Matteo Renzi: tanto tuonò che (finalmente?) piovve.

Era ovvio, previsto e inevitabile. Matteo Renzi non poteva restare in una posizione subordinata, né carne né pesce, un senatore fra gli altri, mentre dentro gli ruggiva la voglia, anzi, il bisogno, di essere in primo piano, di essere lui a dettare la linea del partito, a indicare i traguardi da raggiungere e a decidere chi è amico e chi no. Le posizioni defilate non fanno per lui, e non fa per lui l’obbedir tacendo, perché “obbedire” e “tacere” sono due verbi che gli fanno venire l’orticaria.

Dunque, finalmente, Matteo Renzi ha attraversato anche lui il suo Rubicone, ha raccolto le sue armate e ha preso una nuova strada. Nuova per modo di dire, perché già da tempo s’era capito che Renzi guardava al centro, a quel caro vecchio centro dell’agone politico un tempo dominato dalla Democrazia Cristiana dei Fanfani e dei Forlani, la cui memoria è sicuramente più cara al leader fiorentino di quella non dico di Enrico Berlinguer o di Pietro Nenni, ma perfino di quella di Aldo Moro, che ebbe il torto (a suo danno) di aprire alla Sinistra le porte del governo italiano.

E adesso che succederà?

Probabilmente guarderanno verso la nuova “cosa” renziana molti elettori dell’area berlusconiana, quelli più moderati (gli altri si accoderanno alla Lega salviniana, e Forza Italia si dissolverà nel nulla); altrettanto probabilmente, molti transfughi della Sinistra, che Renzi aveva allontanato dal PD, faranno ritorno: non escludo che gli elettori di Liberi e Uguali, ora che non c’è più l’ingombrante figura che li aveva spinti alla scissione, possano ritornare all’ovile. D’altra parte, già L&U è in maggioranza con l’attuale governo. Insomma, il PD si tingerà un po’ più di rosso e un po’ meno di rosa. Forse, anche molti astensionisti faranno ora ritorno al voto, vuoi per la nuova DC in salsa renziana, vuoi per la vecchia cara Sinistra ammorbidita dalla faccia paciosa e rassicurante di Zingaretti.

Riflessi sul governo non credo che ce ne saranno, perché se già prima nessuno, fra i partiti che lo sostengono, aveva interesse a tornare al voto, ancor meno interesse c’è ora che sia il PD che la “cosa” renziana debbono organizzarsi, o riorganizzarsi, e definire le rispettive identità per proporsi all’elettorato, quando il momento verrà, con una fisionomia chiaramente riconoscibile.

Ora Renzi, dopo aver scalpitato e sofferto per due anni, ha di nuovo un partito da modellare intorno alle sue idee, ai suoi progetti e ai suoi programmi, e soprattutto alla sua persona, senza dover sottostare a pastoie, limiti e gerarchie che per lui sono soffocanti quando non è lui ad occuparne il vertice. In sostanza, pur se indubbiamente con finalità e partendo da posizioni sideralmente distanti, ha avuto bisogno anche lui, come Matteo Salvini, di un partito tutto suo e di circondarsi di fedeli e acritici seguaci.

Auguriamogli che, essendosi già scottato una volta, non si lasci nuovamente sopraffare dal delirio da onnipotenza (la maggioranza ha bisogno dei suoi voti al Senato): una sindrome che, l’abbiamo constatato poche settimane fa, sembra accomunare i due Mattei della politica nostrana.

Giuseppe Riccardo Festa

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