PERCHE’ NON VOTERO’ AI REFERENDUM DEL 12 GIUGNO

A mio modestissimo e contestabilissimo parere, il ricorso al referendum non dovrebbe riguardare la modifica di norme per intervenire sulle quali all’elettore sarebbe necessaria una profonda e dettagliata conoscenza delle relative materie, a maggior ragione quando la conseguenza dell’eventuale successo della consultazione implica un pesante stravolgimento dell’assetto delle istituzioni.

Sono dunque andato, con convinzione, a votare “No” al primo referendum della storia repubblicana, quello sull’abrogazione della legge sul divorzio, e “Sì” al referendum sulla natura pubblica dell’acqua: si trattava di quesiti che producevano conseguenze in un ben delimitato ambito e di chiara comprensione per tutti; e avrei votato “Sì” al referendum sul fine vita e a quello sulla cannabis, purtroppo bocciati dalla Corte Costituzionale, che riguardavano diritti individuali.

Viceversa, non ho votato al referendum che segnò il principio della fine per la carriera politica di Matteo Renzi (la cui carriera politica è finita da un pezzo, solo che lui ancora non se n’è accorto), perché votando “SI” avrei accettato uno stravolgimento assurdo dell’assetto costituzionale ma votando “NO” mi sarei associato a chi, di quel referendum, faceva una ghigliottina per la testa di Renzi (d’altra parte, lo stesso Renzi ne aveva fatto un referendum su sé stesso). Era un referendum costituzionale, non era necessario raggiungere il “quorum”; ma si dissente anche non votando.

Non ho votato neppure al referendum, poi approvato (costituzionale anche quello), che ha determinato la riduzione del numero dei parlamentari, cavallo di battaglia del M5S i cui parlamentari oggi, probabilmente, si sono resi conto di aver segato il ramo sul quale erano seduti. In quest’ultimo caso era evidente il contenuto demagogico della modifica costituzionale, che faceva leva non sul freddo ragionamento e sulla razionale valutazione delle conseguenze che essa implicava ma si appellava esclusivamente all’insofferenza, se non all’odio, che la gente ha maturato nei confronti della classe politica, invocando risparmi in realtà risibili sul bilancio dello Stato. La vera conseguenza del successo di quel referendum, cui non ha nemmeno fatto seguito una coerente riforma elettorale, è stata di incrementare a dismisura il potere delle segreterie dei partiti sui singoli parlamentari senza modificare di una virgola il funzionamento delle Camere.

I referendum cui siamo chiamati a votare il prossimo 12 giugno hanno un profondo contenuto specialistico, riguardano il funzionamento della magistratura e i suoi rapporti con la politica: una materia delicatissima, suscettibile di creare pesanti squilibri nella delicatissima divisione dei poteri fra gli organi dello Stato.

Anche in questo caso si fa appello alla pancia dei cittadini, non alla loro ragione, incitando il loro astio nei confronti della magistratura alla quale viene imputata ogni responsabilità per il conclamato cattivo funzionamento della giustizia in Italia. Non che la magistratura sia esente da colpe, ma è bizzarro che questo appello sia lanciato con maggiore entusiasmo da forze politiche in cui militano personaggi che, guarda caso, da alcune delle riforme, se approvate, otterrebbero grandi vantaggi.

Io ammetto candidamente la mia incompetenza. Una legge di riforma che riguarda proprio le norme aggredite dai referendum in questione è in discussione in Parlamento e ritengo che sia quella, non la pubblica piazza, i suoi rancori e i suoi livori, la sede in cui le leggi di questa natura vanno fatte e, se del caso, modificate.

E ringrazio, dal profondo del cuore, i Padri e le Madri costituenti che, animati da profonda saggezza e cultura, a parte quelli che riguardano modifiche costituzionali hanno previsto la possibilità di indire esclusivamente referendum abrogativi: non oso immaginare quale uso di consultazioni anche istitutive di norme avrebbero fatto certi politici odierni, che della cultura e della saggezza dei Padri e delle Madri costituenti non possiedono nemmeno una frazione di un millesimo di milionesimo. E purtroppo si vede.

Giuseppe Riccardo Festa

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