Quei vecchi ragazzi alla Salle Pleyel per la musica dei Beatles

Tutto è cominciato perché lo scorso aprile, all’avvicinarsi del mio compleanno, ai miei ragazzi ho suggerito che, se proprio volevano farmi un regalo, andavano bene due volumi della collana “I Meridiani” dedicati a Italo Calvino. Volumi introvabili, per cui il regalo si faceva attendere. Alla fine uno di quei volumi l’hanno trovato, ma bravi ragazzi come sono i miei figli hanno pensato che fosse troppo poco, così ci hanno aggiunto un volo andata e ritorno Fiumicino – Orly e un biglietto per un concerto alla Salle Pleyel del gruppo “The Analogues”, una tribute band olandese che suona i brani dei Beatles mai eseguiti in pubblico dai mitici Fab Four. Stefano era in Italia e al concerto ci sono andato con Guido e Anna, la sua splendida compagna, dei quali sono stato ospite. Buon sangue non mente, anche loro amano i Beatles.

La sala era gremita, in stragrande maggioranza di persone della mia età e anche più in età di me, ma tutte sorridenti ed entusiaste come ragazzini: era gente che nel lontano 1963, quando uscì Love me Do, aveva tredici o quattordici anni o poco più. Io ne avevo 12, di anni, e da allora ho sempre amato i Beatles di un amore totale e incondizionato. Ho pianto quando si sono separati ed ho pianto quando John è stato assassinato e quando poi anche George se n’è andato.

Sul palco, la band si esibiva con grande misura e con enorme entusiasmo. L’ossimoro è solo apparente: professionisti straordinari, i musicisti, che quel concerto l’hanno eseguito ormai diecine e diecine di volte, divertivano anche perché continuavano a divertirsi, eseguendo brani mitici come Come Together, Here comes the Sun, Something, Revolution, Let it be, Penny Lane, con una precisione da studio che nulla toglieva alla vitalità e alla vividezza dell’interpretazione. Composti, tranquilli, sorridenti e senza nemmeno l’ombra di un tatuaggio, dimostravano che cosa vuol dire essere Musicisti, quelli con la M maiuscola, che senza pagliacciate, senza costumi strampalati, senza zompettare qua e là per il palco, danno la priorità a lei, alla Musica, come facevano i Beatles e come fanno gli altri interpreti di grande musica, che sia rock, jazz o classica.

Il pubblico era semplicemente adorante. L’assolo di tromba di Penny Lane è stato accolto con un’ovazione, il quartetto d’archi di Eleanor Rigby, eseguito con una perfezione degna di un quartetto di Schubert, ha commosso ed emozionato tutti; le armonizzazioni vocali perfette, corpose, ricche, riempivano l’atmosfera e la avvolgevano di magia.

I vecchi ragazzi come me – molti con magliette che recavano il logo della Apple, o il nome dei Beatles, o il titolo di gloriosi album come Abbey Road – erano semplicemente felici. Ogni brano era accolto da un boato di applausi, un omaggio alla band ma anche a John, Paul, George e Ringo: Ringo che di canzoni ne ha cantate poche e ne ha scritte anche di meno ma quelle poche i beatlesiani le amano come i capolavori firmati Lennon-McCartney, e infatti si sono scalmanati non appena è partito il riff iniziale di Octopus’s Garden.

Non la finivamo più di chiedere bis, e la band non si stancava mai di concederne.

E alla fine, uscendo dalla Salle Pleyel circondato da volti sorridenti e commossi, da gente cordiale, amichevole e pacifica che mi dava la precisa sensazione di volermi abbracciare e di voler essere abbracciata, mi sono detto che sicuramente Putin, e tutti quelli come Putin, di musica non ne capiscono una beata fava.

Altrimenti non sarebbero i criminali che sono.

Giuseppe Riccardo Festa

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