Sanremo, seconda serata: Amadeus sceglie bene gli ospiti, meno bene i cantanti (a parte Elisa)

Ieri no ma stasera ho visto il “prima-festival” e dopo aver ascoltato qualche intervista inutilmente encomiastica, da parte di una coppia di ragazzotti inutilmente entusiasti guidati da una Roberta Capua a disagio nel ruolo, ad alcuni cantanti doverosamente emozionati-di-essere-qui,  ho scoperto che ieri non mi sono perso niente.

Il palco dell’Ariston, che stasera osservo con maggiore attenzione, è rutilante di luci cangianti, inizialmente blu e bianche, una via di mezzo fra il Nautilus di Verne e un luna-park di Las Vegas: insomma una cosa mica male quanto a cattivo gusto. A parte questo, Amadeus esordisce, doverosamente, ricordando Monica Vitti, purtroppo scomparsa oggi dopo vent’anni di dignitoso silenzio dovuto al morbo di Alzheimer.

Il primo cantante in gara è un gggiòvane (stasera di “g” ne metto tre perché il gggiovanilismo imperversa più che mai), “Sangiovanni”, abbigliato in una specie di tubatura, come l’uomo di latta del Mago di Oz, però rosa, il che peggiora la situazione. Esegue “Farfalle”: solito schema: fiume di parole recitate in fretta nell’intro, poi invece pure; fa un po’ impressione il modo in cui tira il fiato, come stesse per soffocare, ma poi purtroppo non soffoca e continua a rappare. Il brano finisce in fretta, e questo va a suo merito. Voto 3, ma sicuramente piace ai gggiòvani.

Amadeus introduce poi una giovane attrice che lo accompagnerà durante la serata. Si tratta di Lorena Cesarini, graziosissima, con chiare origini africane. Bisogna riconoscere ad Amadeus il merito di promuovere senza clamore istanze importanti come quelle della lotta al razzismo e all’omofobia; e poi con Roberto Saviano (che interverrà, gratis, venerdì) il ricordo di Falcone e Borsellino.

Il secondo cantante in gara è un certo Giovanni Truppi, che si presenta in tenuta da stanza da letto (canotta e pantaloni tipo pigiama): pessima idea, dato il suo fisico da impiegato comunale prossimo alla pensione, ed esegue “Tuo padre, mia madre, Lucia”. Alternanza di monologhi a mitraglia e ricerca infruttuosa di una melodia. Voto 2.

Lorena Cesarini, durante la serata, si mostrerà a disagio, sopraffatta dall’emozione e sostanzialmente fuori posto. Però si presenta in un monologo durante il quale denuncia il razzismo di cui è stata vittima dopo che Amadeus ha annunciato la sua partecipazione al festival. Una denuncia forte, chiara, necessaria. Cita meritoriamente “Il razzismo spiegato a mia figlia” di Tahar Ben Jelloun.

Le Vibrazioni arrivano per il terzo brano in concorso. Abbigliamento doverosamente a casaccio, soprattutto il bassista, che indossa una specie di gonna pantalone in tono con la sua barba e col berretto calato sulla fronte che sottolinea l’altezza del suo livello di gusto, suppergiù quello del battiscopa. eseguono “Tantissimo”. Il cantante ha un’intonazione a dir poco approssimativa ma tanto il brano, che si sforza di sfoggiare una struttura tradizionale (strofa-ritornello-strofa) non ci riesce. Le stecche del cantante sono tanto costanti e clamorose da far pensare che canta un’altra canzone. Voto 4.

Arriva Checco Zalone. Imprevedibile, stratosferico, originale, travolgente, castigat ridendo mores. È esilarante ma spietato: giocando in modo straordinario con l’accento della mia amata Calabria, denuncia l’ipocrisia dei perbenisti che ce l’hanno con i viados e poi magari ci vanno la sera per togliersi certe soddisfazioni. Mi ricorda il “vecchio professore” di De André, ma meno amaro e più feroce. Volutamente provocatorio, sicuramente susciterà levate di scudi da parte dei Pillon, delle Meloni, degli Adinolfi, di altre madri superiori  e di altri monsignori e se la riderà di gusto alle loro reprimende.

Non riesco a condividere l’entusiasmo che Amadeus (ma non solo lui) esibisce per Laura Pausini, ospite principale della serata, che a dispetto del successo planetario continuo a considerare ripetitiva e sgradevole. Come di consueto, cantando passa dalla melopea bofonchiante tipo “Introibo ad altare Dei” del prete svogliato alla messa delle sei del mattino allo strillo smodato da aquila spiumata; e le luci che accompagnano la sua esibizione, una sorta di gabbia di tubi al neon cangianti dal bianco al rosso, non aiutano, brutte e troppe come sono. Approfitto del suo dialogo con Amadeus per andare a cercarmi un pezzo di cioccolata, poi vedo apparire Mika e mi dispiace, perché lo stimo, che duetti con lei che infatti “I have a dream” degli Abba la strilla e la distrugge, mentre Mika la sussurra, come va fatto. Poi arriva anche Alessandro Cattelan, e si scopre che a maggio i tre presenteranno l’Eurofestival di Torino.

Finalmente arriva il quarto cantante in gara, anzi la quarta: Emma, che il festival l’ha vinto dieci anni fa e si presenta con un abito dal lungo spacco e la generosa scollatura. Titolo del pezzo “Ogni volta è così”. Di nuovo un inizio gorgogliante. Francesca Michielin si improvvisa direttrice d’orchestra e più che dirigere si dimena; ma come si sa a Sanremo il direttore è una figura allegorica: gli orchestrali hanno tutti l’auricolare e seguono il click predisposto. Canzone che però rispetta gli standard, a parte il gorgoglio di cui sopra. Merita un 5. In fondo è la migliore che ho sentito finora.

Quinto in gara è un ragazzino, Matteo Romano, che si è fatto prestare la giacca dal fratello maggiore e i pantaloni dal fratello minore.  Esegue “Virale”, una roba araboide con note svirgolate, al solito senza un accenno di melodia, che potrebbe essere eseguita alla rovescia e nessuno se ne accorgerebbe, e la cosa vale per la musica come per il testo. Insomma, una sicura candidata alla vittoria.

Sesta in gara arriva Iva Zanicchi, terza vecchia gloria della rassegna, più vecchia che gloria. “Voglio amarti” è il titolo del pezzo. Potrebbe cantarlo anche Orietta Berti, tanto è sdolcinata e ovvia. L’aquila di Ligonchio si è fatta roca, o forse arrochisce la voce apposta tentando di dare al brano un po’ di mordente; voce che, per giunta, denuncia qualche non lieve incertezza nell’intonazione. Insomma, una cosa da dimenticare. Non merita più di un 4. Inspiegabile l’entusiasmo del pubblico alla fine dell’esibizione, probabilmente un omaggio alla carriera.

Torna Zalone che sfotte i rapper che soffrono e dimostra che cos’è la vera satira: feroce, spietata e nemica giurata dell’ipocrisia. Bravo, bravo, bravo.

Lorena Cesarini fa un bell’ingresso dalla scala indossando un abito lungo tigrato che si addice alla sua figuretta snella. Peccato che rida troppo voltandosi continuamente, adorante, verso Amadeus come in cerca di rassicurazioni, se no sarebbe davvero incantevole. Introduce la settima canzone in gara, eseguita dal duo inedito Rettore e Ditonellapiaga, la seconda una bella ragazza che evidentemente non ama essere corteggiata, se no si cercava un nome d’arte più decente. Rettore, rifatta anche nelle unghie, ossuta fino al limite dell’anoressia, un’improbabile parrucca bianca sulla testa, il viso gonfio di botulino, non rinuncia ad essere inguardabile. Come se gli ultimi quarant’anni non fossero passati, le due eseguono “Chimica”, una specie di remake di “lamette” e degli altri successi della Rettore dei lontani anni ’80. Dance datato, testo provocatorio, canzoncina da divertimento senza impegno. 5 perché si sono divertite.

L’ottavo pezzo è interpretato da Elisa, vestita da Maria Vergine, ma senza il manto azzurro e con tatuaggi d’ordinanza sulla spalla sinistra. S’intitola “O forse sei tu”. Il trucco degli occhi, strane strisce bianche sopra le palpebre e agli angoli accanto al naso, disturba un po’ ma il pezzo è oggettivamente bello, ben costruito, ottimamente interpretato; credo che eseguirlo dia soddisfazione anche all’orchestra. Bella anche l’interazione di Elisa col coro. Voto: 8. Finalmente ho sentito una vera canzone.

Ospitata delle protagoniste de “L’amica geniale”, che si presentano in mise molto sexy e ricche di trasparenze ma si muovono con una certa goffaggine e non brillano certo in spigliatezza. Introducono il nono pezzo eseguito da Fabrizio Moro, che ho detestato dal primo momento in cui l’ho visto un paio di festival fa. S’intitola “Sei tu”. Tanto per cambiare Moro esordisce con l’ennesima enunciazione di frasi non musicate; poi si mette a urlare, ma non a cantare, frasi assurde tipo “sei tu che attraversi il mio ossigeno”. Lo ricordavo un tantino stonato, e invece lo ritrovo parecchio stonato. Insomma non si tratta di pregiudizio da parte mia ma proprio di braccia – debitamente tatuate – sottratte all’agricoltura. Voto 3.

Torna Zalone a sfottere, stavolta, Al Bano e i virologi superstar. Geniale.

Collegamento con l’inutile palcoscenico sulla nave Costa Toscana con Orietta Berti e un ancor più inutile Fabio Rovazzi. Berti indossa un abito se possibile più kitsch di quello di ieri: sembra un totem molto rotondo sul quale sono stati buttati a casaccio stracci dei colori più disparati, scelti apposta perché chiassosi. I due tornano dopo la pubblicità per presentare un pezzo di Ermal Meta e la cosa non mi entusiasma. Meta si è fatto crescere la barba, che gli dona, ed è l’unico aspetto positivo della sua esibizione. Siede al piano ed esattamente come Moro prima di lui esordisce borbottando e dopo un po’ si mette a gridare. Poi riborbotta e poi rigrida. È il nuovo concetto di alternanza strofa – ritornello. Il pezzo non è in gara ma potrebbe benissimo esserlo, tanto sembra fatto al ciclostile come quello di Moro, che d’altra parte con Meta ha già cantato al festival.

Il decimo pezzo è affidato a un altro gggiòvane che si fa chiamare Tananai e s’intitola “Sesso occasionale”. Rap recitato con un accento inverecondo. Quando il tizio tenta di cantare stecca clamorosamente, poi torna a snocciolare il suo rap. Il suo abbigliamento grigio e sbilenco fa perfettamente il paio con la qualità della sua voce che è perfettamente adeguato al suo nome d’arte ed è perfettamente adeguata alla qualità del pezzo. Perfettamente inqualificabile, ma un voto glielo debbo dare. 0 mi sembra adeguato.

Undicesimo, vestito da tela di ragno, Irama esegue “Ovunque sarai”. Un altro che al solito comincia col solito gorgoglìo accompagnato dal solito pianoforte. Al di là degli eccessi interpretativi e di abbigliamento di Irama il pezzo potrebbe valere qualcosa. Voto 5.

Penultimo interprete in gara, travestito da tendina del bagno di Salvador Dalì, con addosso assordanti colori chiassosi, arriva Aka7 che canta – pardon – si produce in “Perfetta così”. A orecchio pare il fratello meno bravo di Mahmud, quello che quando canta incrina la cristalleria. Ma Aka7 è molto meno bravo. Il pezzo (che noia) è la solita alternanza di urli ritmati e di frasi sciorinate a velocità ultrasonica. Inqualificabile pure lui. Diamogli 0 per pietà.

Ultimi in gara, coi soliti nomi che Dio sa dove li trovano e inquietanti nei loro tatuaggi tali Highsnob tutto vestito di nero e Hu, rasata e tutta vestita di bianco, con “Abbi cura di te”. Esordio rap dell’uomo, vestito di nero e coperto di tatuaggi fin sulle sopracciglia, roba da fare invidia a Fedez, poi tocca alla ragazza che invece rappa pure lei, poi, guarda che originali, rappano insieme. Insomma, la rassegna stasera si chiude non in bruttezza ma proprio in schifezza.

Non posso non dedicare un pensiero commosso all’orchestra, che in questi pezzi senza musica non può eseguire che le note lunghe di tappeti che di musicale hanno ben poco: anni e anni di studio indefesso e di sacrifici, per accompagnare ‘sta roba. Spero che sia pagata molto bene.

Amadeus ha promesso la classifica in tempi brevi, spero che mantenga la promessa. Invece prima ci sono Arisa e Malika Ayane che propongono i possibili inni delle Olimpiadi invernali che si terranno a Milano e Cortina fra quattro anni. Il pubblico deciderà quale sarà scelto fra i due. Malika Ayane (tatuaggi a parte) mi piace, ma debbo dire che (parrucca fuxia a parte) preferisco il brano proposto da Arisa.

La classifica, anche stasera stilata dai giornalisti, vede ultimo Tananai (bene), dodicesimi le Vibrazioni (giusto), undicesimo Aka7 (ma poteva essere ultimo a pari merito), decima la Zanicchi, noni Highsnob e Hu (meritavano di peggio), ottavo Matteo Romano (non mi ricordo già più chi sia e cosa abbia eseguito), settimo Sangiovanni  (idem), sesto Giovanni Truppi (un altro carneade), quinto  Fabrizio Moro, quarto Irama, terze  Rettore e Ditonellapiaga (in fondo cantavano), seconda Emma (pure lei) e prima, per la serata,  Elisa: stasera io e la sala stampa siamo praticamente d’accordo.

La classifica combinata delle due prime serate vede ultimo Ana Mena (ma chi è? deve aver cantato ieri), 24° Tananai (un altro rimosso), 23° Yuman (mi pare che fosse il comodino troppo cresciuto), 22° Le Vibrazioni (chi stecca paga), 21° Aka7 (troppo buoni ‘sti giornalisti), al ventesimo posto la  Zanicchi (succede, quando le aquile diventano rauche), subito sopra Giusy Ferreri (la vaiassa di Palermo), diciottesimi Highsnob e Hu (in gara sono venticinque ma ma meriterebbero di essere ventiseiesimi), 17° Matteo Romano (non me lo ricordo già più, nemmeno lui), 16° Achille Lauro (si consolerà dicendo che il suo genio è incompreso), 15° Rkomi, 14° Michele Bravi, 13° Sangiovanni, al dodicesimo posto Noemi, 11° Giovanni Truppi, 10° Fabrizio Moro (era meglio la Zanicchi), 9° Irama, 8° Massimo Ranieri (mi piacerebbe leggere “ottimo”, ma si legge “ottavo”), settime Rettore e Ditonellapiaga (era meglio Ranieri), sesta Emma, quinto Morandi, quarto Dargen d’Amico e, podio temporaneo, inspiegabilmente terzi i  Rappresentanti di Lista e secondo Mahmood, che io scaraventerei sul fondo della classifica, ma giustamente e meritatamente prima Elisa: fra tanto rap ci sono pochissime canzoni, quest’anno, e fra quelle poche la sua, per qualità musicale e interpretative, è stratosferica, anche nel confronto con Ranieri.

Domani (stasera per chi legge) ricantano tutti, e non so se riuscirò a resistere fino alla fine ma per amore dei miei affezionati lettori ci proverò: come direbbe Tex Willer, non è una minaccia ma un avvertimento.

Giuseppe Riccardo Festa

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