La sanità italiana si trova oggi di fronte ad un paradosso evidente: se da un lato l’articolo 32 della Costituzione sancisce il diritto fondamentale alla salute, dall’altro, le disparità territoriali nell’accesso ai servizi sanitari dipingono un quadro allarmante. L’ultima inchiesta di Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) solleva interrogativi cruciali sulla capacità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di garantire equità di trattamento, mostrando come la salute, più che un diritto uniforme, sembri diventare una lotteria geografica.
Dal 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni hanno ottenuto autonomia nell’organizzazione dei servizi sanitari, pur rimanendo vincolate al rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA) definiti dallo Stato. Tuttavia, il sistema sanitario regionale ha portato a profonde disparità, legate alla competenza amministrativa delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) ed alle scelte politiche locali.
Le ASL, organizzazioni autonome, sono l’anello di congiunzione tra il diritto alla salute e la sua concreta applicazione. Devono garantire, tra gli altri compiti: campagne di prevenzione, rispetto dei tempi di attesa, assistenza domiciliare e riduzione dei ricoveri evitabili. I dati Agenas, basati su circa 40 indicatori, evidenziano un’Italia sanitaria a tre velocità: 30 ASL promosse, 53 con prestazioni sufficienti, e 27 bocciate.
Gli screening oncologici, fondamentali per la diagnosi precoce e la cura, mettono in luce l’abisso tra Regioni. Ad esempio, mentre la provincia autonoma di Trento raggiunge il 76% di copertura nello screening per il tumore alla mammella, l’Azienda Sanitaria Provinciale (ASP) di Reggio Calabria si ferma a un incredibile 1,4%. Situazioni simili si osservano nello screening per il tumore al colon, dove le performance delle ASL venete (Ulss Berica al 65%) sono incomparabili a quelle di Cosenza (meno dell’1%).
Anche nell’assistenza domiciliare agli over 65, indispensabile per evitare ospedalizzazioni inutili, si registrano differenze drammatiche: la copertura dell’Azienda sanitaria di Imola arriva al 18%, contro il 2,2% dell’ASP di Messina.
La tempestività degli interventi d’emergenza rappresenta un altro parametro cruciale. A Reggio Calabria il tempo medio per l’arrivo del 118 è di 35 minuti, il doppio rispetto al target nazionale di 18 minuti. Al contrario, le ASL di Sassari e Genova rispettano pienamente gli standard, attestandosi sui 14 minuti.
La capacità di risposta delle ASL si riflette anche nei tassi di mortalità evitabile. L’ASL Napoli Centro registra un tasso doppio rispetto a Pesaro-Urbino (29,1 contro 14,6 ogni 10.000 abitanti), sottolineando come la qualità della gestione sanitaria sia un fattore determinante.
Un altro elemento chiave è il costo pro capite dell’assistenza. A Bolzano si spendono circa 3.000 euro per cittadino, a fronte di un valore medio nazionale di 2.100 euro, mentre a Napoli Nord la spesa scende a 1.700 euro. Tuttavia, la spesa non sempre corrisponde alla qualità: Regioni come il Trentino Alto Adige dimostrano che un investimento maggiore può tradursi in un servizio migliore, mentre in altre realtà una gestione inefficiente amplifica gli sprechi senza migliorare le prestazioni.
Dietro le disparità sanitarie si cela spesso una gestione politica poco attenta ai bisogni dei cittadini. I direttori generali, sanitari ed amministrativi delle ASL, figure chiave per il funzionamento del sistema, sono nominati dalle Giunte regionali, influenzate da logiche partitiche più che meritocratiche. Questo sistema di nomine evidenzia come la politica abbia una responsabilità diretta nell’efficienza (o inefficienza) delle cure offerte ai cittadini.
La salute non può dipendere dal codice postale. Se il diritto alla salute è un principio costituzionale, deve essere garantito ovunque con standard minimi omogenei. La riforma della sanità territoriale prevista dal decreto ministeriale 77/2022 offre un’occasione per ridurre le disuguaglianze, ma richiede un impegno concreto per migliorare la gestione locale e adottare criteri di valutazione più severi.
Il vero cambiamento, però, passa dalla responsabilizzazione politica e dalla valorizzazione del merito. Solo in questo modo l’Italia potrà davvero trasformare il suo sistema sanitario da frammentato ad equo e universalistico, rendendo giustizia ai principi fondamentali della sua Costituzione.
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