CARIATI. A DIALOGO CON LO SCULTORE ALFONSO CANIGLIA E L’INTELLETTUALE SOFIA VETERE

PRIMA OPERA ARBOREA DEL NASCITURO PARCO ARTISTICO-CULTURALE DELLA MASSERIA MAZZEI

RINASCITE 6.2: QUANDO GLI ULIVI TORNANO A VIVERE

Che la natura possa e sappia parlare all’uomo, che serbi in sé un racconto implicito, che trasmetta armonia e pace interiore o altre volte inquietudine è esperienza comune a tutti. Quando alcuni alberi, poi, hanno memoria centenaria, come spesso avviene per gli ulivi adagiati sulle nostre terre mediterranee, ergono a testimoni di un tempo che non è più; di volti, voci e mani bambini che tra i loro rami hanno giocato e sognato, e che negli anni sono diventati adulti, con ansie, progetti, esperienze. È per questo che, quando un ulivo appassisce, muoiono con lui pagine di vita; si perdono, tra le sue foglie scricchiolanti di aridità, tessiture emotive, non solo produttive.

C’è un luogo, sulle nostre colline ioniche, di fronte alle acque ‒ un tempo sulfuree ‒ della Zolfara, tra i clivi affacciati ad ovest verso il Dolcedorme e protetti a sud dai versanti lievi della Sila greca e dei suoi grappoli di borghi disseminati qua e là, che custodisce memorie lontane, di antiche colonie, di sacralità femminile, di rituali contadini, di grano, di olio, di bachi da seta amorevolmente custoditi e rinomati, tanto che l’albero ad essi collegato ha dato il nome alla contrada: il Gelso. Il suo antico “casino”, un tempo chiesa, masserizia, casa familiare e case coloniche, da un ventennio ha aperto le porte al pubblico: è la Masseria Mazzei Le Colline del Gelso. Ai progetti agricoli, all’iniziale intrattenimento sportivo-campestre, si sono aggiunti l’ospitalità, la ristorazione di nicchia, la trasformazione di una linea di prodotti bio, i ricevimenti, gli eventi musicali e artistici in genere. Le strutture e i giardini, via via sempre più articolati e ampi, nutrono in sé l’ambizione di parlare il linguaggio della Cultura e della Bellezza, raccontando un’identità territoriale che possa snocciolarsi, negli anni, in un Parco artistico-culturale, che ha iniziato a muovere in questi mesi i primi passi e che si propone negli anni di coinvolgere artisti e linguaggi poliedrici.

Ed è così che è nata la prima opera del costituendo parco: la scultura arborea, intitolata RINASCITE 6.2, dell’artista ionico Alfonso Caniglia.

A presentarla e commentarla una raffinata intellettuale, mecenate generosa e colta: Sofia Vetere e l’artista stesso.

Sofia, Rinascite 6.2 è un’opera che hai seguito in itinere. Raccontaci delle tue impressioni progressive e di quando hai visto l’opera compiuta. Che lettura ne hai dato? Cosa rappresenta in sé e nel contesto in cui è inserita?

Rinascite 6.2 è un gioiello radicato nel prato della Masseria Mazzei a Rossano. Era un ulivo che voleva continuare a vivere e che il Maestro Alfonso Caniglia ha scolpito. Con potente vis poetica e grazia. Solo dita così sensibili avrebbero potuto incidere la fragile soglia di legno privata della linfa. Sì, ho visto nascere la scultura che si ispirava già dall’inizio alla maternità, intesa come gestazione intellettuale, per tutta una sequenza di indizi e spiccati elementi simbolici, evocativi della trasformazione e quindi della rinascita: la rosa, la chiocciola, la farfalla.

In primis la rosa pasquale, a svelare un mistero che si schiude; e poi la chiocciola che rappresenta maternità e fertilità, poiché possiede il dualismo del maschile e del femminile, feconda ed è fecondata; ed infine la farfalla associata all’anima. Anche il padre della medicina, Ippocrate, aveva intuito il mistero della rinascita e del divenire, perciò chiamò i suoi figli Macaone e Podalirio, esattamente come le due magnifiche specie di farfalle, per destinarli al perenne divenire di infinite trasformazioni e rinascite.

E poi la preziosa incisione dell’haiku nascosta tra le vene del legno.

Nella gerarchia piramidale delle arti è la Musica la regina, ma la poesia è insubordinabile! E il piccolo componimento giapponese è lo scrigno che custodisce il non detto, è l’involucro del segreto custodito.

Rinascite 6.2 è scultura statica e dinamica. È la coppia, stanziale nell’abbraccio e nomade nella dinamica dello slancio.

È un ulivo che svela la sua bellezza accarezzato dal dolore e dall’amore e dalla maestria di Alfonso Caniglia. L’artista si è dileguato nello slancio della coppia, è rimasto scolpito nell’abbraccio, immobile nella promessa d’amore, fedele all’ignoto, al divenire, a una rosa, a una chiocciola, a una farfalla, a una poesia non detta, a un ulivo, alla sua quaresima e al suo prato. All’humus che ci genera, e verso il quale, non sempre vinti, planiamo.

I commenti di Sofia sono essi stessi opera d’arte e per questo non finiremo di ringraziarla per la profondità del suo sguardo e delle sue interpretazioni.

Ma ora è allo scultore che vorremmo rivolgere alcune domande, per conoscere meglio quest’uomo schivo e riservato che dice di aver imparato tutto ciò che sa da se stesso e da ciò che lo circonda.

Alfonso, ti era ti era mai capitato prima di scolpire un intero albero d’ulivo, con le radici ancora impiantate nel terreno?

Di scolpire un albero di ulivo con le radici ancora impiantate nel terreno è la prima volta che mi capita, anche se a dire la verità ci avevo già provato alcuni anni fa, su un ulivo in vegetazione, lavoro poi abbandonato e trascurato per problemi miei famigliari.

Cosa hai pensato quando ti è stata chiesta questa “impresa”, in quel luogo, di fronte a quel casale?

Non ho fatto in tempo a pensare a niente, perché ho subito accettato: era un’impresa da affrontare anche perché la bellezza e il misticismo di quell’antico Casale mi ispirava e mi attraeva tantissimo. Ero già stato lì nel periodo in cui Alessandra Mazzei, da assessore alla cultura e turismo, mi coinvolse, con mio stupore, nei progetti di preparazione agli eventi del millenario di San Nilo. Ricordo che quando entrai per la prima volta in quel casale, mi venne la pelle d’oca dall’emozione: le mura di pietra parlavano e raccontavano la storia del luogo, e ancora non sapevo che l’edificio era stato un antico convento femminile; questo l’ho saputo solo in quest’occasione.

Deve essere stata un’opera molto complessa. Sarebbe corretto definirla a oggi la tua più complessa creazione artistica? Quanto tempo hai impiegato a realizzarla e come hai proceduto?

Sì, penso che questa sia davvero la più complessa creazione artistica con la quale mi sono dovuto confrontare fino a oggi. di solito io non conto il tempo che impiego per portare a termine i miei lavori, anche perché in essi mi affido al mio istinto, alle ispirazioni estemporanee: mi capita spesso di iniziare delle opere che poi metto  da parte per poi riprenderle anche dopo alcune settimane. In questo caso, invece, ho dovuto lavorarci con costanza a me poco abituale per una quarantina di giorni più o meno, ma anche questo è stata una sfida. Ho proceduto anche in questo caso seguendo il mio istinto e ciò che l’albero mi suggeriva; penso che su questi tipi di lavori non si possa progettare nulla se non segui ciò che il materiale ancora vivo ti suggerisce di fare.

Io, purtroppo, venivo da un brutto periodo… forse il periodo più nero della mia vita… il tutto mi ha riportato a tornare nuovamente me stesso. Dedicandomi anima e corpo a questo lavoro ho lottato contro i miei demoni, è stata una lotta contro me stesso e ne sono uscito vittorioso e ne porterò solo ottimismo e positività.

Lo rifaresti?

Se lo rifarei? La risposta migliore è che lo rifarò. Sì, l’anteprima è che stiamo per iniziare la seconda scultura arborea, che, posta a pochi metri dal primo ulivo, sarà in parte in dialogo con quello, in arte opera autonoma e diversa. In verità ancora non so neanche io ancora cosa sarà, ma sento che mi chiama e il progetto di Bellezza della famiglia Mazzei, che ringrazio per la fiducia, ancora una volta mi entusiasma ed emoziona.

Grazie, Alfonso. Allora, dopo Rinascite 6.2, attenderemo con ansia la seconda creatura di questo nascituro parco della Masseria Mazzei.

Sofia, nel salutarci, ti chiediamo un’ultima riflessione su ciò che pensi di un’opera che unisce mano dell’uomo e natura?

Le opere d’arte restituiscono all’uomo la propria originaria essenza. L’uomo è il capolavoro del museo cosmico. Sgorghino da costui fiumi di dolore o abbondanza di gioie, resta l’opera d’arte nell’opera d’arte, con un talento speciale: Rinascere.

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