
È oramai quasi stucchevole il dover ripetere, ogni volta che si parla della tragedia della Striscia di Gaza, che Hamas è un’organizzazione criminale, che la sua ragion d’essere non è la difesa dei palestinesi ma un odio cieco nei confronti di Israele, che i fatti del 7 ottobre di due anni fa sono un crimine orrendo motivato da una furia inumana e razzista.
Tutto ciò è chiaro, evidente e lampante ed è stato giustamente detto innumerevoli volte; ma da lunga pezza, oramai, il giusto e doveroso sdegno verso quella strage non è più che un alibi, per il governo israeliano e per il suo capo, utile a pretendere che sia giusta e legittima una reazione di gran lunga più razzista, inumana e furibonda della pur immonda strage di quel 7 ottobre.
Salvo che per coloro i quali si rifiutano di prenderne atto, e fra costoro ci sono purtroppo i massimi esponenti del governo italiano e di quasi tutti i governi occidentali, è oramai evidente che nella Striscia di Gaza, con l’ormai insostenibile scusa della lotta al terrorismo di Hamas, si sta scientificamente perpetrando lo sterminio di un intero popolo, che se non è fatto a pezzi con sistematici bombardamenti su case, scuole, ospedali e accampamenti di profughi, si cerca di far morire di sete, d’inedia e di malattie.
In un simile contesto, oscena, non meno dell’antisemitismo di Hamas, è l’accusa di antisemitismo che Netanyahu, il suo governo e i suoi sostenitori di casa nostra lanciano contro chi osa sdegnarsi, contro chi grida “basta”, contro chi invoca per i palestinesi il diritto alla vita, prima di tutto, e poi all’autodeterminazione.
Nel crepuscolo della democrazia, che sta vedendo ombre sinistre calare su un mondo che continua ipocritamente a definirsi liberale, è grottesco che si continui a difendere Israele come “unica democrazia liberale del Medio Oriente”. Non c’è niente di democratico e niente di liberale in un governo che si regge solo grazie al regime di guerra costante e al sangue che quotidianamente sparge con cinico calcolo e disumana freddezza.
Forse, se avesse una coscienza, Benjamin Netanyahu sentirebbe la voce sdegnata dei sei milioni di ebrei morti nei lager nazisti. Forse, se avesse una coscienza, egli li sentirebbe chiedergli: “Che differenza c’è fra te e gli aguzzini di Auschwitz, di Dachau, di Treblinka e delle altre innumerevoli fabbriche di morte di Hitler? Come osi, tu, Benjamin Netanyahu, servirti del nostro martirio per comportarti esattamente così come si comportarono i nostri aguzzini? Tu, Benjamin Netanyahu, e con te i tuoi ministri, e i coloni ultraortodossi che con la vostra benedizione s’impadroniscono delle terre dei palestinesi, in cosa siete diversi da chi, come voi, si arrogava una atavica superiorità sui suoi vicini e pretendeva di avere avuto dal suo dio il diritto di decidere delle vite altrui?”
Ma Netanyahu non ha una coscienza e né lui, né i suoi ministri, né i coloni ebrei ultraortodossi; e purtroppo neppure i governanti italiani, e tanti altri governanti dei Paesi un tempo democratici e liberali, con la lodevole eccezione della Spagna, sembrano averne una.
L’umanità torna alla legge del più forte, applaude gli aggressori ed offre loro alibi ipocriti e spudorati; intanto celebra i suoi riti, dallo sfarzo di Piazza San Pietro alle paillettes dell’Eurofestival.
Giustizia, Diritto, Civiltà, o almeno Pietà? Non scherziamo. Tutto va bene, e se non sei d’accordo peggio per te.
The show must go on.
Giuseppe Riccardo Festa
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