RUSSIA, IL GOLPE DIMEZZATO

epa10705427 Russian President Vladimir Putin attends a wreath-laying ceremony marking the 82nd anniversary of the Nazi German invasion into Soviet Union in World War Two on the Day of Remembrance and Sorrow, at the Tomb of the Unknown Soldier by the Kremlin wall in Moscow, Russia, 22 June 2023. The Day of Remembrance and Sorrow is observed annually on 22 June in Russia to commemorate those who died defending the Soviet Union from Nazi Germany and its allies during Operation Barbarossa, launched on 22 June 1941. EPA/SERGEY GUNEEV / SPUTNIK / KREMLIN POOL MANDATORY CREDIT

di Marco Toccafondi Barni

Apparati contro e un golpe a metà – Sarebbe come se in Italia ci fossimo voluti liberare di Giulio Andreotti utilizzando Totò Riina. Pur forzato il paragone ci sta, perché nei fatti il capo della Wagner, Evgenij Viktorovič Prigožin, è un ex galeotto che deve la sua fortuna e persino lo stipendio dei suoi uomini proprio a Putin e al suo cerchio magico. Insomma, al Cremlino e agli apparati che hanno garantito quasi un quarto di secolo di potere putiniano ininterrotto. All’ apparenza appare come la sfida più diretta al sistema di potere russo dall’inizio della guerra in Ucraina, ma sarà veramente così e cosa ha ottenuto o voleva ottenere Prigožin da questa sceneggiata ? Forse è solo un avviso a Putin da parte di alcuni apparati statali. Invero questo “mezzo golpe” ricorda più quello dell’ immacolata di italiana memoria che qualcosa di serio.  Magari è stata veramente tutta una messinscena, qualcosa di combinato, come sostiene Ilja Ponomariov, ex deputato della Duma e attuale dissidente al fianco degli ucraini. Insomma, un “Italian Job” più che un “russian job”.

Il giorno dei corti coltelli – Alla fine è successa la cosa più ovvia, quando si tratta di apparati che si parlano attraverso messaggi  inquietanti: il più debole si è arreso. Era Prigožin. Come volevasi dimostrare a nessuno piace fare la fine di un Ernst Röhm. Ciò che sta avvenendo o per meglio dire è avvenuto in queste ultime ore in Russia, infatti, ha ricordato vagamente quel che successe nella Germania dei primi anni ’30 e portò allo scontro tra Adolf Hitler ed Ernst Röhm. Quella scelta obbligata del Führer tra le S.A. e gli apparati statali tedeschi, in primo luogo la Wehrmacht. Le similitudini sono parecchie: un’ amicizia ormai rotta tra i due protagonisti (Prigožin era chiamato il “cuoco di Putin”, in quanto a capo di un impero di ristorazione e vari hotel proprio grazie al leader del Cremlino), eserciti privati, piccolo per la Wagner ed enorme per le S.A.  Fondamentale è stata la scelta dell’ Armata, con chi si è schierato l’esercito russo: non con il ribelle Prigožin, per una guerra che non va come sperato, bensì con l’eterno Vladimir Putin. La mia personale interpretazione, che non è chiaroveggenza bensì una banale previsione basata sull’ analisi dei fatti conosciuti, è che la mitica armata russa pur obtorto collo sceglierà ancora il Cremlino e non quelli che erroneamente vengono chiamati mercenari, la Wagner, ma che in definitiva sono solo un’ espressione di altri apparati statali russi.

Timidezze occidentali e deliri mediatici– La conferma che non era possibile ciò che alcuni dalle nostre parti anelavano la si poteva facilmente evincere anche dalle  timidissime reazioni delle cancellerie nel mondo: sia quelle occidentali che la stessa Cina, fino addirittura a Kiev. Tale timidezza era ed è dovuta ad una ragione molto semplice: colui che avrebbe dovuto destituire Vladimir Putin dal potere, dopo quasi un quarto di secolo, non soltanto era una sua creatura, un uomo trasformato da galeotto a miliardario, ma soprattutto sarebbe stato un “rimedio”peggiore del male per lo stesso Occidente. Non è un caso se colui che un tempo era il poliziotto buono e oggi impersona quello cattivo, Dmitry Medvedev, ha subito dato un avviso importante a quei naviganti che in Occidente, incredibilmente, quasi parteggiavano per il golpe di uno psicopatico: “Sarebbe una catastrofe se le atomiche dovessero finire in mano a dei banditi” ha ammonito il poliziotto ormai cattivo di Putin. A Washington l’antifona è stata recepita e infatti dopo questa dichiarazione del fu Premiermoderato  al posto di Putin l’ex cuoco ha ritirato i suoi per il tutti a casa definitivo, abbiamo scherzato. Resta il fatto inaudito che alle nostre latitudini sia i media che parte dell’ opinione pubblica abbiano seriamente tifato per la vittoria di qualcuno che sarebbe stato infinitamente peggiore dello stesso Putin. Indubbiamente un’ ennesima dimostrazione di scarsa lucidità. Purtroppo è il frutto amaro, malato, di un’ allucinazione che fa scambiare Vladimir Putin per un politico e non per quello che è sempre stato e sarà: un funzionario dell’ apparato statale.

Putin vuol dire apparato – E’ incredibile come dalle nostre parti la propaganda voglia per forza evidenziare un indebolimento di Putin quasi fosse un politico, dimenticando che è apparato diretto. Non si tratta di politica, ma della sua maschera. Questo significa che fin quando non ci sarà niente di meglio e affibabile, ma soprattutto la Russia non verrà umiliata pesantemente perdendo la Crimea (vedi guerra russo – giapponese del 1905 e il non casuale riferimento putiniano al 1917, con l’ennesima caterva di insulti  verso Lenin e i bolscevichi) probabilmente non vedremo una sostituzione al Cremlino ma al massimo dei segnali come questi, lanciati da parte di apparati che controllano uomini come appunto Prigožin. Frecciatine scagliate contro ciò che Putin rappresenta (settori dell’ esercito contro i servizi segreti) e che in un’ estrema sintesi vogliono dire questo: “Vladimir, forse il tuo tempo sta finendo e quindi accordati con gli Stati Uniti, perché di questa Ucraina non ne possiamo più né da noi né al Pentagono e dintorni. Anche da ciò le titubanti parole di Kiev e delle altre cancellerie al seguito: è difficile esultare per quella che tanto, alla fine di tutti i giochi, sarà una spartizione annunciata e accordata. All’ egemone a stelle e strisce non interessa una Russia che imploda simil Unione Sovietica a inizio anni ’90 e in definitiva non interessa nulla neppure dell’ Ucraina.

Finisce tutto a taralucci e vodka – Sembrava di stare in Italia, stavolta, non dentro a un impero, per quanto messo male e in decandenza. E forse non è un caso che questo strambo “colpo di stato” sia finito assai diversamente rispetto alla resa dei conti tra Hitler e le S.A. di Röhm e ricorda invece il celeberrimo “Golpe dell’ Immacolata”. Era il 7 dicembre del 1970 quando a Roma alcuni reparti dello stato e appartenenti alla allora sconosciuta P2 pensarono ad un putsch anticomunista, agli ordini di Junio Valerio Borghese. Si era in Italia e quindi finì tutto a tarallucci e vino, pare dopo una misteriosa telefonata al colonnello nero. Per qualcuno fatta da Andreotti, per altri da Licio Gelli. La  Russia è ancora un impero (chissà per quanto tempo), non una provincia e quindi i colpi di stato non solo sono cruenti quando reali, ma raramente vengono organizzati da qualcuno che non ha né arte né parte e addirittura viene stipendiato (come dimostrano  i 44 milioni di dollari trovati nell’ ufficio di  Prigožin) proprio da quegli stessi apparati e uomini che a chiacchiere vorrebbe esautorare dal potere. Sì, a chiacchiere e senza distintivo.

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