HAMAS E NETANYAHU, NEMICI NELL’ODIO, COMPLICI NELLA FEROCIA

Una volta per tutte: non è antisemitismo criticare la politica guerrafondaia di Netanyahu e del suo governo di chiara marca razzista, segnato dalla presenza di ministri integralisti che nulla hanno da invidiare alla miseria intellettuale e all’ottusità dei più ottusi ayatollah iraniani, salvo il fatto che quei ministri invocano Jehovah, invece di Allah, per legittimare le nefandezze che praticano o che vorrebbero tanto praticare.

Non è antisemitismo dire chiaro e tondo che questa guerra oscena, pur se scatenata da un’azione esecrabile, sanguinaria e ingiustificabile di Hamas, è arrivata per Netanyahu come una manna dal cielo. Non è antisemitismo prevedere che lui e i suoi ministri della destra ultranazionalista faranno di tutto per prolungarla quanto più possibile, questa guerra, allargandola anche, perché no, al Libano e alla Cisgiordania: quanto più dura, questa guerra, tanto più sicura sarà la posizione in sella dell’attuale governo israeliano, che inutilmente la parte civile ed evoluta del Paese condanna, e già condannava in piazza quando, modificando la Costituzione, esso cercava di attribuirsi la totale impunità tarpando le ali alla Corte Suprema.

Israele ha diritto di esistere? Assolutamente sì perché così, il 14 maggio del 1948, decretò l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; certo non, come pretendono Netanyahu e gli ultranazionalisti suoi alleati, per diritto divino. Il diritto divino, che sia targato Torah o Shoah, deve semplicemente essere cancellato da ogni ordinamento giuridico, quale che sia la religione che lo invoca. Il territorio di Israele non appartiene agli israeliani perché qualche migliaio di anni fa, secondo una leggenda fantasiosa, glielo ha assegnato un dio tribale, feroce e razzista qual è il dio del Vecchio Testamento, ma a causa del senso di colpa del resto del mondo – soprattutto dell’Europa – finalmente consapevole delle ingiustizie e delle vessazioni cui per duemila anni, fino alla strage della Shoah, aveva sottoposto gli Israeliti.

Israele esiste, ed ha diritto di esistere, ma ha il dovere morale e storico di riconoscere anche ai palestinesi lo stesso diritto, perché mentre molti israeliani sono là giunti solo dopo la fine della II Guerra Mondiale, i palestinesi, su quel territorio, c’erano da sempre e quel territorio era ed è casa loro, che a Netanyahu e ai suoi ministri piaccia o no.

La vergogna dell’antisemitismo e della Shoah pesa ancora, ed è giusto che così sia, sulle coscienze dei popoli occidentali; ma essa non deve servire da alibi a Netanyahu ed ai suoi complici per perpetrare altri e non meno ingiusti, disumani e spietati massacri ai danni dei civili palestinesi, accusando di antisemitismo chiunque osi levare la voce per condannare i bombardamenti, i rastrellamenti, le uccisioni indiscriminate di innocenti.

Le vittime della Shoah, ne sono certo, inorridirebbero se potessero sapere di essere usate da Netanyahu per legittimare una guerra ormai dichiaratamente volta a spazzare via del tutto i palestinesi dalla striscia di Gaza e ad allargare i confini di Israele oltre quelli fissati da quella lontana risoluzione dell’ONU. Gli oltre ventimila morti innocenti ormai provocati dalla loro guerra bussano alla coscienza di Netanyahu e dai suoi ministri oltranzisti come le vittime dell’azione vile e disumana dello scorso 7 ottobre bussano alla coscienza dei capi e dei miliziani di Hamas. Miliziani e capi di Hamas che sapevano benissimo, e di sicuro sapevano di provocarla, auspicandola, quale sarebbe stata la reazione israeliana a quel massacro.

Ma Netanyahu e i suoi ministri, come i capi e i miliziani di Hamas, se ne infischiano. Tutti quei morti, anziché rimorso, alimentano in loro un profondo senso di soddisfazione, perché di quei morti essi si servono per continuare la loro stupida, feroce e miserabile guerra.

Giuseppe Riccardo Festa

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