
■Antonio Loiacono
Era il 1964: si inaugurava il traforo del Gran San Bernardo mentre la Ferrero produceva il primo vasetto di Nutella!
Scala Coeli, il piccolo borgo incastonato tra le colline del versante ionico della Calabria, viveva un momento di inaspettato fermento. In quegli anni, in Italia, si respirava l’aria del boom economico, un periodo di crescita e cambiamento sociale che travolgeva ogni angolo del paese. Anche Scala Coeli, come molti altri centri rurali limitrofi, era toccata da quella ventata di modernità, ma ciò che davvero sorprendeva era l’atmosfera di emancipazione che iniziava a germogliare, soprattutto tra le giovani donne del paese.
A chi oggi potrebbe sembrare strano, quasi incredibile, sapere che in una realtà così profondamente ancorata alle tradizioni patriarcali, un gruppo di ragazze stesse lentamente prendendo coscienza della propria identità e dei propri diritti. Tuttavia, è proprio così: Scala Coeli, piccolo e modesto paese, era un laboratorio sociale in cui i primi germogli dell’emancipazione femminile cominciavano a fiorire, complici un insieme di circostanze che oggi ci appaiono quasi romantiche nella loro semplicità.
Tra i fattori che contribuirono a questo risveglio culturale delle giovani donne vi era l’influenza della chiesa locale. Sì, proprio quella chiesa che spesso si associa all’immobilismo tradizionale, in quegli anni ebbe un ruolo chiave nell’aprire spazi di aggregazione femminile. Guidate da un parroco illuminato (Don Antonio Anania), le ragazze venivano incoraggiate a partecipare a momenti di incontro, discussione e formazione. Fu una sorta di preparazione silenziosa ad un cambiamento che avrebbe fatto breccia non solo nelle coscienze, ma anche nelle abitudini di vita.
Un episodio su tutti incarna perfettamente lo spirito di quegli anni: il celebre corso di cucito, organizzato a Scala Coeli dalla ditta Salmoiraghi (con sede a Milano) allora famosa prima produttrice di macchine per cucire in Italia. Le mamme degli anni 2000, ricordano ancora oggi, con nostalgia ed una punta di tenerezza, quelle giovani donne, circa una ventina, che si iscrissero al corso con entusiasmo ed un pizzico di trepidazione. Era un evento straordinario per un paese così piccolo, tanto più perché quella formazione non era solo un’occasione di apprendimento tecnico. Imparare ad usare una macchina per cucire significava molto di più: rappresentava un simbolo di indipendenza, un primo passo verso l’autonomia economica e sociale.
Quelle macchine per cucire Salmoiraghi, abilmente descritte nelle loro funzioni da una giovane donna di Cirò (non ricordiamo, purtroppo, il suo nome) non erano semplici strumenti, ma ponti verso il futuro. Ogni punto, ogni cucitura, era un “taglio” alle catene invisibili che avevano per lungo tempo imbrigliato le donne del Sud. Durante le ore di lezione, si respirava un’atmosfera di complicità e solidarietà tra le ragazze. Si parlava non solo di tessuti ed aghi, ma anche di sogni ed aspirazioni che iniziavano a prendere forma, complice quel gruppo di giovani donne che, senza saperlo, stavano costruendo una piccola rivoluzione.
Nella foto, qui pubblicata, i volti di quelle ragazze, fiere nei loro abiti semplici, alcune ancora vestite “alla marinara”, con quegli abiti che riecheggiavano i tempi dell’infanzia, ma che ormai mal si addicevano alla maturità che stavano raggiungendo. Quei vestiti erano il simbolo di un’epoca che stava scomparendo, mentre le macchine per cucire rappresentavano il futuro che si avvicinava a grandi passi. C’era una dolcezza infinita nel pensare quelle ragazze, così giovani, così piene di speranza, piegate sui tavoli da cucito, mentre si aiutavano l’una con l’altra, imparando i segreti di quell’arte antica.
C’era anche un senso di liberazione in quel processo. In un’epoca in cui le donne del Sud erano ancora legate ai ruoli tradizionali, alle fatiche domestiche e ad una vita spesso vissuta all’ombra degli uomini, quel corso di cucito (tenuto in una abitazione privata) diventava una finestra aperta sul mondo. Potevano finalmente guardare oltre il cortile di casa, immaginare una vita diversa, più libera ed indipendente. Anche se la loro emancipazione passava attraverso un ago ed un filo, quelle ragazze stavano lentamente cucendo i fili del proprio destino.
E così, il corso di cucito divenne non solo un evento di formazione tecnica, ma un momento di aggregazione femminile. Le serate a Scala Coeli erano animate da risate e discussioni che si prolungavano fino a tardi. Si parlava dei propri sogni, del desiderio di un futuro diverso, delle speranze di libertà e realizzazione personale. Quelle giovani donne, spesso figlie di agricoltori e casalinghe, iniziarono a vedere nella macchina per cucire non solo uno strumento di lavoro, ma una via per il riscatto personale. Le ragazze non cucivano più soltanto per se stesse o per la famiglia, ma anche con la speranza di poter un giorno avviare una piccola attività, guadagnarsi una propria indipendenza economica, e perché no, contribuire al sostentamento familiare in modo nuovo.
In quel lontano 1964, il corso di cucito rappresentò una breccia nel muro delle convenzioni sociali. Per molte di loro, fu il primo assaggio di una vita autonoma, una vita in cui le donne potevano contribuire attivamente alla società. Una vita in cui non erano solo mogli o madri, ma protagoniste del proprio destino.
Riflettendo oggi su quegli anni, ci accorgiamo di quanto lontano siamo arrivati, ma quanto preziose fossero quelle prime scintille di cambiamento. Le giovani di Scala Coeli, con ago e filo in mano, cucivano anche un futuro di speranza ed opportunità, lasciandosi alle spalle un mondo che troppo spesso le relegava ai margini.
Quel corso di cucito, organizzato dalla Salmoiraghi, rimane ancora oggi un simbolo potente di quella piccola rivoluzione femminile, silenziosa ma determinata. Guardando indietro, c’è una profonda nostalgia per quei tempi, per quella semplicità e per quella forza nascosta che, con gesti quotidiani, ha saputo tracciare il cammino verso un futuro più giusto e equo.
Scala Coeli, piccolo borgo calabrese, forse non immaginava di essere testimone di un cambiamento tanto significativo, ma quelle ragazze, con i loro sorrisi e la loro determinazione, ci hanno mostrato che la vera rivoluzione comincia sempre nei cuori delle persone, anche nei luoghi più inaspettati.
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