L’Italia in Sala Raggi

Il sospetto, nell’osservatore esterno, è che il sindaco di Milano Giuseppe Sala stia pagando il conto dello scontro che, nel Palazzo di Giustizia meneghino, contrappone due fazioni della magistratura inquirente: la Procura Generale ha riavviato un’indagine che un altro ramo della stessa magistratura aveva invece ritenuto di archiviare.

Ad ogni modo la scelta del sindaco di autosospendersi non sa né di carne né di pesce, e giustamente in molti gli chiedono di tornare sui suoi passi: se pensi di essere innocente, gli dicono, vai avanti, anche perché l’iscrizione nel registro degli indagati, senza che nemmeno ti sia stato mandato un avviso di garanzia, è lontano le mille miglia dalla condanna in terzo grado: significa – mi corregga chi di diritto penale ne sa più di me – che si investiga su un’ipotesi di reato per la quale la Procura Generale dovrà poi decidere se chiedere il rinvio a giudizio, e non è detto che la richiesta sia poi accolta e non archiviata: per il momento si tratta dunque solo di un’ipotesi di reato oggetto di indagine. Se invece pensi di essere colpevole, allora è inutile la manfrina dell’autosospensione: dài le dimissioni, e tanti saluti.

Se Milano piange, Roma certo non ride.

L’inadeguatezza di Virginia Raggi al compito che si è assunta è ormai talmente conclamata che nemmeno il più acceso sostenitore del Movimento fondato da Beppe Grillo può più invocare un qualunque elemento a sua difesa. L’ingenuità, se di ingenuità si tratta, non è un’attenuante ma se mai un’aggravante, e tale è l’impreparazione. La sua giunta è un porto di mare, nel quale gli assessori vanno e vengono in un continuo tourbillon di nomi, di annunci, di rinunce e dimissioni, punteggiati di avvisi di garanzia e ora anche un arresto eccellente, mentre l’attività del Comune è paralizzata. Alla fine Grillo in persona ha, di fatto, commissariato questa sindaca evidentemente inconsapevole, quando si è candidata al ruolo, della complessità e difficoltà di gestire un’amministrazione resa ancora più problematica dalle magagne originate dalle amministrazioni precedenti, dalle quali peraltro Raggi ha attinto personaggi discussi e discutibili incorporandoli in ruoli chiave nella propria.

La conclusione è, tanto per cambiare, che la confusione regna sovrana.

A Milano il PD non può sconfessare Sala, ovviamente, né, a Roma, Grillo può scaricare del tutto Raggi, anche se ne ha pesantemente condizionato l’autonomia e i poteri, costringendola intanto a dimissionare o ridimensionare altri due esponenti della sua giunta.

L’impressione è che a rischiare di più sia comunque il movimento di Grillo, che probabilmente sarebbe ben lieto di scaricare definitivamente Raggi e tutto il suo entourage ma non può farlo perché ammetterebbe di aver sbagliato molto, a partire dai criteri di selezione della sua classe dirigente; d’altra parte, mantenendola in carica ne fa un’anatra zoppa, manifestamente commissariata, il che non gioverà certo al buon funzionamento della città e aumenterà il senso di delusione dei molti che hanno visto svanire il sogno di creare, scegliendo fra la gente qualunque, un’amministrazione efficace, efficiente ed attiva, e capace di far fronte ai mostruosi problemi di Roma.

Roma e Milano: i sindaci delle due città più importanti del Paese sono sotto scacco per motivi giudiziari, sospetti di affari poco puliti e corruzione e, a Roma, anche a causa di velleitarismo e incapacità.

Sala è espressione della classe dirigente, Raggi – almeno in teoria – della gente qualunque. L’Italia, in Sala Raggi, si dimostra una volta di più, quando si tratta di esprimere una classe politica, asfittica e incapace, se non cialtrona e disonesta.

Giuseppe Riccardo Festa

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