■Antonio Loiacono
Ci sono vite che sembrano romanzi. Quella di Vincenzo Fullone, 53 anni lo scorso 13 agosto, è una storia di fratture e di rinascite, di fede e di coraggio.
Nato in Calabria a Crosia, cresciuto all’ombra dei palazzi del Vaticano, formato alle università Angelicum e Urbaniana, Vincenzo era destinato a una vita di preghiera e obbedienza. Ma nel suo animo qualcosa si muoveva: la ricerca di una verità più grande della dottrina, più profonda del dogma.
“La Chiesa predica amore, ma ne ha paura quando non può controllarlo”, diceva.
Nel 2000, mentre l’Italia celebrava il Giubileo e Roma ospitava il primo Gay Pride, Fullone scelse di camminare tra due mondi. Difese i diritti LGBTQIA+, parlò di amore universale e pagò il prezzo più alto: la scomunica!
Ma fu proprio allora che imparò il significato più radicale della fede — quella che non divide, ma unisce.
Lì, tra le macerie di Gaza, Fullone riscopre se stesso. Collabora con attivisti e fotografi, fonda Jasmin House, una rete di comunicazione nata per raccontare la vita reale della Striscia.
“A Gaza mi sentivo libero. Non avevo ruoli, solo umanità.”
Negli anni perde amici, compagni, fratelli di battaglia. Ma non perde mai la sua voce. Documenta, denuncia, cura, accompagna.
Il suo nome torna oggi sulle cronache, quando viene arrestato in acque internazionali durante una missione umanitaria a bordo della Coscience, parte della Freedom Flotilla, diretta verso Gaza con 18 tonnellate di aiuti medici.
L’arresto provoca un’ondata di reazioni internazionali; la deputata Anna Laura Orrico (M5S) chiede ufficialmente l’intervento delle istituzioni italiane: “Le ragioni del diritto internazionale, dell’umanità e della pace devono prevalere sul silenzio. Il nostro Paese non può rimanere a guardare.”
E oggi, mentre il mondo assiste con emozione alla firma dell’accordo di pace israelo-palestinese, la vicenda di Vincenzo Fullone acquista un significato nuovo.
È la parabola di chi ha vissuto dentro le contraddizioni della fede e della politica, scegliendo sempre la parte della vita.
La pace che si delinea in queste ore è anche, in qualche modo, la sua vittoria morale: la conferma che i gesti individuali — silenziosi, umili, disarmati — possono aprire brecce nella storia.
Vincenzo non è solo un cooperante o un attivista: è un ponte vivente tra culture e popoli, tra spiritualità e azione civile.
Dal silenzio delle aule vaticane al fragore dei bombardamenti di Gaza, la sua voce ha attraversato decenni di chiusure e violenze per arrivare a questo giorno — il giorno in cui la parola pace torna a farsi possibile.
“Ho sempre creduto che la verità non si difende con le armi, ma con la dignità. E oggi, forse, il mondo comincia a capirlo.”
In un tempo che sembrava condannato all’eterno conflitto, il ritorno della parola accordo suona come un respiro collettivo.
La storia di Vincenzo Fullone ci ricorda che la pace non nasce nei palazzi del potere, ma nei cuori di chi osa credere nell’altro.
Lui, uomo di fede e di ribellione, ne è la prova vivente: il suo cammino da Roma a Gaza, da scomunicato a simbolo di umanità, è un messaggio che supera ogni religione e ogni frontiera.
Oggi, mentre in Medio Oriente si firma un nuovo inizio, possiamo dirlo senza retorica: la pace porta anche il suo nome.
Views: 311

Lascia una risposta
Devi essere connesso per inviare un commento.