiesa Cattedrale

E, poi, le sue spiagge, anch’esse trascurate e bisognose di essere valorizzate, il suo lungomare, il suo porticciolo peschereccio e turistico, un vero “tesoro” per un paese a spiccata vocazione turistica, che i paesi vicini ( Mirto e, ancor più, Rossano ) ci invidiano e che, noi, invece, non “sfruttiamo” nelle sue enormi potenzialità e non ci curiamo di tenerlo efficiente e pulito. Ed ancora le sue tradizioni artigiane (tessitura, arte vasaia, piccola cantieristica navale dei maestri d’ascia ), la sua cucina tipica, con piatti della tradizione contadina e di quella marinara, le sue feste religiose (San Cataldo, San Leonardo, San Rocco, Santa Rita, Madonna delle Grazie , la Settimana Santa, ed altre ancora ) ad ognuna delle quali sono legate particolari usanze della comunità locale, tutte da “riscoprire” , “valorizzare”, “rilanciare”, facendone occasioni di richiamo verso il paese di visitatori dei centri del circondario. Ed ancora, il Museo di Palazzo Chiriaci (con documentazione della civiltà contadina  e di quella del mare, entrambe presenti a Cariati ), da anni completato nella sua struttura e mai aperto! E si potrebbe continuare ancora in questa disamina delle cose che si potrebbero fare e non si fanno!

Il centro storico di Cariati visto dall’alto

E, allora, diamo ascolto all’appello di Franco Arminio : I piccoli paesi (e il nostro non è così piccolo come il suo Bisaccia internato fra i monti dell’Irpinia e distante dalle vie di grande comunicazione , ma è una cittadina della Calabria ionica, attraversata da strada e ferrovia nazionali, sia pure in stato di grande arretratezza… E questa sarebbe un’altra grande battaglia da fare da parte di chi amministra il paese, insieme ai comuni viciniori! ) sono la nostra grande opportunità. Sfruttiamo il loro patrimonio !  L’accoramento di Arminio per il costante spopolamento dei piccoli paesi del nostro Mezzogiorno lo ha spinto persino a lanciare un invito pressante ai giovani che hanno lasciato il loro territorio, il cui testo è stato  stampato sui cartelloni pubblicitari e sui muri di molti centri campani dell’area salernitana (Sala Consilina, Padula, Camerota, Laurito, Altavilla Silentina), ed anche della nostra Acri, di cui Arminio è cittadino onorario. L’invito del poeta-paesologo è questo:

“Tornate. Non dovete fare altro. Qui se ne sono andati tutti, specialmente chi è rimasto”

Un messaggio veramente amaro quest’ultimo, che deve fare riflettere tutti noi, e in modo particolare chi ha responsabilità di governo! Ci piace chiudere questa nostra nota, riportando un  bellissimo testo poetico di Arminio, che “dice” tutto il suo amore per la nostra Calabria :

«Amo l’Italia armena, l’Italia antica, amo la Calabria, il paesaggio non confezionato, la faccia di chi cammina nel secolo sbagliato.

 Amo la Calabria a Palmi un po’ algerina, finlandese sulla Sila.

Amo il mare che si getta nel treno, i pesci sull’asfalto, le case parcheggiate anche negli occhi dei gabbiani.

 Non conosco una terra più sensuale, un disordine più esemplare, una grazia più oltraggiata. Questa non è una regione, è un altare».

 

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