Transumanti noi

Le perplessità che nutrivo fino a qualche ora prima di imbarcarmi in quest’avventura (alimentate dai motteggi degli amici, e dalla consapevolezza di dover percorrere per circa 50 km, nello spazio di due giorni, sentieri in salita non propriamente paragonabili a viali cittadini, ma probabilmente assai ripidi e disagevoli)  cominciarono a scemare per poi sparire completamente, alla vista della mandria e della  bellezza dei suoi capi, smaniosi di affrontare un percorso che si ripete ogni anno, e che i capi  attendono con trepidazione,  così come la terra attende la freschezza e la luce della primavera per rinnovarsi e tornare a vivere dopo il gelido inverno.

transumanza5 2016E così io Pino ed Enzo accettiamo questa sfida con un po’ di incoscienza, convinti dall’ottimo organizzatore Francesco Berardi, che (bluffando spudoratamente) ci rincuora affermando  che la nostra sarà poco più di una passeggiata e che nessuno dei 15 trekker  incontrerà alcuna difficoltà degna di questo nome lungo il nostro cammino.

Francesco,  ha concordato in dettaglio con nonno Pasquale Varrina, e suo figlio Vincenzo come noi trekker dobbiamo star dietro alla mandria, seguirne il passo svelto, evitando di lasciarci distanziare, ma allo stesso tempo non avvicinandoci  troppo ad essa per non intralciare il lavoro dei giovani Pasquale, Antonio e Domenico che, in sella a due splendidi cavalli, seguono una mandria che non ha quasi bisogno di alcun suggerimento per procedere lungo un cammino insito  nel    DNA di ognuna delle mucche,  prima ancora che nel loro cervello.

Nonno Pasquale da moltissimi anni  accompagna personalmente la sua mandria dalle colline di Scala Coeli e Campana fino alla Valle dell’Inferno, ai piedi di Monte Botte Donato,  la montagna più alta (e più bella) della Sila. Egli è il leader indiscusso di questa traversata senza tempo, se non quello scandito dalla natura, dal suo risvegliarsi, e dal suo successivo letargo (quando il bestiame compirà il percorso inverso). Ma quest’anno  si limiterà  (ormai ottantenne) a seguire solo in parte la spedizione, effettuando buona parte del cammino a bordo della sua Panda verde   lontano dai tratturi e dai sentieri seguiti dalla mandria (e  da noi trekker).  Con Vincenzo ha già concordato i punti di ritrovo dove tutti ci raduneremo e dove egli non mancherà di sorprenderci con le sue trovate e i suoi racconti.

Vincenzo suo figlio, erede naturale di una tradizione che, speriamo tutti, sia destinata a continuare,  accetta senza battere ciglio i suggerimenti del padre, che ha sempre qualcosa da insegnargli nonostante  non sia più un novellino. Saggio e calmo come lo sono le persone temperate dalla  fatica e dalle privazioni che un mestiere bello ma duro impone,  apprezza con convinzione e un pizzico di ironia l’impresa  che ci apprestiamo a compiere.

Poi  ci sono i giovani Pasquale, Antonio e Domenico che,  in sella a due splendidi cavalli, per lo più si limitano a seguire la mandria intervenendo solo poche volte per rallentarne il cammino o per incitare con veemenza una vacca o un vitellino che vorrebbero prendere un sentiero errato, o che si ostinano a procedere lungo un cammino parallelo a quello consueto, ma più ripido e rischioso. Tra loro e i due cavalli si è stabilito un rapporto bellissimo di rispetto e amore reciproco, e mi è capitato di notare senza che nessun altro vi facesse caso le manifestazioni di affetto (annusamenti, carezze e baci reciproci) tra uno dei ragazzi e uno dei due cavalli. Antonio, poco più che tredicenne, ha appena terminato la scuola, alle nostre domande sul profitto scolastico risponde in maniera vaga e sorridente, e ci fa capire, col suo ciuffo nerissimo e alla moda, che niente e nessuno potrebbe distrarlo da questa superba avventura.

Arrivati al punto di partenza, una radura  attorno ad una fiumara quasi in secca,  il silenzio del luogo, rotto appena dal rigoglio delle acque che scorrono verso lo Ionio, cede improvvisamente il posto ad un frastuono improvviso e per noi assordante (cui però ci abitueremo presto molto volentieri) fatto di muggiti,  di scampanelli di campane enormi attaccate al collo delle mucche, delle urle dei pastori che possono finalmente intraprendere il cammino tanto atteso.

La mandria composta da circa una quarantina di esemplari di razza Podolica, cioè autoctona, (meta vacche e metà vitelli, alcuni di soli due o tre mesi di vita) rapisce lo sguardo. Gli esemplari sono per lo più   di colore bianco,  e i capi   adulti  presentano una struttura fisica forte e compatta, corna arcuate e andatura vigorosa e segnata da ondulazioni costanti del capo sincrone con il movimento degli arti che accentuano ancora più il suono dei campanacci.  Il leader indiscusso della mandria è il Toro Achille (che noi trekker non vedremo mai nel corso della transumanza). Egli, smanioso più di tutti di arrivare per primo sui pascoli rigogliosi della Sila, e di marcarne il terreno  in maniera tale da impedirne l’accesso a chiunque altro, non ha atteso la partenza della mandria, e la sera prima della partenza si è incammiato solitario e determinato verso la Valle dell’Inferno che raggiungerà assai prima del bestiame, senza destare preoccupazione alcuna in Vincenzo e negli altri pastori, abituati forse a queste sue sfuriate. Tra la mandria che procede si nota poi un vitello maschio, dal manto bruno e di tre mesi circa, che, per perfezione fisica,  fattezze e purezza genetica è stato eletto quale erede di Achille. Procede a ridosso della sua mamma, ma, diversamente dagli altri vitellini, ad una certa distanza da essa, quasi conscio del ruolo di cui è stato investito e pronto a darsi già molta importanza.

Seguire la mandria e i pastori è affascinante e  duro al tempo stesso: il passo svelto dei capi mette molti in difficoltà, ma cerchiamo in tutti i modi di non rallentarne il cammino. Al tramonto del primo giorno di transumanza bisogna raggiungere il Cerviolo,  incantevole radura della Sila nei pressi della Fossiata, dove la mandria troverà acqua e pascolo per saziarsi e riacquistare le forze e  dove noi pianteremo le tende per riposare, prima di riprendere il cammino all’alba del giorno successivo.

transumanza3 2016Talvolta siamo facilitati nel nostro compito da tratti di percorso che le mucche compiono su strade asfaltate (pochi), altre volte ci capita di percorrere piuttosto agevolmente tratturi larghi e asciutti, altre volte ancora (assai spesso) i sentieri sono ripidi, la vegetazione fitta, e il passo per forza di cosa rallentato. La Vegetazione  è varia e sorprendente: vorrei avere per un momento la penna di Zola per descriverne l’equilibrio e l’armonia. I lecci si alternano a radi agrumeti, ed ad ulivi selvatici, man mano che si ci si allontana  dalla costa mediterranea. Si incontrano castagni e querce maestose,  poi  improvvisamente capita che la vegetazione si diradi, l’orizzonti si apra, e la vista delle colline, del mare a est e dei monti della Sila ad Ovest e a Sud mozzi il fiato. Ma su tutta la vegetazione domina la ginestra: gialla e accecante, bella come il sole dipinge il contorno del nostro cammino e rende grazia a Dio della bellezza di questa zone: “Dove tu siedi, o fiore gentile, e quasi i danni altrui commiserando, al cielo dolcissimo odor mandi un profumo”.

Intorno a mezzogiorno raggiungiamo, sfiniti, ma in perfetto orario una radura contornata da faggi e pini destinata  ad essere la prima sosta: lì ci aspettano nonno Pasquale sua moglie Michelina, la signora Rosa, la moglie di Vincenzo e le sue figlie. Sono organizzatissimi e su un camioncino hanno caricato tutto quanto occorre per  questa pausa: anche tavolini, sedie e un vitto che consente di dar sfogo all’appetito che in queste circostanze non manca a nessuno, neanche ad Enzo che spesso si ostina a tirare la cinghia anche in alta montagna.   Dopo pranzo nonno Pasquale ci delizia con la sua armonica e coi suoi passi di danza che   noi trekker, affascinati, cerchiamo di riprendere coi nostri Iphone.

Vincenzo,  meno prosaico del genitore, mi racconta invece di come la transumanza sia solo un capitolo della sua attività: egli deve tenersi buoni i compratori, che sono sempre più restii ad acquistare capi di bestiame belli, autoctoni, ma dalla resa, in termini di massa muscolare, sicuramente inferiore a quelli della razza francese charolaise. Deve mettere in conto che alcuni capi saranno uccisi dai lupi, e attenersi, per ottenere qualche aiuto economico, alle disposizioni dell’ente Calabria Verde che a lui ha assegnato una zona di pascolo ben definita.

Il tempo della sosta  finisce presto.

transumanza2 2016Riprendiamo, piuttosto appesantiti il nostro itinerario e per altre cinque ore affrontiamo con fatica, che qualche volta si avvicina allo sfinimento il cammino che rimane da percorrere. La macchia mediterranea ha ormai ceduto il posto alla tipica vegetazione silana: pini e faggi la fanno da padrone e dove non crescono fitti e altissimi lasciano spazio a pascoli erbosi ed umidi. Qualcuno di noi lamenta qualche acciacco, due o tre presentano mani gonfie, e dita a salsicciotto,  un altro chiede, accontentato, di percorrere un breve tratto di cammino, in sella ad uno dei cavalli. Ma alla fine arriviamo tutti in tempo a destinazione: il bellissimo Cerviolo, radura contornata di Pini Larici, ai margini di un ruscello del quale si percepisce la freschezza e il fluire delle acque. Con un ultimo sforzo, mentre Vincenzo e gli altri sistemano la mandria in un pascolo non lontano così che se ne possa vedere e sentire la presenza,  piantiamo le tende intorno ad un fuoco acceso in pochi minuti dai mandriani, per affrontare la sosta notturna. Prima di essa la cena, abbondante e non propriamente ipocolesterolemica, fatta di carne alla brace, di peperoni arrostiti, di frittelle varie, prelibatezze   e tantissimi altri  manicaretti gustosi. Poi i canti e i balli: Pino ha portato con sè una chitarra acustica e accompagnato dal suono avvolgente e trascinante della fisarmonica di Luca  ci delizia con tarantelle e canzoni tipiche del folklore locale. Ormai è notte fonda, ma la musica bella e coinvolgente   ci trascina tutti. E tutti urliamo, pardon! Cantiamo. E balliamo. Quelli di noi più restii sembrano  i più scatenati, mettono da parte ogni ritrosia e non si curano di essere assai meno aggraziati delle figlie di Vincenzo che danzano, con grazia e leggerezza. Poi il rito della mozzarella prodotto e consumata sul posto, cui io ed altri ci sottraiamo per impossibilità di opporre resistenza alla necessità di finalmente riposare, così da essere pronti a riprendere il cammino all’indomani di buon’ora.

Il cammino riprende alle cinque e mezza del mattino seguente, appena mezz’ora dopo la sveglia e dopo aver sorseggiato in fretta un caffè bollente: non si possono trattenere oltre le mucche. I loro muggiti e il suono intenso e sempre più insistente dei campanacci fa capire che presto si metteranno in moto anche senza che noi le seguiamo. Perciò bisogna far presto. “Dormito?” chiedo all’ottimo trekker Luciano, senza il quale mai sarei riuscito a montare la tenda e ricomporla la mattina seguente. “In parte”, risponde, “sentivo la mandria avvicinarsi a noi e il fluire del ruscello alimentato dal vento notturno e mi sembrava di vivere in un film Western “. “Io ho dovuto scacciare più volte il pensiero di ricevere visite da lupi e faine”, rispondo, non propriamente convinto.

Insomma, ripartiamo: ci restano da percorrere 15 Km per gran parte in salita e occore star dietro alla mandria. Ma seguendola arriveremo a visitare, a circa 1600 metri di altitudine l’incantevole Macchialonga con il suo laghetto color ruggine.

La Macchialonga è un immenso pascolo su un altopiano contornato da pini altissimi e faggi non meno imponenti, anche se non altrettanto belli. È assai probabile che la Macchialonga nell’antichità e probabilmente fino a qualche decennio fa fosse interamente ricoperta dal pino laricio e che i pascoli rigogliosi siano il frutto di un’opera sistematica di disboscamento, necessaria per il sostentamento degli armenti. Ma il fascino del posto rimane immutato. I pascoli estesi a perdita d’occhio   lasciano  il posto all’orizzonte (come il mare con  il cielo), alle vette più importanti della Sila, prima tra tutti monte Botte Donato, dalla cima del quale è possibile lanciare lo sguardo  sul tirreno e sullo Ionio. Poi il monte Cupone, Pettinascura e il Cozzo del Principe. Il laghetto (lago Ariamacina), ai margini della macchina longa incuriosisce noi tutti: si presenta ripieno di aghi di Pino,  niente affatto silenzioso per il gracidare ripetuto di rane e girini e ospita volatili in tutto simili a gabbiani (ma si tratta di questi?) pronti a spiccare il volo non appena uno di noi ne imita il movimento delle ali.

La Macchialonga,   allo stesso modo dei paesaggi e le vallate alpine, risveglia in noi trekker una sensazione quasi fisica di primavera e di risveglio della natura. E’ bello da quassù, da 1650 metri di altezza, in una fresca mattina di Domenica respirare aria di montagna

Dalla Macchialonga ci spostiamo infine in basso verso Zarella, radura   qualche centinaia di metri più a valle,    destinazione finale nostra, ma non del gregge che continuerà  il suo cammino verso la Valle dell’Inferno ai piedi del monte Botte Donato per il resto della giornata. Lungo il cammino abbiamo la fortuna di incontrare lo scrittore Francesco Bevilacqua, grande conoscitore delle Montagne della Sila e di tutta la Calabria, e autore di numerose opere che celebrano le bellezze naturali della nostra regione. Egli si complimenta con noi, e appare un po’ rammaricato per non aver potuto partecipare alla nostra escursione per via di qualche acciacco.

Lungo la nostra discesa verso Zarella, notiamo  alcuni pini privati dall’uomo di parte della loro corteccia, in maniera tale da poterne estrarre un’ottima resina simile alla pece utilizzata fino a non molto tempo fa per illuminare le lampade notturne e per ingrassare le giunture delle assi delle imbarcazioni che venivano fin dall’antichità prodotte grazie al pino laricio.

Questo dettaglio rappresenta lo spunto per Enzo e per Pino   per stimolare le loro reminiscenze storiche e per ricordare   come si fosse stabilito fin dall’antichità e dalla colonizzazione delle sponde dello Ionio da parte dei Greci una sorta di patto di non belligeranza tra essi e le popolazioni autoctone dei Bruzi e dei Bretti. In virtù del quale erano anche possibili scambi commerciali che prevedevano acquisto di legname e di resina da parte dei Greci in cambio di prodotti d’artigianato e della pesca.  Successivi accadimenti storici comprendono l’invasione della penisola da parte di  Annibale e la sua alleanza con popolazioni autoctone. Ma alla sconfitta dei Cartaginesi, la scure vendicativa dei Romani si abbattè  senza pietà verso territori e popolazioni infedeli e da allora il declino di questo territorio inesorabile si è protratto, si può dire, sino ai giorni nostri. L’Unità d’Italia del 1861 si è risolta, come tutti sappiamo, in unità politica non certo ecomomica e sociale. E squilibri,  arretratezze e divario economico persistono a dispetto dei proclami dei politici di turno che vorrebbero farci intendere di essere in grado di risolvere la mai risolta questione meridionale.

Ma non è questo il momento di dissertazioni storiche e scientifiche.

A Zarella la nostra avventura giunge a termine. Dopo un pasto, stavolta veloce, ci apprestiamo a ritornare,   col pullmino (ovvio) a Cariati. I complimenti a Francesco Berardi si sprecano,  molti, compreso me, si prenotano già per la transumanza di ritorno quando la mandria attraverserà il cammino in senso inverso e i pascoli e  le montagne assumeranno il candido colore della neve e altre tinte e altre sensazioni desteranno nello spettatore e nel viandante. Per giorni e giorni ricorderemo questa bellissima esperienza, il muggire degli armenti, il suono dei campanacci, le meraviglie del paesaggio,  la fatica, ma anche la determinazione di voler affrontare a tutti i costi una esperienza dura ma formativa. Un altro mondo,   vicino fisicamente a noi, ma lontano dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni, a cui ci siamo timidamente avvicinati e che speriamo che persista il più a lungo possibile.

Angelo Mingrone

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