Sanremo, seconda serata: andantino con poco moto

Nella prima serata Fiorello ha esordito indossando un imbarazzante mantello gay; la seconda l’ha aperta danzando con un ancora più imbarazzante mantello nero, tipo mamutones (spero che si scriva così) sardi ma senza campanacci. Poi salta fuori che starebbe imitando Achille Lauro. Che ridere, che ridere.

Dopo il dialogo iniziale con Amadeus, sostanzialmente inutile ma che ha fatto scompisciare di incomprensibili risa il direttore d’orchestra, parte la gara dei giovani: quattro esordienti due dei quali passeranno il turno.

Inizia Wrongonyou (la riserva dei nomi d’arte evidentemente è arrivata al fondo del barile) con “Lezioni di volo”. Se non sapessi che è la seconda serata penserei che è una ripetizione della prima: il ragazzotto rappa, con una disarmante aria da nerd, berrettino in testa, orecchini d’obbligo.

E poi tocca a Greta Zuccoli, abitino rosso molto corto e faccina da brava bambina. Canta “Ogni cosa di te”, creazione tutta sua. Il pezzo non è malaccio, ha perfino una specie di melodia ma la sua voce è impostata su un registro troppo acuto, quasi un falsetto, e tanto per cambiare non si capisce molto di quello che dice. Riesco a percepire la frase “Alberi infiniti che cercano il tuo cuore” che un po’ m’inquieta. Saranno alberi carnivori.

Terzo giovane Davide Shorty che esegue “Regina”, anche in questo caso un parto dell’interprete. Questo di orecchini ne ha uno anche al naso. Sembrava che cantasse e quasi mi piaceva, ma poi parte col solito rap. Peccato, la parte cantata non era malaccio e la voce la sa usare.

Ultima proposta una coppia di ragazzotti, i fratelli Dellai. Cantano “Io sono Luca”. Una boiata gggiòvane, i due cercano anche di fare un abbozzo di cabaret sul palco. Penosi. Mentre loro si esibiscono guardo le inquadrature che scorrono sugli archi dell’orchestra e mi viene un po’ di malinconia, pensando agli anni di studio al conservatorio in cui quei musicisti hanno dovuto impegnarsi per poi ritrovarsi a suonare ‘sta roba.

Colpisce il fatto che fra le nuove proposte nessuno, sia ieri che stasera, ha osato esibire un tentativo di autonomia dal filone obbligatorio del rap-trap: vedo in questo una fondamentale mancanza di cultura musicale, in forza della quale si conosce e si frequenta solo ciò che il mercato offre e richiede, senza nessun tentativo di investigare altri campi e altre atmosfere.

Il turno lo passano Davide Shorty e il nerd Wrongonyou, il che significa che anche le tre giurie non hanno una visione della musica che vada al di là degli orientamenti del mercato.

Dopo la pubblicità torna il corpo di ballo “CC&T” (Culi, Cosce e Tette) per accompagnare Amadeus e Fiorello che tentano di essere spiritosi producendosi in un’altra esibizione da avanspettacolo, ma con scarso successo.

Prima in gara si esibisce Orietta Berti. Bene, così ci togliamo subito il dente. Ha due capesante sulle tette, ma considerata la qualità del brano che esegue sarebbero state più adatte due cozze. Esegue infatti “Quando ti sei innamorato” e piuttosto che ascoltare ‘sta melensaggine sarebbe meglio se mi togliessero davvero un dente. Qui si passa da un estremo all’altro: il pezzo è di una piattezza, di una prevedibilità, di un’ovvietà disarmanti. Avrà sicuramente un successo strepitoso.

Co-conduttrice stasera è Elodie, stangona in lungo con spacco che venendo giù lungo l’obbligatoria scalinata la giovane scosta sull’inguine, ricordando la mitica farfallina della Rodriguez. Ma lei la farfallina, nel senso del tatuaggio, non ce l’ha.

Presenta lei il secondo cantante in gara, Bugo, quello che l’anno scorso ha litigato con Morgan. Canta “E invece sì”. Voce fessa, una specie di falsetto, dall’intonazione incerta. Molto incerta. Il bell’arrangiamento non salva il pezzo, che dopo la melassa della Berti riporta sul palco l’1-2-3-4 metronometrico che domina questo festival. Forse Morgan non aveva poi tutti i torti.

Dopo la pubblicità ci sarà la Pausini, che tutti osannano e premiano. Bene, così mi prendo una pausa (non volevo fare un gioco di parole: giuro che so fare di meglio). Indossa una lugubre tenuta nera, un po’ monaca di Monza e un po’ Morticia Addams, che fa risaltare il pallore e l’importanza della sua protuberanza nasale. Io resto convinto che sul piano artistico, al di là dell’indiscutibile professionalità, la Pausini sia un prodotto del nostro tempo, niente di esaltante come tutti i prodotti del nostro tempo: la professionalità ce l’ha qualunque cantante di pianobar. Ad ogni modo conclude la sua performance con un invito alla fratellanza umana: bene, brava, sette più.

Torna la gara con la cantante Gaia, della scuderia di Maria de Filippi. Canta “Cuore amaro”. Ma cosa dice? Non si capisce una parola, dà l’impressione di cantare aspirando (ricordate Amanda Sandrelli in “Non ci resta che piangere”, quando dice bello, bello, bello?), e al di là dell’indiscutibile e tondeggiante avvenenza fisica, soprattutto sul lato B, non dimostra mezzi vocali particolari. Canta frasi spezzate, brevi e incomprensibili.

Elodie torna e presenta un gruppo, lo Stato Sociale, che esegue “Combat Pop”. Oh! finalmente qualcosa di simpatico, originale, ironico, fuori dagli schemi e divertente. Questo pezzo vale tutto il festival che ho sentito finora.

Segue, dopo un’infornata di pubblicità, un omaggio ad Ennio Morricone che mi aiuta a dimenticare la cellulina idiota dell’acqua Lete: perché Morricone significa Musica, quella vera, grande, intensa, commovente, emozionante, vibrante… Peccato che poi arrivino i tre cosiddetti tenori de “Il volo”, che tra il finto tenorismo, qualche stecca qua e là e la pronuncia inglese degna di Matteo Renzi massacrano il tema straordinario di “C’era una volta il West”

Torna la gara con il gruppo “La rappresentante di lista”, i cui leader sono una coppia vestita in rosa shocking in cui la donna sembra un uomo e l’uomo sembra una donna. La donna si dimostra donna cantando con una voce molto acuta. Il pezzo scorre via senza lasciare traccia nonostante il grande agitarsi degli interpreti.  La frase che nel testo meglio lo rappresenta è “parlare senza dire niente”, che è appunto ciò che fa la canzone.

Originale la parodia che Fiorello fa di una canzone di Vasco Rossi, dimostrando senza rendersene conto quanto siano banali e stucchevoli le canzoni di Vasco Rossi che, dicono le malelingue, è molto apprezzato fra i nottambuli che lo chiamano il “Vasco da notte”.

La gara ritorna con Malika Ayane, bella voce e brutti tatuaggi ma nessuno è perfetto. Canta “Ti piaci così” di cui è coautrice. Ahimè, anche in questo caso il testo è incomprensibile, in compenso la musica, pur se il ritmo c’è, non sa né di me né di te. Però lei è oggettivamente molto sexy nel suo completo pantalone nero con scollatura ombelicale. Ovviamente, tatuaggi a parte.

Dopo una bella ospitata di Alex Schwatzer, vittima di misteriosi maneggi che l’hanno escluso dalle competizioni di marcia, un po’ di spazio per Elodie, che accompagnata dalle ballerine e consapevole dei suoi mezzi fisici non si preoccupa più di tanto di quello che canta, ché tanto guardandola nessuno si preoccupa di ascoltarla. Se fossi una donna m’incazzerei per il balletto e per l’abbigliamento suo e delle ballerine, roba da Mediaset degli anni ingloriosi di Drive In.

Dopo l’ennesima infornata di spot pubblicitari, piccola marea di nostalgia con Gigliola Cinquetti, Fausto Leali e Marcella Bella che diversamente da Loredana Bertè hanno il buon gusto di non far finta di essere ancora ragazzini. Ispirano tenerezza e malinconia a chi, come me, li ricorda giovani, freschi e con un grande avvenire davanti, non dietro le spalle come ora. E, cosa che mi è particolarmente cara, questi tre cantano, perdio: non si limitano a snocciolare sfilze di parole magari anche impegnate ma che di canto non hanno nulla come la quasi totalità dei “cantanti” in gara.

Gara che ricomincia con Ermal Meta che esegue “Un milione di cose da dirti”. Toh, una canzone. Toh, una canzone d’amore: la prima, stasera, se si esclude la cosa zuccherosa e inqualificabile della Berti. Non male, in fondo, tenuto conto delle altre cose sentite finora a parte “Lo Stato Sociale”. Nella mia tabella è la numero due.

Un gruppo con cantanti mascherati, “gli extra liscio” canta “Bianca luce nera”. Una cosa che richiama un po’ il liscio e un po’ i ritmi sudamericani. Cantabile, con qualche pretesa provocatoria, vagamente cabarettistica. Pezzo simpatico, tutto sommato, e anche ben armonizzato. Si guadagna il terzo posto nella mia tabella.

Ospitata di Gigi D’Alessio, il fratello brutto di Charlie Brown (ma Charlie Brown almeno ispira simpatia, e soprattutto non pretende di cantare), e io tolgo l’audio al televisore, in attesa che torni la gara mentre il D’Alessio fa zompare sul palco, con i soliti, stereotipi movimenti da rapper, un gruppo di rapper napoletani vestiti con il solito, stereotipo abbigliamento da rapper e coperti con i soliti, stereotipi tatuaggi da rapper. Fanno così perché vogliono essere originali.

Lascio l’audio spento durante la performance di Achille Lauro, il David Bowie de noandri inspiegabilmente osannato dalla critica che evidentemente, in mancanza di fenomeni veri si accontenta di quelli da baraccone.

Poi arriva un altro rapper: Random, che macina le rimette di “Torno a te”. Orrendo, imbarazzante, grottesco. Se Dose e Presta lo presentassero alla “Coppa Rimetti” del loro Ruggito del Coniglio vincerebbe di sicuro. Mi chiedo quali parametri di giudizio abbiano guidato Amadeus nella selezione di brani e interpreti: costui è anche straordinariamente negato per ogni attività canora.

Altro interprete in gara, un ragazzotto con i baffi e un’improbabile giacca rossa, di nome Fulminacci che esegue “Santa Marinella”. Vagamente barbarossiano (nel senso di Luca, non dell’Hohenstaufen) e più che altro velleitario.

Terzultimo in gara, tale Willie Peyote che esegue “Mai dire mai”. Un altro rap di quelli sfilza-di-parole-snocciolate-in-fretta-e-chissenefrega-se-nessuno-capisce-qualcosa. Lo lascio blaterare senza badargli più di tanto. A me piace la musica e la musica col rap non ha rapporti, nemmeno di remota parentela acquisita; questo poi, come se non bastasse, infila nel testo, per il resto incomprensibile, anche qualche parolaccia qua e là, tanto per fare il trasgressivo da marciapiede.

Elodie e Fiorello eseguono “Vattene amore”, il pezzo col famoso “trottolino amoroso dududu dadada” che legittima la mia insofferenza verso le musiche e soprattutto verso i testi di Amedeo Minghi. D’altra parte chi può non essere insofferente, quando si trova di fronte a certi testi di Minghi?

Torna la gara con Gio Evan, che si presenta vestito da deficiente (pantaloni corti e giacca multicolore stile Pinocchio) ed esegue “Arnica” Ennesima filastrocca senza melodia ma in compenso con parole incomprensibili. Musica grande assente, tanto per cambiare, nel pezzo di questo tipo che si autodefinisce poeta, filosofo, cantautore e non ricordo più cos’altro ma a occhio e croce, misurandolo col metro dell’oggettività, non va oltre la misura del pirla.

E infine, registrato perché uno dei suoi collaboratori è positivo al covid, Irama con “La genesi del tuo colore”. Mi viene da dire: minchia, che titolo. L’ascolto fa pensare a uno che sta seduto sul water e spinge, e spinge, ma poveretto non riesce a liberarsi. Buffo: lui non ci riesce ma chi lo ascolta lo stimolo invece lo prova, e anche prepotente. La giuria gli assegnerà il secondo posto assoluto.

Comunque, rispetto alla prima serata stasera è andata meglio, con tre pezzi su tredici che meritano la definizione di “canzoni”. Che poi sarebbero quattro, se si conta Orietta Berti, ma quella è una canzone vietata ai diabetici.

La classifica della serata vede ultimo Bugo, dodicesimo Random, undicesima la Berti, decimo Gio Evan, nono Extraliscio, ottava la Rappresentante di lista, settimo Fulminacci, sesta Gaia, quinto Willie Peiote, quarto lo Stato Sociale, terza Malika Ayane, secondo Irama e primo Ermal Meta, che è primo anche nella classifica complessiva delle due serate.

A questo punto stacco la spina e vado a nanna.

La terza serata è dedicata ai revival, e prometto di seguirla un po’ ma non tutta: rischia di finire alle quattro del mattino e io, onestamente, oltre a seguire il festival ho anche qualcosa di interessante da fare.

Giuseppe Riccardo Festa

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