Roma: il vero perché del monumento al porco

Si sa che ad Atene, tanto per non scontentare nessuno, si pensò bene di alzare un monumento “Al dio sconosciuto”, citato anche negli atti degli apostoli e che, molti secoli dopo, ispirò a John Steinbeck il titolo di un suo cupo romanzo (esiste un romanzo di Steinbeck che non sia cupo? Ma non divaghiamo).

Più a sud, gli Egizi misero nel loro empireo molti animali, dal bue Apis al dio falco Horus all’inquietante dio sciacallo Anubis; e nella lontana e misteriosa India il nobile e possente dio Ganesh ha le sembianze di un elefante.

Molti sono, dunque, gli animali che ovunque nel mondo hanno ispirato negli umani sentimenti di adorazione. Ai giorni nostri nell’italico Veneto capita spesso di sentire, anche per strada, vicentini, veronesi o padovani rivolgere calorose invocazioni a una divinità canina, di solito dopo il verificarsi di eventi spiacevoli quali lo sbattere contro un palo, lo scoprire la moglie a letto con l’idraulico o il ricevere una salata cartella esattoriale: invocazioni intense e devote, anche se la razza del cane divinizzato cui esse sono rivolte non è mai specificata, e anzi spesso l’orante precisa che il dio al quale si rivolge è meticcio, anche se lo fa utilizzando un termine più popolare.

Ma sopra tutti vince l’amministrazione capitolina che ha pensato bene di onorare, in una delle piazze del Trastevere romano, un’altra divinità animale.

Era ora, in fondo. In quella Roma che “quanta fuit ipsa ruina docet”, definita dal pungente Ennio Flaiano come l’“unica città araba che non abbia un quartiere europeo”; tra le vestigia della gloria passata, le fontane, le statue, le chiese barocche, gli obelischi, i palazzi rinascimentali e – gloriosa, abbondante e olezzante – a punteggiare e adornare il tutto l’onnipresente e variegata monnezza; in quella Roma, dunque, come si poteva tralasciare di onorare, finalmente, il dio che, diciamoci la verità, è il più spesso citato, invocato e menzionato ovunque nel Bel Paese ove il sì suona?

Tacete dunque, improvvidi criticoni. D’accordo, non si tratta di opera di Fidia, né di Prassitele, e men che meno del Buonarroti o del Cellini. Ma voi non capite quanto nobile sia, da parte dell’amministrazione romana, questo atto di devozione rivolto al solo apparentemente umile e sudicio porco, a questo che ingiustamente è ritenuto un dio minore, perché il monumento ad esso innalzato non è che un atto dovuto: un omaggio, per quanto tardivo, a questo dio il cui nome – che sia per esorcizzare l’apparizione di un politico poco amato, per salutare un gol della squadra calcistica avversa o un martello caduto sull’alluce – suona nel Bel Paese spesso, anzi spessissimo.

Il nome di quel dio suona in effetti, nel Bel Paese, molto ma molto più spesso del “sì”.

Giuseppe Riccardo Festa

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