Contro la sostituzione etnica, il capo del Governo e i suoi ministri diano l’esempio.

Mia madre, calabrese di padre siciliano, era bionda; anche mio padre, campano, prima che i capelli abbandonassero il suo cranio, era biondo. Io però, prima che anche il mio scalpo diventasse deserto, ero bruno, come una delle mie sorelle, mentre l’altra era bionda pure lei, come gli altri due miei fratelli. Effetto del mischietto di etnie che, nel corso dei secoli, si sono succedute nel calzare lo stivale della Penisola: latini, greci, etruschi, ispanici, nordafricani; e poi semiti, slavi, vandali, unni, goti, ostrogoti; e poi ancora normanni, e di nuovo spagnoli, e francesi, e tedeschi. Se c’è una cosa bella, nella cosiddetta “razza italica”, è proprio il fatto che una razza italica non esiste e non è mai esistita. E non esito a presumere che la tanto conclamata creatività, la fantasia di cui ci vantiamo: queste doti meravigliose che riconosciamo nei grandi italiani, da Michelangelo a Leonardo, da Fibonacci a Raffaello su su fino a Manzoni, Bellini, Rossini, Verdi, Levi Montalcini, Dulbecco, Piano, Aulenti, Parisi – e l’elenco potrebbe essere molto più lungo – siano dovute proprio a questa mescolanza di geni che hanno fatto degli italiani un esempio da manuale dell’assoluta stupidità di ogni concetto riconducibile al concetto di “purezza della razza”.

Posto dunque che una sostituzione etnica, in Italia, non è possibile per il semplice fatto che non esiste un’etnia italiana, non posso non notare che ci sono delle strane contraddizioni nel comportamento e nei progetti dei nostri attuali governanti, con riguardo alla gestione dei flussi migratori attualmente in atto.

Da un lato, infatti, il DEF (redatto dal governo in carica), la CONFINDUSTRIA e l’INPS sottolineano l’utilità, se non la necessità, di rinvigorire la forza lavoro nazionale proprio con i migranti, dall’altro invece il ministro Lollobrigida parla di rischio di sostituzione etnica e la presidente del Consiglio propone di far fronte alle esigenze del mondo del lavoro incentivando la natalità delle italiche donne.

Sommessamente, debbo notare che non è che lei dia il buon esempio, visto che ormai quarantaseienne non ha dato alla patria che una sola figlia. Sul piano della coerenza, insomma, un difettuccio Giorgia Meloni lo manifesta: lei che certamente di problemi economici non ne ha, di figli avrebbe dovuto generare non dico una dozzina, ma almeno tre sì.

Perché tre? Perché due è il numero minimo di figli che garantisce la sostituzione dei genitori, ammesso che entrambi i pargoli vivano quanto basta per procreare a loro volta. Tre, invece, offre una speranza di incremento.

E di incremento, in effetti, l’italico popolo tanto amato dai suoi governanti ne avrebbe bisogno, visto che di italici bambini ne nascono sempre, e disperatamente, di meno, anche perché mediamente le italiche coppie e gli italici giovani, quanto a reddito, non sono certo messi bene come Giorgia Meloni, che però vede come il fumo negli occhi il sussidio del reddito di cittadinanza e si oppone con tutte le sue forze ad ogni ipotesi di salario minimo garantito, così perpetuando ed aggravando quella situazione di incertezza, quando non di indigenza, che trattiene le citate italiche coppie e i citati italici giovani dal dare una motivazione procreativa ai loro amplessi erotici. Ammesso, poveretti, che con i chiari di luna cui debbono fare fronte a loro, di abbandonarsi ad amplessi erotici, gliene venga ancora la voglia.

Dice: ma abbiamo ridotto il cuneo fiscale! Eh, già: la riduzione, infatti, porterà nelle buste paga, in media, una dozzina di euro. Evviva! Proprio quello che basta per comperare qualche preservativo in più, così il rischio di gravidanze indesiderate si abbassa, ma non si alza certo il tasso di natalità.

Il ministro Lollobrigida, lui (l’ho letto su Wikipedia) di figli ne ha due: due splendide italiche fanciulle. Beh, coraggio, ministro: la Patria ha bisogno di culle piene e, stando alle sue dichiarazioni, a riempirle debbono essere fanciulli dalla carnagione candida. Forza, dunque: anche per onorare il nome del partito nel quale milita, si impegni: dia alle sue pargole qualche altro fratello d’Italia, così dando anche l’esempio a sua cognata. Meno chiacchiere e più fatti, ministro Lollobrigida. Si accosti al talamo coniugale e abbracci la sua sposa, sorella del capo del suo governo, magari sussurrandole all’orecchio, durante lo svolgimento del patrio dovere riproduttivo: “Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio”

Solo a Dio? Certamente no: a Dio, Patria e Famiglia.

E poi, nel momento culminante del rapporto travolgente, mi raccomando: non dimentichi, ministro, di lanciare l’urlo trionfante: “Eia, eia, alalà”.

Giuseppe Riccardo Festa

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