IL GENERALE E IL MONDO AL CONTRARIO: credevo fosse solo pregiudizio, e invece era anche ignoranza.

anatèma (raro anàtema) s. m. [dal lat. tardo anathēma e anathĕma, gr. ἀνάϑημα «offerta votiva», poi ἀνάϑεμα «maledizione», der. di ἀνατίϑημι «dedicare»] (pl. -i). – 1. Presso i Greci, offerta deposta nel tempio di una divinità, e costituita in origine da frutta o da animali, più tardi anche da armi, statue, ecc., in ringraziamento per una vittoria o altro avvenimento favorevole. 2. Nel Cristianesimo, bando dalla Chiesa, scomunica, soprattutto in quanto rivolta contro eretici e scismatici. Il nuovo sign. si è formato in seguito all’uso del termine ἀνάϑημα fatto dai traduttori greci dell’Antico Testamento per tradurre l’ebraico ḥērem «consacrato» (ma interpretato come «offerto a Dio per lo sterminio»); più tardi esso acquistò i sign. di «oggetto di maledizione», di «giuramento» e infine di «bando dalla comunità religiosa». 3. a. Nell’uso mod., sinon., più dotto e letter., di scomunica, spec. nelle locuz. lanciare, scagliare, fulminare l’a. contro qualcuno. b. estens. Maledizione: gridare l’a. contro qualcuno (Dizionario Treccani della lingua italiana)

È stato mio fratello Michele, con un tono fra il desolato e il divertito, a segnalarmi l’articolo di Massimo Arcangeli sul Corriere della Sera.

Il linguista si è preso la briga (ed ha avuto lo stomaco) di leggersi tutto il libro del generale, scoprendo la collezione di strafalcioni (grammaticali, sintattici, ortografici, linguistici), scopiazzature senza citare le fonti, refusi, frasi fatte, luoghi comuni e chi più ne ha più ne metta di cui esso è infacito.

Il più esilarante è l’aver definito “anatema” il celebre aforisma, “cogito ergo sum”, che Cartesio pone alla base di tutta la sua filosofia. Il generale, immagino, aveva in mente questa parola, così altisonante e gustosa, e non ha resistito alla tentazione di infilarla nella sua ponderosa raccolta di invettive. Il termine, per giunta, contiene le due sillabe “te-ma”, e senza scomodarsi a consultare un vocabolario il Nostro si sarà detto: “suona bene, parla di temi, e perciò va bene”.

Avevo già avanzato, nei miei articoli precedenti sull’argomento, l’ipotesi che alla base delle posizioni del generale ci fosse una grave lacuna conoscitiva (leggi: ignoranza), ipotesi ora autorevolmente confermata da Massimo Arcangeli.

I difensori del generale hanno un bel dire, ora, “non giudicate il libro senza averlo letto”, o “voi giudicate sulla base di frasi estrapolate da un contesto più ampio”: gli innumerevoli esempi di castronerie coscienziosamente riferiti da Arcangeli dimostrano che il contesto non fa che confermare le frasi estrapolate e che il generale è in effetti ignorante, presuntuoso, banale, livoroso, stucchevole e, dulcis in fundo, anche plagiario.

Ci voleva un linguista di chiara fama per accorgersene? Possibile che fra i lettori innumerevoli di quel libro solo lui abbia notato gli orrori linguistici e culturali di cui il libro medesimo è imbottito?

Sì, è possibile, perché è evidente che coloro i quali quel libro hanno acquistato con entusiasmo, trovandovi conferma dei propri pregiudizi, possiedono un livello culturale – e mentale – non superiore a quello di chi il libro l’ha scritto.

Quindi è proprio vero, caro generale, che il mondo è al contrario. Lo dimostra il fatto che un libro come il suo, vero inno all’ignoranza e al pregiudizio, riscuota un così eclatante successo editoriale, in barba a chi ancora s’illude che nei libri bisognerebbe trovare non dico equilibrio, saggezza e cultura ma almeno un minimo di rispetto per la nostra grammatica e il nostro vocabolario.

E poi, dulcis in fundo,in tanta opera non poteva mancare il famigerato “piuttosto che” (che significa “invece di”) usato in funzione disgiuntiva (vale a dire al posto della congiunzione “o”).

Passi, in conclusione, il suo plateale calpestare la Costituzione; passi il razzismo, passi il sessismo, passi la disumanità ma a tutto c’è un limite. Perciò, anche se sono contrarissimo alla pena di morte, io, generale, non biasimerei la Corte che la condannasse alla degradazione, ed alla fucilazione alle spalle, per alto tradimento della lingua italiana.

Giuseppe Riccardo Festa

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