SYBARIS, LA PIU’ RICCA E RAFFINATA CITTA’ DELLA MAGNA GRECIA, SIA DICHIARATA DALL’UNESCO PATRIMONIO DELL’UMANITA’

 di Franco LIGUORI, storico ( presidente SIPBC-Calabria )

La stampa calabrese si sta occupando ripetutamente, in quest’ultimo periodo,dell’ iniziativa portata avanti   dal noto giornalista Franco Corbelli, leader del Movimento Diritti Civili, e condivisa da tanti intellettuali, pubblici amministratori e imprenditori di Cassano e di tutta la Sibaritide, di far promuovere dall’Unesco  il sito archeologico dell’antica Sybaris (greca arcaica) e delle successive città di Thurii (greca classica) e di Copia (romana), a “patrimonio dell’umanità”, operazione tentata senza successo anche qualche anno addietro. Chi scrive ha dedicato anni di ricerche e di studi per far conoscere la storia e il mito di Sybaris, pubblicando nel 2004 il volume Sybaris tra storia e leggenda, tuttora molto letto e consultato da turisti, ma anche da studiosi e utilizzato proficuamente da tanti studenti dell’UNICAL, oltre che apprezzato da “specialisti” della materia tra cui i noti archeologi Pier Giovanni Guzzo ed Emanuele Greco. Non si contano, d’altra parte, gli articoli pubblicati da chi scrive, negli ultimi anni, sull’argomento. Ci sembra, in questo momento, opportuno, far leggere ai numerosi frequentatori del sito CariatiNet, uno di questi articoli, uscito nel 2017 sul periodico “Il Nuovo Corriere della Sibaritide” e intitolato “Il mito di Sybaris”. Eccolo :

Il mito di Sybaris

Scrive Giovanni Pugliese Carratelli (1911-2010), la massima autorità del Novecento negli studi storici sulla Magna Grecia (nostro relatore alla tesi di laurea), che “il nome di Sibari è dotato di un potere evocativo quale nessun’altra memoria del mondo italiota può vantare: evocativo di una straordinaria opulenza e raffinatezza e di una cittadinanza capace di goderne”. La grande città, fondata dagli Achei, non visse che due secoli sino alla catastrofe che la cancellò dalla storia, e ne fece perire anche le rovine. Il grado di progresso, di ricchezza e di prosperità, al quale pervenne, in una così breve esistenza, costituisce un vero fenomeno storico, che ha fatto versare fiumi di inchiostro ai numerosissimi studiosi che di essa si sono occupati, attratti dal fascino irresistibile di questa “mitica” città, in cui si è soliti identificare il contrasto tra ricchezza ed abbandono, tra notorietà ed oblìo, tra potenza e distruzione. Si è concordi nel ritenere Sybaris tra le prime colonie fondate dai Greci nell’Italia meridionale, e  di certo la prima fondazione di genti achee sul versante ionico dell’odierna Calabria. La città fu fondata intorno al 720 a.C. Il toponimo “Sybaris” è preellenico ed ha riscontro nell’Acaia ove così si chiamava una fonte presso Bura, donde i coloni l’avrebbero portata in Italia, assegnandola alla città da loro fondata e ad uno dei fiumi che ne percorrevano il territorio (l’odierno Coscile) ; anche l’altro corso d’acqua, il Krahtis, avrebbe tratto il nome da un fiume prossimo alla città di Eghion, in Acaia.

Furono, dunque, genti provenienti dalle città achee di Helìke, Bura ed Eghion a fondare Sybaris, su istruzioni fornite dall’oracolo di Delfi, che indicò loro di impiantare la nuova città nella vasta e fertile pianura posta al centro del Golfo di Taranto, ancora oggi denominata Piana di Sibari.  Il capo della spedizione (ecista) si chiamava Is e veniva dalla città di Helìke. Il contingente coloniale fu rafforzato da un gruppo, successivamente espulso, proveniente da Trezène, città dell’Argolide. La zona prescelta per farvi nascere la nuova città era di una fertilità prodigiosa e i coloni achei riuscirono a produrvi quantità enormi di grano, un bene che a quei tempi aveva un altissimo valore strategico, paragonabile solo a quello del petrolio. Ma Sibari non si affidò solo alle risorse, pur generose, della terra. Oltre alla produzione di grano, frutta, olio d’oliva, all’allevamento di pecore e soprattutto di cavalli, aprì e sfruttò, nell’interno, miniere di rame, di ferro e d’argento. E con l’argento (presente nella zona dell’odierna Longobucco) vennero coniate, per molti anni, le monete di Sybaris, le più belle monete delle città coloniali della Magna Grecia, realizzate con la tecnica “incusa”, che consisteva nel rappresentare sul diritto della moneta l’immagine in rilievo e sul rovescio la stessa immagine incavata (“incusa”). Un toro retrospiciente (=col capo rivolto indietro), personificazione del fiume Krathis e simbolo di potenza (come la forza impetuosa delle acque del fiume) è l’immagine più ricorrente sulle monete sibarite, che ebbero amplissima circolazione in tutta l’area del Mediterraneo, a partire dalla metà del VI sec. a.C. E Sibari commerciò anche legname da costruzione (proveniente dalla Sila) e pece per gli arsenali. Aprì una linea commerciale privilegiata con Mileto, in Asia Minore, allora  la più bella e ricca città del mondo greco, capolinea di tutte le principali vie carovaniere che attraversavano gli altopiani dell’Anatolia, dell’Iran, della Siria, e portò sulle rive del Mediterraneo le stoffe fenicie, i lini egiziani, le perle dell’India, i profumi d’Arabia, oltre ai prodotti raffinatissimi della Ionia: bisso, ceramiche, gioielli, legni e avori lavorati. Per quei prodotti così raffinati, i Sibariti individuarono il giusto mercato: le potenti città etrusche del Tirreno, ricchissime per le loro risorse naturali, industriali e artigianali, all’apogeo della potenza militare e politica. Scrive Strabone che Sibari “fu eccelsa per la sua prospera fortuna, e  dominatrice di quattro popoli e 25 città”; Diodoro Siculo riferisce che aveva “trecentomila cittadini, che con l’agricoltura accumularono grandi ricchezze”.  Ancora secondo Strabone, il circuito delle mura della città misurava ben 50 stadi, quasi 9 kilometri cioè, e questo la pone alla pari di Atene e di Roma del VI secolo. Sibari aveva bei palazzi e templi, grandi piazze e viali ombrosi per proteggere gli abitanti dai raggi troppo forti del sole. I Sibariti  amavano vivere nel lusso, vestivano vesti sontuose, amavano banchettare, amavano il canto, la poesia e la musica. Tutto questo splendore, insieme allo strapotere dell’impero sibarita, suscitò l’invidia e la rivalità dei Crotoniati, la quale, come era nell’indole dei Greci, sfociò in una guerra distruttrice, che si concluse con l’annientamento di Sibari e la completa distruzione della città, sulle cui rovine furono deviate le acque del vicino fiume Crati. Alla base dei contrasti delle due città, oltre ai motivi di predominio (Crotone era la seconda potenza della Magna Grecia), c’era probabilmente la differente forma di governo: democratico a Sibari, aristocratico a Crotone. Correva l’anno 510 a.C. Finiva così molto tragicamente la storia dell’opulenta città della Calabria magnogreca, e iniziava il suo “mito”, la sua “leggenda”, che ancora oggi, a distanza di 2500 anni, continua ad essere vivo e conosciuto in tutto il mondo, perché dovunque il nome di Sibari è legato all’idea di lusso e di mollezza di costumi, di raffinate licenziosità. Scrive a tal proposito l’archeologo Sabatino Moscati, nel suo volume “Le pietre parlano” (Mondadori, 1976) : “Sibari è innanzitutto leggenda. Non a caso noi stessi, quando vogliamo definire qualcuno dedito al godimento di tutte le gioie, di tutte le mollezze che può offrire l’umana esistenza, lo chiamiamo sibarita “. Occorre precisare, però, che la fama di Sybaris come “città dell’eccesso”, “città della dolce vita”, “città corrotta”,  “Gomorra del mondo greco”, era iniziata molto prima, alimentata dalle fantasiose maldicenze originate dalla gelosia e dalla rivalità delle città vicine e, in special modo, di Crotone. Le dicerie malevoli sui Sibariti divennero addirittura un genere di racconti o di novelle, di storie romanzate, conosciute in ambito letterario col nome di “Sybaritikòi lògoi”, “novelle sibaritiche”. Ma non è solo la novellistica a raccontarci la vita lussuosa dei Sibariti e i loro eccessi. Ci sono anche gli storici : Erodoto, Strabone, Ateneo, Diodoro Siculo e tanti altri ancora.

“I Sibariti – scrive Diodoro Siculo- sono crapuloni e gozzovigliatori”. Ateneo riferisce che “le arti rumorose, come quelle dei fabbri, ramai e calderai, ed anche l’altra dei falegnami e legnaioli erano in Sibari interdette poiché turbavano i placidi sonni dei cittadini; e per la stessa ragione non era permesso allevare galli nel recinto della città”.

Eliano racconta che un giorno un sibarita giaceva sopra un fresco e soffice letto di rose. Eppure non riusciva a trovare pace. Disperato, alla fine, si alzò, lamentandosi di avere il corpo indolenzito e l’epidermide coperta di bollicine e di lividi, tutto per la durezza di alcuni petali che s’erano piegati in due.  I Sibariti erano amanti del cibo e straordinariamente ingordi: “una mensa sibarita” si diceva, secondo Zenobio, quando si voleva indicare lusso smodato e vita voluttuosa. Ateneo ricorda che alle fanciulle sibarite s’insegnava, ad esempio che il modo più sicuro per far cadere un amante irresoluto e duro era quello di andare scollacciate al di sopra del seno. Alle giovanette di dodici anni non doveva mancare un amante, tale essendo a Sibari la moda, e quella che più ne aveva, più era ammirata, ed il suo nome correva sulla bocca di tutti.

 Un personaggio emblematico della vita libertina ed opulenta dei Sibariti è Smindiride, figlio di Ippocrate, facoltoso mercante di cavalli. Di lui si diceva che dormiva tutto il giorno e gozzovigliava la notte, e perciò poteva vantarsi di non aver mai visto, da che viveva, né il sorgere né il tramontare del sole.

E sulla cattiva fama dei Sibariti si potrebbe continuare ancora a lungo….Ma che credito  bisogna dare a tutta questa aneddotica sui costumi dei Sibariti ?  Scrive Dario Del Corno, apprezzato storico della letteratura greca, che  “quando gli autori antichi parlano di Sibari, appare unanime l’esecrazione degli eccessi, di cui solevano compiacersi i suoi abitanti; e quasi altrettanto concorde è il senso di un compiacimento che a tanta aberrante e provocante esibizione di opulenza si fosse infine posto un termine , sia pure drastico e violento, con la  distruzione della città da parte de i Crotoniati”.

Ma la storia di Sybaris non finisce nel 510 a.C. con la sua distruzione da parte della rivale Crotone. E’ noto, infatti, che, quando Pier Giovanni Guzzo, tra il 1969 e il 1975, realizzò una vasta campagna di scavi e ricerche per portarla alla luce,  non riuscì a credere ai suoi occhi: non scoprì, infatti,  solo i resti di una città, bensì di tre città, succedutesi nello stesso territorio: : Sybaris, Thurii, Copia, i cui siti, indagati negli ultimi anni con importanti campagne di scavo, vanno restituendo con sempre maggiore frequenza, meravigliosi “tesori” di testimonianze archeologiche della splendida civiltà greco-romana, accumulatisi in quell’area dall’VIII sec.a.C. (fondazione di Sibari) al VI sec.d.C.( totale e definitivo abbandono del sito ).

 

Per saperne di più

Franco LIGUORI, Sybaris tra storia e leggenda, Bakos, Castrovillari 2004

 

 

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