Ricordo le mie reazioni dopo che ebbi letto l’ultima pagina di “Va’ dove ti porta il cuore”, di Susanna Tamaro. La prima fu: “E allora?” nel senso che non riuscii a trovare un senso, una logica, un qualunque significato, valore o utilità in un romanzo inutile e che non mi aveva detto assolutamente niente, a dispetto delle lodi sperticate che ne avevo letto un po’ dappertutto.
La seconda fu: “menomale che non l’ho comprato”. Perché di solito non leggo che libri miei, ma in quel caso avevo accettato di prenderlo in prestito, salvo ovviamente restituirlo immediatamente dopo la lettura all’incauta persona che me l’aveva consigliato.
Dice: “ma è un bestseller”. E con questo? Anche “50 sfumature di grigio” è un bestseller, e anche “Tre metri sopra il cielo”. Vendere molto non significa mica necessariamente essere geniali e creativi: significa, molto spesso, essere furbi e saper servire al pubblico di bocca buona (ossia alla maggior parte del pubblico) le pietanze che più gradisce, che sia pornografia più o meno soft, amoretti sdolcinati o – ed è il caso della Tamaro – pseudocultura supponente condita di sociologia da marciapiede.
Ma non è colpa sua: l’ha detto lei stessa, al Salone del Libro di Torino, rievocando la sofferenza che le provocava lo studio dei classici, Verga soprattutto ma anche la Commedia di Dante.
È evidente, dunque, che se Susanna Tamaro è quel che è la responsabilità va addossata ai suoi pessimi insegnanti, che invece di farle amare la grande letteratura italiana gliel’hanno fatta odiare, fino a farle dire che Verga ha fatto cattiva letteratura e a indurla poi a diventare, ahinoi, una scrittrice di best-seller pseudoculturali conditi di sociologia da marciapiede.
Stranamente, ma nemmeno tanto, l’autoproclamata Grande-Scrittrice-Da-Inserire-Nelle-Antologie-Al-Posto-di-Verga, non ha criticato l’altro grande romanziere italiano per definizione, Alessandro Manzoni, del quale ricorre il 150° anniversario della morte e che il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida (ancora lui) ha lodato dichiarandolo patriota e difensore della famiglia.
Lollobrigida, che non perde occasione per abbandonare la coltura, cui dovrebbe dedicarsi, per sconfinare nella cultura, che non gli è stata affidata dalla cognata e si capisce anche perché, evidentemente ignora che il pur grande scrittore, quanto alla famiglia, qualche peccatuccio ce l’aveva, visto che non si degnò di andare a Siena, dove aveva abbandonato la figlia Matilde, figlia che ignorò completamente durante tutti i ventisei anni di vita della poveretta. Matilde morì di tisi invocando una visita del padre che non ci fu.
Ho il sospetto che le simpatie politiche di Susanna Tamaro, notoriamente molto vicine a quelle del Grande Cognato (non suo, di Giorgia Meloni), siano tra le cause della sua avversione per Verga. Si sa infatti che il nocciolo filosofico de “I Promessi Sposi” del Manzoni si fonda sulla cattolicissima fiducia nella divina provvidenza, e si sa anche Verga la “Provvidenza” la fa colare a picco già nel primo capitolo de “I Malavoglia”: dunque, figurarsi se una signora triestina con simpatie di destra, molto cattolica e molto conservatrice, può amare un siciliano sanguigno e socialista, che ti sbatte la realtà in faccia con “I Malavoglia”, appunto, con “Mastro don Gesualdo” e con le sue novelle al vetriolo, da “Rosso Malpelo” a “Nedda”, per non citare che alcuni dei suoi straordinari capolavori.
Quanto poi alla provvidenza, più o meno divina, ho il sospetto che forse, dopo la caduta che, uscendo proprio di chiesa dove andava tutti i giorni da quel bigotto che era diventato (leggete “I Manzoni” di Natalia Ginzburg per farvi un’idea) provocò la sua morte, lo stesso “don Lisander” qualche dubbio se lo sia fatto venire. Illazione? Certo. Ma anche lui, in “il 5 maggio”, si è inventato una fervida conversione religiosa di Napoleone (“Bella, immortal, benefica fede ai trionfi avvezza”) a esclusivo uso e consumo della propria bigotteria. Mi limito a rendergli la pariglia, in nome e per conto di Bonaparte.
Non prendiamocela, dunque, con Susanna Tamaro se detesta Dante, Verga e gli altri grandi classici a suo dire “troppo complicati”, e se è poi diventata l’autrice di “Va’ dove ti porta il cuore”: la colpa non è sua. La colpa è dei suoi insegnanti e anche – e questo, per quanto riguarda “Va’ dove ti porta il cuore”, è più grave – dei suoi lettori.
Ma in un’Italia che ignora Leopardi, Foscolo, Vivaldi, Verdi, Eco, Calvino ed elegge a suoi campioni culturali personaggi come Jovanotti, Blanco, Moccia, Fedez e Ferragni, sarebbe giusto negare uno strapuntino a Susanna Tamaro?
Ma certo che no. E poi, giova ripeterlo, mica è colpa sua. È colpa di chi, a Trieste, non le ha fatto capire il genio, la grandezza e la bellezza dell’opera di quel grande siciliano (forse proprio perché era siciliano?) che è stato Giovanni Verga.
Giuseppe Riccardo Festa
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