Elezioni europee: L’UE deve decidere chi vuole essere

di Enrico Iemboli

Tra il 6 e il 9 giugno 2024 milioni di europei parteciperanno a plasmare il futuro della democrazia europea in occasione delle elezioni per il rinnovo del “Parlamento Europeo”, così chiamato dal 30 marzo 1962 (cinque anni prima si chiamava “Assemblea Parlamentare Europea”).

Eletta direttamente dai cittadini si riunisce in seduta plenaria tutti i mesi a Strasburgo nel corso di una tornata di quattro giorni (da lunedì a giovedì). Le tornate aggiuntive si tengono a Bruxelles e gli uffici amministrativi sono a Lussemburgo.

Il Parlamento europeo adotta leggi che riguardano la sfera globale e quella locale, dei grandi paesi e delle piccole comunità; adotta provvedimenti  che riguardano l’ambiente, la sicurezza, la migrazione, le politiche sociali, i diritti dei consumatori, l’economia, lo stato di diritto e molto altro ancora.

Si occupa di sfide mondiali che nessun Paese dell’UE può affrontare da solo, siccome ciascuna nazione che ne fa parte può influire sulla direzione da seguire, è necessario andare a votare per eleggere i candidati che saranno poi i nostri rappresentanti nazionali i quali hanno il dovere di  partecipare con continuità ai lavori dell’assemblea e delle commissioni, evitando di fare troppe assenze.

In Italia  le elezioni europee vengono considerate di secondo piano, peggio ancora di  “ripiego” e “riparatori” per coloro che non sono stati eletti al parlamento nazionale o regionale e per coloro che vengono premiati per la fedeltà politica dimostrata. I candidati dovrebbero invece essere individuati tra i politici che hanno dimostrato di avere capacità di sapere e potere svolgere il delicato ruolo di rappresentanza degli interessi della nazione e tra le eccellenze nei campi professionali e scientifici che hanno dimostrato capacità manageriali.

Da quando è stata istituita, l’U.E. ha fatto grandi cose ma ancora ad oggi non è stata capace di decidere che cosa vuole essere.

Non ha brillato per determinazione rispetto al cambiamento avvenuto nel mondo che è pieno di focolai di guerre e che assiste inerme alla distruzione del pianeta a causa dello  sfruttamento delle risorse a danno dell’ambiente.

Non si è distinta e non ha ancora scelto di diventare un soggetto con una visione politica estera per potere contare di più nell’area mondiale.

Non è riuscita a costruire l’identità dei popoli e di conseguenza la maggior parte dei cittadini dei Paesi europei non si sente affatto “europea”.

Nei primi decenni dalla sua nascita, la classe politica della UE  ha praticato una politica lungimirante ed ha avuto una “visione” del mondo verso il quale ha sentito il dovere di impegnarsi per garantire una pace duratura e per creare i presupposti di una crescita economica forte affinchè il concetto di “unità” e di “unione” prevalesse sui singoli interessi nazionali.

Negli ultimi decenni il continente europeo ha visto prevalere l’egoismo delle nazioni che ne fanno parte, è scomparsa la politica e si è dissolta l’idea di “fare gli europei”.

Lo storico Ernesto Galli della Loggia di recente ha affermato che l’Europa è cominciata ad essere sottovalutata  da quando sono usciti di scena coloro che hanno  vissuto i periodi della guerra e del dopoguerra, personalità come Kohl, come Mitterrand, come Delors e come gli esponenti della vecchia Democrazia Cristiana, senza dimenticare la signora Thatcher.

Dopo di loro, nessun leader è stato capace di misurarsi con la politica nell’accezione forte del termine, nessuno ha avuto più la visione dei grandi problemi e la passione dei grandi disegni.

Dopo la scomparsa di questi personaggi, la costruzione europea è progressivamente caduta nelle mani della burocrazia che si è infiltrata nelle commissioni e in tutti i posti decisionali approfittando della scarsa preparazione dei politici che di volta in volta si sono succeduti.

Il più grande inganno che si possa fare agli elettori ed all’Italia intera, è candidare al Parlamento europeo la persona sbagliata. Potrà prendere molti voti perché personaggio noto al pubblico e che spera di tradurre in consenso la notorietà di cui gode nel campo dello sport, dello spettacolo, delle arti e della professione, a prescindere se il candidato non conosce le lingue ed è a digiuno di questioni internazionali. Non importa se poi l’eletto -come è accaduto nel recente passato- andrà raramente a Strasburgo e se non si occuperà delle materie da cui dipende il futuro delle prossime generazioni. Conta il simbolo, la sua capacità di attrarre, non la competenza.

Bastano poche persone impreparate o semplicemente assenti per arrecare all’intero Pase danni irreparabili .

C’è da augurarsi che gli europarlamentari italiani che saranno eletti possano muoversi nelle istituzioni europee come una squadra, ovvero, come si dice in gergo, ”fare sistema”, così come accade per gli altri Paesi nei quali si prescinde dall’appartenenza alle diverse famiglie politiche d’origine.

L’Europa non è il secondo tempo di una battaglia politica interna, è la partita più importante e decisiva, specialmente nella prossima legislatura che si occuperà di temi di estrema delicatezza: dalle scelte per la transazione energetica alla difesa comune, all’allargamento del mercato unico, alla disciplina dell’intelligenza artificiale.

Si vuole prendere atto di questa realtà?

Altrimenti non resta che fare solo chiacchiere  e ogni cinque anni andare a votare, tanto per .. . . ….

Enrico Iemboli

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