Persiste ancora una situazione di forte incertezza sul destino di Cariati, in vista delle elezioni amministrative del prossimo maggio. Troppi giochi tattici da parte dei soliti politici, più che pensare a un elettorato all’oscuro di programmi e che dovrebbe, prevedibilmente, poter dire la sua in termini di idee e fabbisogni.
Il problema di Cariati è la mancanza storica di una visione strategica, di un’idea di Paese moderno e con un’anima turistica innovativa che alimenti un indotto di attività economiche e servizi. Serve una idea forte e chiara di Paese, in grado di riportare benessere sociale, civico, economico e culturale.
Cariati ha bisogno di un grande progetto ambientalmente e socialmente sostenibile al passo con i tempi. E, invece, si continua a parlare di mettere insieme “pezzi” diversi, non sempre specchiati, pur di vincere l’imminente competizione politica.
Un gioco di incastri che non fa che riproporre un copione già visto e rivisto i cui risultati sono sotto gli occhi dei cariatesi e non solo. La logica del “Potere per il Potere” continua a prevalere, escludendo forse nuove e migliori energie del Paese e soprattutto le nuove generazioni.
Resto convinto sempre più convinto della mia idea che Cariati ha una classe dirigente migliore che potrebbe contribuire al suo rilancio, ma che se queste sono le premesse preferisce starsene lontano da Palazzo Venneri. Si vive troppo di nostalgia e di conservazione di posizioni personali, che hanno coltivato negli ultimi decenni soltanto i propri orticelli.
Al contrario, occorre una semina che possibilmente guardi ai prossimi dieci/venti anni di buon governo, votato a uno spirito e senso di servizio, nonché di interesse generale. Una Politica in grado di far confrontare Cariati con i Comuni limitrofi, riprendendosi la sua storica leadership, e il resto della Regione Calabria.
La priorità sarà quella di migliorare la qualità della vita, costruendo un Paese anche più green e smart, al passo con i tempi della sostenibilità. E’ un sogno?
Certo, ma senza l’ambizione di vincere la sfida, provando a trasformare il Paese il tutto si riduce ad una iniziativa piatta e sterile di gestione della “cosa pubblica”, che ha prodotto molto poco in questi anni. E il Paese governato così pagherebbe ancora una volta il prezzo della sua mancanza di identità.
Nicola Campoli
nb: foto gentilmente offerta di Michele Cipriotti.
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