GRILLO E BERLUSCONI, OSSIA DUE ASPIRANTI CESARI

Silvio Berlusconi ha paragonato Beppe Grillo a Stalin e Hitler. Per la prima volta da quando leggo le cronache che lo riguardano (ad ascoltare direttamente la sua voce non ci riesco, è più forte di me) sono d’’accordo con lui. Solo che ha dimenticato un piccolo particolare: lui pure è come Stalin e Hitler. Intendiamoci: sia per l’’uno che per l’’altro (con qualche riserva riguardo a Beppe Grillo) escludo l’’intenzione di sterminare fisicamente i propri avversari.

Il paragone però regge per altri versi, meno trucidi ma non meno sostanziali. Ad esempio, entrambi -– proprio come i due dittatori in questione -– rifiutano qualsiasi forma di contestazione. Le loro affermazioni sono al di sopra di qualsiasi critica, non importa se contraddittorie rispetto a dichiarazioni precedenti sullo stesso argomento. La formula tipo di Silvio Berlusconi, in casi del genere, è sempre stata “Non l’’ho mai detto”. Beppe Grillo neanche si prende la pena di prendere nota della contraddizione: del disegno di legge elettorale attualmente in esame alle Camere, ad esempio, ha detto prima che era concepito apposta per azzoppare il suo movimento, poi che sarà insabbiato perché favorisce il suo movimento.

Alla base di tutto c’’è in entrambi, è evidente, il culto della propria personalità, cui fa da corollario la certezza della propria infallibilità. Nei vent’’anni da che “è sceso in campo”, mai Silvio Berlusconi ha pronunciato le due parole “chiedo scusa”, neanche dopo che qualcuna delle sue celebri quanto infelici battute ha fatto il giro del mondo. In questo ha trovato sponda nella vera e propria corte che lo circonda, fatta di adoratori che provengono soprattutto dalle sue aziende, ma anche da tutti i settori del mondo produttivo, culturale, militare, civile e religioso. È famosa l’’assoluzione che ha ricevuto da Mons. Fisichella per una bestemmia cui si lasciò andare raccontando una barzelletta: il prelato minimizzò, affermando che “bisogna contestualizzare”. Secondo Mons. Fisichella, evidentemente, bestemmiare per una martellata su un dito -– cioè in base a un impulso del quale poi magari ci si pente -– è più grave che inserire scientemente, per suscitare il riso, le due parole (la seconda “Dio”, la prima l’’equivalente di “maiale”) in una storiella.

Mentre la corte di Berlusconi è nata ed è costituita principalmente dallo stuolo di dipendenti per i quali dire “sì, cavaliere!” è vitale, pena la perdita del posto, nel caso di Grillo essa è stata costruita, con l’’aiuto di Casaleggio, mediante selezione su Internet e mediante lo stesso strumento è continuamente aggiornata e verificata: chi esprime una nota di dissenso si vede espellere, e in questo modo la certezza dell’’intesa assoluta col sovrano è assicurata. Rimane solo chi non discute, non critica, non dibatte.

Entrambi, insomma, proprio come Hitler e Stalin –- ma mettiamoci anche Mao Zedong, e “il caro leader” nordcoreano – per i loro seguaci sono al di sopra di ogni contestazione. Qui, volendo, una piccola differenza c’è: per quanto riguarda Berlusconi, infatti, ci sono personaggi che, ferma restando la loro fedeltà al Capo, si esprimono anche in prima persona: Brunetta, Capezzone, Santanchè, Biancofiore, ad esempio, non aspettano un segnale da Arcore per rivolgersi ai microfoni ed alle telecamere dei telegiornali. I fedeli di Grillo, invece, da un lato guardano al loro “portavoce” per sapere cosa dire e chi criticare, giungendo a mutuare ogni nomignolo, ogni neologismo e ogni formula (per lo più denigratoria) egli conii nel suo blog; dall’’altro non hanno il permesso di parlare ai media di propria iniziativa, pena l’’espulsione dal movimento.

Un’’altra differenza fra i due sta nel fatto che Berlusconi ha messo in chiaro fin dall’’inizio della sua avventura politica di voler difendere gli interessi di ben individuate categorie sociali: i professionisti, gli industriali e i benestanti in genere, fermo restando che assicurava la possibilità di diventare benestanti a tutti coloro che avessero seguito il suo verbo. Per realizzare questa possibilità, diceva, bastava abbattere tutti i paletti e i controlli che impastoiavano la libera impresa, considerando come tali anche la magistratura e certe leggi, come quelle che regolamentano la stesura dei bilanci.

Anche Grillo, anch’’egli molto benestante (pur se su ben altra scala che quella berlusconiana) fa un discorso “contro”: il nemico che egli addita ai suoi fedeli ed elettori, però, è “la casta”. Per casta s’’intende, genericamente, chiunque faccia parte delle istituzioni, a qualsiasi livello, e non si dimostri allineato sulle posizioni del medesimo Grillo.

Entrambi parlano, si suol dire, alla pancia della gente. Berlusconi l’’ha fatto per vent’anni, e tanto ci ha messo parte del suo elettorato (non tutto, non ancora) per accorgersi che alla base di tutto il suo progetto politico, alla fin fine, c’era sempre e soltanto il suo interesse personale.

Grillo lo fa da meno tempo, ed è meno semplice individuare le ragioni della rabbia che dimostra durante i suoi spettacoli/comizi. Ne ha per tutti, e su tutti si scaglia con un livore che sarebbe comprensibile in un disoccupato ridotto alla fame dalle ingiustizie che ha subito per una vita; molto meno se si pensa che al sistema contro il quale si scaglia -– a partire dalla RAI- – deve la sua notorietà e parte non secondaria del suo patrimonio.

Io, comunque, al patriottismo ed al disinteresse di un milionario, si chiami Berlusconi o Grillo, tendo a non dare credito. Entrambi sono pericolosi e contribuiscono a offrire al mondo, dell’’Italia, un quadro che già, fra corruzione, disoccupazione, dissesto del territorio, debito pubblico e inefficienze varie, non avrebbe certo bisogno di ulteriori pennellate scure. Grillo inveisce proprio contro queste iatture, e fa bene; meno bene fa nell’’indicare le relative soluzioni.

Molti italiani, si direbbe, sono sempre alla ricerca di un capo da seguire, qualcuno che pensi per loro e indichi loro le cose in cui credere, quelle da amare e quelle da odiare. Berlusconi è ormai sul viale del tramonto ma Grillo, che approfitta di un malcontento legittimamente diffuso fra la gente, offre soluzioni semplicistiche a problemi complicatissimi.

Come tanti hanno creduto alle ricette non meno semplicistiche di Berlusconi, tanti oggi credono alle sue. Io non ho creduto a Berlusconi nemmeno per un minuto, e men che meno credo a Grillo: anche prescindendo dall’’inconsistenza delle sue ricette economiche, dalle incoerenze, dalla volgarità e dal cesarismo, la sua pericolosità è incrementata dal fanatismo che la sua violenza verbale alimenta in certi suoi seguaci, che per ora si limitano all’’insulto e all’invettiva ma già promettono di passare, presto, dalle parole ai fatti.

Grillo è una sorta di nuovo Masaniello, o Cola di Rienzo. Gli auguro di tutto cuore, quando la parabola del suo successo politico declinerà (perché declinerà, per elevato che sia il suo attuale seguito) di non subire, per mano dei suoi inevitabilmente delusi ex fedeli, la sorte che segnò il destino dei quei suoi sfortunati predecessori.

Giuseppe Riccardo Festa.

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